Destiny, un destino evidente3 min read

21 Ottobre 2014 Giochi -

Destiny, un destino evidente3 min read

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Destiny

[divider scroll_text=”il culo di Rubik”]

Il 9 settembre scorso, dopo mesi di anteprime scaricatissime, è uscito in tutto il globo Destiny, un titolo per PlayStation e Xbox che pare, nomen omen, destinato a rivoluzionare il settore dei videogiochi.

Ambientato in un lontano futuro nel quale l’umanità contende a varie razze aliene il dominio sul Sistema Solare, Destiny è una sorta di incrocio tra Halo – la software house è la stessa, la statunitense Bungie – e World of Warcraft: uno sparatutto in prima persona con elementi di roleplaying game dove tutti i giocatori interagiscono online all’interno dello stesso mondo virtuale.

La parola chiave è “mondo”. Destiny, infatti, rappresenta un tentativo – non certo il primo, ma probabilmente il più riuscito – di creare un universo fittizio con un grado di complessità paragonabile alla vita reale. Lo è a livello tecnico, tanto che è già predisposto per l’uso degli Oculus Rift, gli occhialoni per la realtà virtuale che pare stiano per invadere il mercato. Ma lo è anche sul piano narrativo: la trama, curata dallo scrittore Joseph Staten, è pensata per evolversi nel tempo, in modo che il giocatore si trovi di fronte a eventi e situazioni sempre diversi. In sostanza Destiny non è concepito come un semplice gioco, ma come una vera e propria esistenza parallela.

Non stupisce che si tratti del videogame con il budget più alto della storia: 500 milioni di dollari, più del doppio di un film come Avatar.

Vi ricordate Avatar? è la storia di un uomo che sbarca su un pianeta lontano, si infiltra tra la popolazione locale e finisce col simpatizzare per gli alieni, tanto da scegliere di rimanere con loro e addirittura diventare uno di loro. A molti è sembrata solo una banale versione sci–fi di Pocahontas. Secondo me c’è sotto qualcosa di più.

Vi ricordate come funzionano le cose su Pandora, il pianeta di Avatar? Gli abitanti, chiamati Na’vi, sono dotati di una sorta di appendice, una specie di treccia–cavo grazie alla quale possono collegarsi a qualunque pianta o animale dell’habitat circostante. Ogni volta che un Na’vi compie il gesto di interfacciarsi a un albero o a uno strano mostro extraterrestre o a un altro Na’vi, è impossibile non pensare a due dispositivi che vengono collegati via cavo.

Appena te ne accorgi, l’intera vicenda assume la forza della metafora: i Na’vi sono utenti che si muovono all’interno di un programma – del resto la foresta di Pandora, interamente creata in CGI, è il frutto di un programma – e interagiscono con plugin e applicazioni. Mentre il protagonista è un uomo che, dovendo scegliere tra la realtà reale e quella virtuale, si lascia alle spalle la dimensione fisica – il mondo degli uomini, popolato da attori in carne e ossa – per abbracciare un’esistenza totalmente digitale tra i Na’vi. D’altronde gli alter ego che usiamo nei videogiochi e nei social network si chiamano avatar

Come scrivevo poco sopra, Destiny non è la prima simulazione di vita e non sarà l’ultima: è solo la migliore, per ora. Ma cosa succederà quando i videogiochi diventeranno indistinguibili dalla realtà?

Badate: quando, non se.

Immagini| @BagoGames

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Classe 1975, è laureato in Lettere. Lavora come editor in campo letterario, televisivo e cinematografico. Vive con la sua famiglia a Segrate, in provincia di Milano.
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