Dimentica il mio nome Zerocalcare3 min read

27 Novembre 2014 Cultura -

Dimentica il mio nome Zerocalcare3 min read

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@Dimentica il mio nome Zerocalcare

Io di fumetti non ci capisco niente.

E visto che parlo di fumetti da più di un anno per Le Nius non è proprio l’affermazione più logica e sensata del mondo, lo comprendo.

Io però ho sempre scritto, e non l’ho mai nascosto, di pancia.
So poco di tecniche, di tratto e di prospettive. Ma con la pancia spesso ci prendo.
E Michele Zerocalcare nella mia pancia smuove parecchie cose.

Da sempre.

Parto da quella che dovrebbe essere la fine.

Il suo ultimo libro è davvero bello. Dimentica il mio nome chiude una cinquina perfetta di titoli in cui è possibile vedere sia la crescita dell’artista Zerocalcare sia quella dell’uomo Michele.
Personalmente il titolo a cui sono più legato è Dodici, ma appunto c’è un personalmente a inizio frase. Se vi interessa ne parlai diverso tempo fa qui.

La chiave di questa crescita, reale o percepita che sia, è nelle pagine 187 e 188 di Dimentica il mio nome, quando Zerocalcare parla di Tonni. Si avete capito bene, Tonni. “Sai di quella stanchezza? Quei giorni in cui ti pare di portare in spalla un tonno da cinquanta chili, con attaccate cozze, conchiglie, alghe… cazzi, pensieri, crucci… tutte piccole cose ma messe insieme finiscono per piegarti”.

Perché possono essere tonni, cazzi, crucci o pensieri.

Possono essere zattere in mezzo a un mare scuro (Ogni maledetto lunedì su due), possono essere zombi (Dodici) o possono essere armadilli o altre buffe rappresentazioni della nostra coscienza che sussurrano all’orecchio cosa è giusto e cosa no, ma alla fine i mostri ce li abbiamo tutti. Con i mostri ci convive quotidianamente ognuno di noi. Di dimensioni variabili, magari, ma sono sempre lì al nostro fianco. Non ci lasciano mai.

Una storia che finisce o che non inizia, la scomparsa di un amico, il lavoro che non si trova o che angoscia, una vita che non si raddrizza e tante altre piccole o grandi cose che inevitabilmente influenzano la nostra esistenza.

Cazzi, pensieri e crucci.
Appunto.

Che a lui piaccia o meno (e non gli piacerà mi ci gioco tutto), Zerocalcare è riuscito a interpretare tutto questo – diamogli un nome e affrontiamolo una volta per tutte: disagio generazionale – attribuendogli un senso. Rendendolo umano. Mettendogli addosso i connotati di un’icona pop degli anni 80, di un giocattolo o di un videogame. Riuscendo a renderlo gestibile, quotidiano, quindi determinato.

Ma non parlatene con lui.

Perché continuerà a negare. Continuerà a dire che prima o poi finirà tutto e tornerà a fare ripetizioni. Non accennategli che le sue storie e le sue paure sono le stesse di migliaia di suoi coetanei, perché se sapesse che è la prima persona che riesce a raccontare in maniera vera e senza filtri la generazione dei trentenni degli anni zero allora il suo corazzato amico Armadillo gli suggerirebbe di fingersi morto.

Di evitare accolli.
Di non prendere impegni.
Di farsi una tazza di latte e plumcake davanti a una serie tv e chi s’è visto s’è visto.

Ma quando ci parli vedi i suoi occhi illuminati.

Che hanno voglia di rubare, di raccontare tutto. E allora ti tranquillizzi perché capisci che l’ignavia dell’Armadillo non avrà la meglio.

Zerocalcare c’è e lotta insieme a noi.

Il libro: Dimentica il mio nome, Zerocalcare, 240 pagine, 18 euro, BaoPublishing.

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Federico Vergari. 3 giugno 1981. Giornalista pubblicista. Un saggio sul rapporto tra politica e fumetto pubblicato nel 2008 con Tunué. Scrive un po’ di tutto sul suo blog ilcanedaguardia.blogspot.com. Per lenius.it si occupa esclusivamente della nona arte. II fumetto.
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