Ddl Renzi 20 febbraio: corporazioni, lobbies del farmaco e il gioco della torre7 min read

5 Marzo 2015 Politica Politica interna -

Ddl Renzi 20 febbraio: corporazioni, lobbies del farmaco e il gioco della torre7 min read

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ddl renzi 20 febbraio
@aboutpharma.it

(a cura di Marco Cristiano Petrassi, avvocato e dottore di ricerca)

L’apertura di nuovi mercati alla concorrenza è l’argomento sull’agenda di ogni governo italiano negli ultimi dieci anni. Dal 2006 e dalle famigerate lenzuolate del ministro Bersani i governi hanno periodicamente predisposto provvedimenti diretti a consentire una liberalizzazione dei mercati e una riduzione dei costi per i consumatori.

Tra i settori più frequentemente esposti alle cure governative e alle sforbiciate, vere o presunte, dei vari liberalizzatori vi è quello dei servizi tradizionalmente riservati ai professionisti intellettuali o agli iscritti a un determinato ordine professionale.

La pressione politica e mediatica è talmente alta che notai, avvocati e farmacisti si sentono ormai additati come la causa di ogni lentezza e stagnazione dell’economia italiana. Se è vero che ordini professionali e sindacati di categoria sono spesso arroccati in posizioni di chiusura rispetto ad ogni proposta di cambiamento dello status quo, dall’altra parte, gli opinion makers della liberalizzazione sono di solito poco disposti ad ascoltare le ragioni delle associazioni professionali e bocciano insoddisfatti qualsivoglia soluzione di compromesso. Questa contrapposizione dialettica è andata in scena anche nel caso del Ddl approvato dal Governo Renzi lo scorso 20 febbraio 2015.

Da alcuni mesi i rumors politici anticipavano la possibilità di un intervento del Governo nel settore della distribuzione del farmaco secondo due direttrici: la vendita dei farmaci di fascia C (anche con obbligo di prescrizione medica) fuori delle farmacie alla sola condizione della presenza di un farmacista e la riduzione da 3.500 a 1.500 abitanti del quorum necessario per l’apertura di nuovi sedi farmaceutiche. Del resto, entrambe le misure erano contenute nella proposta di riforma concorrenziale pubblicata nel luglio 2014 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Di fronte alla possibilità di adottare queste nuove misure Federfarma, il sindacato dei farmacisti titolari di farmacia, ha opposto una strenua resistenza argomentando la propria posizione essenzialmente sulle specificità del bene farmaco rispetto ad altri beni di consumo e sulla conseguente necessità di salute pubblica di evitarne un uso indiscriminato. A sostegno delle ragioni della categoria, si sono schierati anche l’Aifa, alcune Regioni ed alcune associazioni dei consumatori.

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Ddl Renzi 20 febbraio: corporazioni vs lobbies?

Il risultato dell’opera di lobbying è stata l’espunzione dal Ddl di qualsivoglia ipotesi di distribuzione dei farmaci con prescrizione fuori delle farmacie e delle misure dirette alla riduzione del quorum di abitanti necessario per l’apertura di nuove farmacie.

Tuttavia, piuttosto a sorpresa, il Ddl prevede una misura finora mai presa in considerazione: la possibilità di acquisto della proprietà della farmacia anche da parte di soggetti sprovvisti della laurea in farmacia.

Finora, e finché il Ddl non verrà approvato, la proprietà e la titolarità della farmacia erano e sono riservate a farmacisti vincitori di concorso o che, risultati idonei all’esame di stato per l’esercizio della professione, abbiano acquisito la proprietà dell’azienda farmaceutica.

La norma prevista dal Ddl consentirebbe invece anche a società di persone e di capitali, pure se partecipate da persone sprovviste del titolo di farmacista, di acquisire la titolarità e la proprietà della farmacia.

Ulteriore novità del Ddl è la prevista abolizione del limite massimo di quattro farmacie acquistabili da ciascun soggetto. I primi commenti alle nuove disposizioni hanno evidenziato come, tramite tali misure, potrà fare ingresso in Italia l’esperienza delle catene di farmacie. Il governo ha giustificato la riforma come uno strumento che consentirebbe il rafforzamento patrimoniale delle aziende già presenti sul mercato; gli esponenti del governo segnalano inoltre che, grazie all’eliminazione del limite massimo alla titolarità e proprietà della farmacia, sarebbe possibile anche in tale settore la realizzazione di economie di scala e risparmi di costo anche a vantaggio dei consumatori.

È difficile prevedere quale sarà l’effettiva portata delle nuove misure e se, davvero, la loro attuazione comporterà dei benefici per i consumatori. Certamente, invece, le nuove previsioni rappresentano la conferma del radicale mutamento della politica del legislatore in questo settore. Fino alle prime liberalizzazioni il mercato delle farmacie e della distribuzione del farmaco era caratterizzato da una stretta rigidità degli accessi.

Come si è già anticipato poco sopra, la titolarità della farmacia poteva essere acquisita solo per concorso o per acquisto, per compravendita o per successione ereditaria. Ai farmacisti era vietata la titolarità di più di una farmacia a testa (limite solo recentemente aumentato a quattro); infine, al titolare che avesse venduto una farmacia era fatto divieto di procedere all’acquisto di un’altra per tre anni dalla vendita della sua precedente azienda.

La disciplina così sinteticamente descritta era evidentemente diretta a evitare qualsiasi speculazione da parte dei privati nel settore della distribuzione del farmaco. Nella stessa direzione operava il divieto di praticare sconti sui farmaci da parte dei singoli farmacisti.

Nel disegno del legislatore i farmacisti mantenevano quindi l’esclusiva della distribuzione retail del farmaco, ma vedevano limitata la propria capacità imprenditoriale in vista della tutela dell’interesse alla salute pubblica. In estrema sintesi, la posizione di vantaggio dei farmacisti era effetto riflesso di una politica fortemente dirigista in tema di salute pubblica.
Che da tale sistema derivasse un danno per il paziente consumatore è tutto da dimostrare.

Innanzitutto, un simile sistema ha consentito una presenza capillare sul territorio, anche in zone commercialmente poco appetibili. Ciò è stato recentemente riconosciuto a livello comunitario, con sentenza del 5 dicembre 2013, anche dalla Corte di Giustizia che, dichiarando la compatibilità con i principi del trattati della limitazione della vendita dei c.d. farmaci di “fascia c” solo all’interno delle farmacie, ha pure sottolineato come i detrattori del sistema italiano non avessero indicato un modello di distribuzione che garantisse lo stesso obiettivo con la medesima efficacia.

Preso atto della decisione della Corte di Giustizia, è chiaro che l’eventuale liberalizzazione della vendita dei farmaci in Italia e gli altri interventi di apertura del settore dei medicinali e delle farmacie alla concorrenza non sono temi imposti al nostro Governo dall’appartenenza all’ordinamento comunitario ma sono questioni essenzialmente politiche.

Questa consapevolezza deve guidare l’analisi della riforma proposta dal Ddl che, se approvata, eliminerebbe molti dei divieti che caratterizzano il nostro ordinamento farmaceutico. L’ingresso di soggetti patrimonialmente forti consentirà probabilmente la diffusione di innovazione anche nella distribuzione del farmaco, settore merceologico suscettibile come tutti di ammodernamento e miglioramento.

Probabilmente, l’iniezione di capitali in questo particolare mercato produrrà un aumento delle assunzioni di giovani farmacisti da parte dei nuovi e grandi operatori, più di quanto sarebbe possibile, almeno nel breve periodo, da una riduzione della pressione fiscale incidente sul costo del lavoro.

È pure possibile che la costituzione delle grandi catene di farmacie consentirà una riduzione dei prezzi dei farmaci a pagamento o, comunque, un contenimento del loro progressivo rialzo.

Va però evidenziato che, con la annunciata riforma, la speculazione economica verrebbe degradata da pericolo intollerabile a rischio accettabile nel nome della concorrenza. E non è neanche scontato che, dalla eliminazione del limite massimo alla titolarità e proprietà della farmacia e dalla possibilità di conseguire economie di scala, derivino risparmi di costo a vantaggio dei consumatori: le economie di scala, infatti, consentono una riduzione dei costi, che però si riflettono sui prezzi nella misura in cui l’impresa sia interessata ad offrire sul mercato i beni a prezzo più basso.

Non è poi remoto il rischio che la diffusione delle catene di farmacie e l’ingresso del grande capitale anneghino il rapporto tra il farmacista e il paziente nelle logiche del mercato, privando il primo dell’indipendenza tipica del professionista ed il secondo di un ultimo presidio alla propria salute.

La presenza di operatori di grandi dimensioni conformerà il mercato che, un tempo caratterizzato dall’oligopolio diffuso dei vecchi farmacisti, sarà spinto verso un oligopolio ristretto e costituito da grandi operatori.

In altre parole, con la comparsa delle grandi catene andranno invece via via scomparendo le piccole aziende farmaceutiche e un altro pezzo della vecchia classe media. L’apertura del mercato della distribuzione del farmaco alla concorrenza è dunque un’ipotesi che ha sia luci che ombre.

Considerati gli interessi pubblici e sociali in gioco, la scelta dell’uno o dell’altro modello e l’individuazione di soluzioni di compromesso sarebbero il terreno di prova del buon politico. Se è vero che i vecchi farmacisti rappresentano una corporazione, si è aperto, anche nel settore della distribuzione del farmaco, il tempo delle lobbies. Il sospetto è che per il paziente e consumatore la scelta stia nel gioco della torre.

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