Quando il detenuto è straniero: gli ultimi tra gli ultimi10 min read

28 Gennaio 2025 Dati migrazioni Società -

Quando il detenuto è straniero: gli ultimi tra gli ultimi10 min read

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di Silvia Contin e Giuseppe Rotundo

Una fetta delle persone private della libertà personale in Italia è straniera, un dato che spesso alimenta narrazioni superficiali. Ma quali sono le condizioni e le vicissitudini quotidiane vissute dagli stranieri in carcere in Italia? Abbiamo provato a capirlo con l’aiuto della Dott.ssa Luisa Ravagnani, Garante dei detenuti del Comune di Brescia.

«Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri».

Queste parole di Voltaire risuonano con forza nelle menti di chi conosce il peso del diritto e della giurisprudenza penale. In un periodo storico complesso come quello attuale, in cui giustizia e diritti umani sembrano sempre più cedere il passo a reazioni punitive – spesso giustificate da una narrativa emergenziale – il diritto e il sistema penale rischiano di perdere la loro complessità. Con essa, viene meno anche l’umanità di coloro che popolano le carceri, veri protagonisti del mondo penitenziario.

I detenuti, ultimi tra gli ultimi, spesso esclusi dall’empatia dell’opinione pubblica a causa della loro colpevolezza, subiscono ingiustamente le ben note criticità strutturali del sistema penitenziario italiano. Queste includono carenza di personale, sovraffollamento (il cui indice nazionale si attesta al 132,6%, superando tuttavia il 150% in ben 59 istituti), scarsa manutenzione delle strutture, gravi carenze igienico-sanitarie e mancanza di percorsi riabilitativi efficaci e diversificati. È evidente che, alla luce di ciò, Voltaire non sarebbe fiero di noi.

Ma in questo microcosmo invisibile c’è una minoranza che soffre una condizione di ulteriore invisibilità: gli stranieri detenuti.

Secondo i dati più recenti forniti dal Ministero della Giustizia, gli adulti stranieri detenuti nelle carceri italiane sono 19.953, vale a dire il 31,9% del totale delle persone recluse. L’incidenza degli stranieri sulla popolazione carceraria resta costante negli ultimi anni e senz’altro inferiore rispetto a 15 anni fa, quando superava il 37%.

In calo è anche il tasso degli stranieri detenuti rispetto al totale dei cittadini provenienti da paesi terzi presenti in Italia: includendo gli irregolari (di cui avevamo parlato qui: Quanti sono i migranti irregolari in Italia?), al 1° gennaio 2023 nel nostro Paese erano presenti 5 milioni e 508 mila stranieri e 18.894 di questi erano detenuti, vale a dire lo 0,34% (il tasso di detenuti italiani è 0,079%). Pur crescendo la popolazione straniera presente in Italia, negli ultimi quindici anni, il tasso di detenzione degli stranieri è calato di oltre 0,20 punti percentuali.

Fonte: Ministero della giustizia | Statistiche

Gli stranieri non sono diffusi in maniera uniforme all’interno delle carceri della Penisola, né per numero né per nazionalità. Vi sono regioni in cui la loro presenza è più elevata, come la Lombardia che conta ben 4.159 detenuti non italiani, seguita da Lazio (2.516), Piemonte (1.934) ed Emilia-Romagna (1.919). Ad ogni modo, le carceri in cui essi superano la metà del totale dei detenuti sono molteplici, per questo non si può riflettere sullo spazio carcerario senza tenere in considerazione l’aspetto multiculturale.

Essere un detenuto straniero in Italia, dentro e fuori le sbarre

Le provenienze che compongono la popolazione straniera nei penitenziari italiani sono svariate; delle oltre cento nazionalità quelle ad oggi più rappresentate sono: marocchina, rumena, tunisina, albanese e nigeriana.

Grafico elaborato sulla base dei dati forniti dal ministero della giustizia e prende in considerazione la nazionalità per cui il numero dei detenuti presenti è superiore a 200.

Ciascuna provenienza porta con sé lingue, valori, religioni, usi e costumi differenti. La convivenza forzata di queste varietà culturali, sommata alla già precaria condizione carceraria, può tradursi in difficoltà gestionali e organizzative dell’ambiente detentivo, che influenzano la qualità stessa della vita negli istituti, sia per il personale sia per i detenuti. Tutto ciò può comportare problemi di integrazione e conflittualità, tanto tra singoli – pensiamo alle celle miste dove la difficoltà nel riuscire a comprendere gli usi e le abitudini, anche religiose, ricade sulla quotidianità – quanto tra nazionalità differenti. Non sono rari, infatti, attriti tra gruppi di detenuti che rischiano di sfociare in pericolose azioni violente. Tuttavia, la stragrande maggioranza dei conflitti dentro le carceri – seppur nati a causa di dinamiche preesistenti come litigi avvenuti in libertà o contenziosi legati allo spaccio interno – si risolvono all’interno degli istituti. C’è da specificare che tali conflittualità, ad oggi, raramente evolvono in fenomeni più gravi, come lo sviluppo di bande carcerarie su base etnica, fenomeno più comune nel mondo carcerario americano, ad esempio. Le pene a cui sono condannati i detenuti in italia sono generalmente più lievi rispetto a quelle inflitte ai detenuti negli USA e nel Nord Europa. Ciò limita lo sviluppo e il dilagare di fenomeni come le gang, una piaga che da decenni affligge i penitenziari statunitensi, con ripercussioni che si estendono anche oltre le sbarre.

Uno dei più importanti ostacoli incontrati dallo straniero durante la detenzione è la mancanza di una lingua veicolare, che lo pone in una situazione di maggior disagio fin dall’ingresso. Durante l’immatricolazione, infatti, oltre alla raccolta delle generalità sono previste la visita medica e il colloquio con lo psicologo; in entrambi i casi, per gli specialisti, può risultare difficile fornire diagnosi attendibili. Durante la carcerazione, è proprio nelle attività terapeutiche che si percepisce la fatica linguistica: il detenuto non riesce ad esprimere cosa non va e nemmeno perché viene prescritta una terapia. Se la persona è affetta da dipendenza deve poter partecipare al percorso riabilitativo con un registro linguistico che gli consenta di interagire efficacemente con tutti coloro che partecipano alle attività riabilitative. C’è comunque da specificare che la maggioranza degli stranieri hanno una conoscenza basica della lingua italiana, ciononostante questa può non bastare qualora ci si debba confrontare con fatti che richiedano la conoscenza di un linguaggio tecnico e specifico.

Colui che non comprende la lingua rischia di non essere adeguatamente informato rispetto ai suoi diritti e doveri legali; fatica, altresì, a cogliere le indicazioni fornite dagli operatori e le regole da rispettare all’interno del penitenziario. Ciò può generare disagio nella persona, la quale, tuttavia, non riesce ad esprimerlo. In questi casi il detenuto può mostrarsi poco collaborativo e presentare difficoltà di adeguamento che alimentano ulteriore stress, rendendo le incomprensioni all’ordine del giorno. La difficoltà linguistica può porre lo straniero in condizione di emarginazione e di isolamento perché non si relaziona agli altri, aggravando così il senso di solitudine. Quest’ultimo già acuito dalla lontananza da casa e dai propri affetti, il che significa assenza di colloqui e maggiore difficoltà ad ottenere chiamate con i famigliari.

Ciò che frequentemente viene fatto per ovviare al problema linguistico è avvalersi di un altro connazionale che funga da interprete; solo in poche occasioni si ricorre al mediatore linguistico-culturale, figura che negli istituti di pena appare necessaria al fine di favorire il processo rieducativo del detenuto, ma che ad oggi continua a rivelarsi assai carente rispetto al bisogno. Il detenuto non solo ha bisogno di usufruire del servizio di mediazione per esigenze tecniche (ad esempio la comprensione di atti giudiziari o delle regole detentive) ma anche affinché possa comunicare nella propria lingua durante la quotidianità, in quanto questo agevola l’adattamento e diminuisce le tensioni interne. Superare la barriera linguistica permette allo straniero di costruirsi, durante la detenzione, un bagaglio più solido, agevolando così il percorso rieducativo e di uscita.

Sul reinserimento nella società a fine pena, oltre al doppio stigma dell’essere detenuto ed essere straniero, pesa anche la “questione documenti”. Sebbene sia disponibile il servizio di supporto alla regolarizzazione documentale, restano difficoltose tutte le pratiche che richiedono la presenza del richiedente (ad esempio il ritiro del passaporto). Finché il detenuto sta scontando la pena il provvedimento del magistrato che autorizza il detenuto a lavorare (anche fuori dal carcere) funge in automatico anche come permesso di restare sul territorio italiano. Paradossalmente, coloro che concludono la pena si trovano in una condizione svantaggiata rispetto ai detenuti poiché il provvedimento firmato dal magistrato cessa l’effetto, facendo ricadere l’ex detenuto in condizioni di irregolarità. Per questo accade che i detenuti in questa condizione non vengono tenuti in considerazione per possibili reinserimenti. Chiaramente, principale causa di ciò sono le scarse risorse a disposizione dei progetti rieducativi.

📸 Kireyonok_Yuliya

La criminalità straniera in Italia: tra reati predatori e fenomeni organizzati

Una delle tematiche più frequentemente associate al fenomeno migratorio è quella della criminalità. Dalla carta stampata ai talk show televisivi, il nesso tra stranieri e criminalità continua a essere utilizzato come espediente per condannare a priori un’intera popolazione presente sul territorio nazionale, come se l’essere stranieri comportasse di per sé una maggiore propensione al crimine. Tuttavia, questa narrazione non è solo logicamente errata, poiché non esistono dati che suggeriscono l’esistenza di un fantomatico “gene delinquenziale”, ma distoglie anche l’attenzione dalle reali cause che possono portare a comportamenti illeciti, favorendo una criminalizzazione generica della popolazione straniera. In parole semplici: il discorso pubblico elimina spesso fattori come l’emarginazione sociale e il disagio economico, lasciando spazio a un’interpretazione semplicistica secondo cui i dati dimostrerebbero che gran parte dei condannati in Italia sono stranieri.

Per comprendere al meglio il coinvolgimento dei cittadini stranieri nei reati commessi sul territorio italiano, abbiamo consultato il Dossier Statistico Immigrazione 2024, redatto dal Centro Studi IDOS.

Secondo i dati raccolti, su un totale di 820.216 denunce/arresti registrati (-11.743 rispetto agli 831.959 del 2021), il 25,6% (210.606) riguarda cittadini stranieri, il 65,8% (539.966) cittadini italiani, e il restante 8,4% (69.644) ignoti. La percentuale dei cittadini stranieri coinvolti nei fatti criminosi resta stabile e costante anche analizzando un arco temporale più ampio. Difatti, nella decade 2012-2022, il coinvolgimento della popolazione straniera sul totale delle denunce registrato non ha subito una crescita significativa, attestandosi attorno al 30%.

Per quanto riguarda la distribuzione territoriale dei reati, la maggior parte si concentra al Nord (44,7%), seguito dal Sud (22,2%), dal Centro (19,7%) e infine dalle Isole (11,8% ). Entrando nel dettaglio, la stragrande maggioranza dei reati commessi sono di natura economica. I reati maggiormente registrati tra la popolazione straniera includono: rapina, furto, violazioni della legge sugli stupefacenti – ad esempio lo spaccio e la detenzione illecita – e lesioni.  Questi reati, tipici della microcriminalità “di strada”, incidono significativamente sulla popolazione carceraria straniera e sono puniti con pene generalmente basse.

Per quanto riguarda i reati più gravi, associati alla criminalità organizzata – come estorsione, associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso – si osserva una progressiva diminuzione della percentuale di stranieri coinvolti man mano che aumenta la gravità del reato: si passa dal 22,2% per le estorsioni al 21,4% per l’associazione a delinquere, fino ad appena il 5,0% per l’associazione di tipo mafioso. Questi dati suggeriscono che la componente straniera presente nelle organizzazioni occupa prevalentemente i ranghi più bassi della piramide criminale.

La natura prevalentemente economica dei reati commessi dagli stranieri è riconducibile alle condizioni di marginalità socio-economica, giuridica e politica in cui questa fetta di popolazione è spesso relegata. Tali condizioni, in alcuni casi, possono portare, anche per ragioni di mera sopravvivenza, a comportamenti devianti e azioni illegali.

Riguardo alla presenza di organizzazioni criminali straniere in Italia, si evince una chiara delimitazione del loro ambito d’azione, limitata soprattutto allo spaccio di strada o a reati funzionali alle organizzazioni autoctone, veri protagonisti del panorama criminale italiano.

Nei casi in cui le organizzazioni di matrice straniera hanno acquisito una certa autonomia, va sottolineato che ciò è avvenuto sempre con il consenso delle mafie autoctone. La criminalità cinese, ad esempio, prospera nei territori campani, laziali e lombardi grazie ai legami con le organizzazioni italiane, collaborando in attività finalizzate quasi esclusivamente al riciclaggio del denaro illecito. Analogamente, la criminalità albanese – probabilmente la più influente tra quelle straniere sul territorio – ha consolidato la propria posizione attraverso la cooperazione con la ‘ndrangheta calabrese e i clan romani, dapprima come manovalanza violenta, poi specializzandosi nel narcotraffico internazionale (forte dei numerosi network consolidati in tutta Europa).

Considerando ciò che abbiamo sopra analizzato, risulta superfluo ribadire la necessità  di un intervento strutturale per affrontare le criticità che affliggono questi microcosmi rappresentati dalle carceri. Se, come sancito dalla nostra Costituzione, il fine ultimo della detenzione è la rieducazione, appare indispensabile disporre di un sistema penitenziario efficiente, all’avanguardia e capace di rispondere alle molteplici esigenze della popolazione carceraria. Solo in questo modo si potrà evitare che la detenzione si trasformi in un mero spazio di ulteriore emarginazione e abbandono, piuttosto che di riscatto.

Riflettere sui dati e sulle considerazioni esposte in questo articolo non ci pone di fronte solo a questioni di giustizia, ma anche di civiltà.

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Laureata in filosofia all'Università di Verona, inizia a lavorare come operatrice nel Sistema di Accoglienza e Integrazione. Frequenta il master Migrazione e sviluppo presso l'Università Sapienza di Roma, nel tempo libero studia la criminalità organizzata e scrive articoli di approfondimento sulle migrazioni e sulla criminalità.
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