Diritti umani e sviluppo: il racconto di Amnesty International8 min read
Reading Time: 6 minutesChe rapporto c’è tra diritti umani e sviluppo? In che modo si integrano sul campo nel lavoro delle ONG? Lo chiediamo a Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia, una Organizzazione Non Governativa indipendente che dal 1961 lavora per la difesa dei diritti umani attraverso progetti educativi per promuovere l’adesione ai valori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, eventi di sensibilizzazione, campagne di comunicazione e attività di lobbying.
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Diritti umani e sviluppo: intervista a Gianni Rufini
Buongiorno Gianni, tu sei direttore generale di Amnesty International Italia dal gennaio del 2014, ma hai una lunga esperienza nella cooperazione internazionale allo sviluppo, in particolare nella gestione dei progetti di emergenza nei paesi più poveri e/o colpiti da conflitti. Qual è stata la tua prima impressione passando ad operare nel settore dei diritti umani?
In qualche modo è stato il chiudersi di un ciclo, nel senso che il mio approccio alla cooperazione, sia quando facevo cooperazione allo sviluppo che ancora di più quando ho iniziato ad occuparmi di aiuto umanitario, è sempre stato basato sui diritti umani. Lo sviluppo e l’umanitario ti danno gli strumenti per intervenire materialmente sui diritti nel momento in cui vengono negati.
Passando ad Amnesty ho cominciato ad occuparmi più concretamente dell’altra faccia della medaglia che è lavorare per creare cambiamenti culturali e politici che facciano sì che quei diritti trovino spazio e non vengano più violati. Da una parte si curano i sintomi – che comunque vuol dire salvare vite, interrompere sofferenze, ridare speranza alla gente – dall’altra si curano le radici della malattia. Le due cose servono entrambe, sono complementari e si rafforzano l’un l’altra.
Fare advocacy per i diritti umani è un lavoro impegnativo e pieno di frustrazioni perché ci si confronta con la politica, che è la cosa più frustrante che esista, ma alla fine si arriva a creare un cambiamento che impatta davvero sulla vita della gente: penso al trattato sul commercio di armi, alla messa al bando delle mine antiuomo, all’istituzione della corte penale internazionale. Sono vittorie che portano cambiamenti strutturali e duraturi nel sistema.
Amnesty International è presente in quasi tutti i paesi del mondo, con oltre due milioni di soci e sostenitori che portano avanti la lotta per i diritti e più di cinque milioni di attivisti. In Italia i soci e sostenitori sono oltre 72 mila, ma come operano i soci e gli attivisti?
I nostri soci, che noi chiamiamo attivisti per dare un senso più preciso del loro ruolo, sono persone che si impegnano quotidianamente nel lavoro di sensibilizzazione. Il lavoro di Amnesty consiste in grande parte nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica, nel fare lobby, nel proporre leggi, soluzioni, regole, trattati, monitorare il rispetto dei diritti, ma il nostro lavoro è anche sul campo: abbiamo attivisti in Siria, in Iraq, in Yemen, che testimoniano e documentano i crimini di guerra.
Uno degli strumenti più efficaci del nostro lavoro è la raccolta di firme per gli appelli. Quando Amnesty adotta un caso scriviamo un appello, ad esempio per la liberazione dei prigionieri politici o dei prigionieri di coscienza, o in cui chiediamo che si svolgano indagini sul comportamento delle forze combattenti nei conflitti quando violano il diritto internazionale umanitario. L’appello viene promosso dagli attivisti e sottoscritto da centinaia di migliaia di persone, a volte milioni di persone, poi viene aperta un’azione di lobbying sui governi che sono responsabili di questi crimini. L’azione funziona, per esempio nel caso dei prigionieri di coscienza in media un terzo dei casi che adottiamo si conclude felicemente con la liberazione del prigioniero, ad un ritmo di circa mille all’anno.
Ci sono poi le pressioni sull’Unione Europea, sui governi, sulle istituzioni internazionali. Ad esempio nel campo delle migrazioni internazionali nel 2014 e nel 2015 siamo riusciti a fare grandi cose: convincere il governo italiano a tenere in vita Mare Nostrum per diversi mesi dopo la scadenza del mandato, mantenere lo stesso mandato per la guardia costiera di Search and Resque (ricerca e salvataggio delle vittime in mare, ndr) al di fuori delle acque territoriali, trasformare la missione Triton dell’Unione Europea, che era nata come una missione di controllo delle frontiere ed è diventata una missione di Search and Resque che contribuisce significativamente a salvare vite di migranti nel Mediterraneo.
Facciamo un esempio concreto: in occasione dell’8 marzo, giornata internazionale delle donne, Amnesty International Italia promuove numerose iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla campagna Mai più spose bambine, con l’obiettivo di porre fine alla grave violazione dei diritti umani rappresentata dai matrimoni precoci e forzati. Con che tipo di azioni viene portata avanti questa campagna?
Abbiamo lavorato su diversi livelli. Secondo il modo di lavorare di Amnesty ogni paese sceglie un paese-bersaglio su cui concentrare la propria azione: quest’anno Amnesty Italia ha scelto il Burkina Faso per questo tema. Abbiamo lavorato sul campo per documentare il fenomeno, e abbiamo raccolto migliaia di firme chiedendo che in Burkina Faso si rendano esecutive le leggi che proibiscono il matrimonio infantile, quindi abbiamo chiesto che venissero stanziate delle risorse per programmi educativi e di sensibilizzazione che raggiungano le famiglie delle potenziali spose bambine.
Stiamo lavorando per continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica italiana e internazionale su questo tema perché ci sia una maggiore presa di coscienza ed una crescita della pressione politica, lavoriamo con le ex spose bambine che sono riuscite a liberarsi dalla loro condizione per proteggerle, spesso le aiutiamo a trasferirsi in un altro paese con la loro famiglia per sottrarsi alla vendetta della famiglia dello sposo che è stato lasciato. Lavoriamo anche con gli ospedali, con le case famiglia, con i centri di riabilitazione per portare un beneficio più rapido possibile a chi è rimasto vittima di questi fenomeni. Abbiamo ospitato qui rappresentati delle associazioni per la difesa dei diritti umani del Burkina Faso sostenendoli nel loro tour di lobby in tutta Europa per sensibilizzare la gente e le autorità, abbiamo chiesto al Ministro degli Esteri italiano di intervenire su questo tema nei sui rapporti diplomatici sul Burkina Faso.
Naturalmente si tratta di fenomeni difficili da sradicare perché radicati da secoli, considerati del tutto normali in determinati contesti in quanto sono una risposta alla povertà, e naturalmente bisogna agire parallelamente per tirare quelle famiglie fuori dalla povertà.
L’inizio di tutto è il lavoro sulla documentazione: abbiamo inviato una fotografa sul terreno che doveva riportarci una documentazione fotografica molto completa su questo fenomeno ma che purtroppo è stata uccisa in Burkina Faso qualche settimana fa.
Che rischi corre un attivista dei diritti umani durante il suo lavoro?
Abbastanza grandi direi. In certi paesi sono grandissimi: ci sono persone che vivono sotto una minaccia costante per la loro vita e per quella dei loro famigliari, anche se noi ci sforziamo di proteggerli il più possibile insieme ad altre organizzazioni.
In un paese come il nostro ci sono pure dei rischi, può sembrare difficile che in Italia si uccida un attivista dei diritti umani, ma se scendiamo in campo contro il crimine organizzato, contro la camorra e la mafia, contro certe forze rischiamo anche noi. Nella lotta per i diritti umani ci si troverà inevitabilmente ad agire contro il potere, qualunque esso sia: lo stato, il potere economico, un potere criminale o chi detiene la forza in quel momento.
Quali sono le priorità di Amnesty nei prossimi anni?
In questo momento la priorità è contrastare il degrado nell’area dei diritti umani che sta avvenendo in Europa e in tutto il mondo sulla scia del terrorismo e della crisi migratoria. Da che io ho memoria abbiamo sempre vissuto in uno scenario storico dominato dal terrorismo, è inutile sorprendersi perché c’è il terrorismo: non abbiamo mai fatto niente per contrastarne le cause, ci siamo accontentati che si sopisse ogni tanto. Ma ogni volta che risorge assistiamo ad una nuova stretta ai diritti umani di tutti quanti, alla privacy, ai diritti giuridici di avere un’accusa e una difesa. Assistiamo ad extraordinary rendition, uso della tortura, Guantanamo, sorveglianza di milioni di comunicazioni ogni giorno, controlli sempre più coercitivi. Stiamo pagando in termini di diritti da tutti i punti di vista, e ogni volta che c’è un altro attacco si stringono le viti contro i diritti mentre non si fa niente per combatterne le cause.
In che modo auspicate che la società civile sostenga le azioni di Amnesty International in futuro?
Per noi la società civile è una risorsa fondamentale, perché Amnesty è un movimento di persone. La nostra forza deriva dall’essere persone, centinaia, milioni, decine di milioni di cittadini che agiscono in tanti modi, nella vita quotidiana, attraverso le scelte che fanno, con le proprie firme, con lo schierarsi contro chi abusa del potere, con il richiamare la gente ad un’etica diversa.
I cittadini possono aiutare qualunque tipo di impegno decidano di prendere: noi abbiamo bisogno della gente perché la nostra forza sta nel fatto di rappresentare nel mondo milioni di persone, ed è difficile resistere a milioni di persone che chiedono la stessa cosa. Più saremo e più riusciremo a incidere. Ci sono tante organizzazioni che lavorano per i diritti umani, ogni cittadino può trovare quella che gli è più affine, più vicina, o che fa le battaglie che lo convincono di più, il mio appello è lavoriamo insieme, facciamo rete, cerchiamo di avere una voce sola e di renderla sempre più forte.
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Immagini | Amnesty International Italia