Cos’è il Next Generation EU, piano per la ripresa dell’Europa8 min read

18 Maggio 2021 Europa -

Cos’è il Next Generation EU, piano per la ripresa dell’Europa8 min read

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Lunedì 10 maggio, giorno successivo all’Europa day in cui si commemora la dichiarazione di Schuman, il primo Vice Presidente della Commissione europea, Valdis Dombroskis, ha annunciato per luglio i primi pagamenti per i Recovery plan degli Stati membri, collegati al piano europeo noto come Next Generation EU. Ma cos’è il Next Generation EU? Che obiettivi ha? E come mai è così rivoluzionario?

Al 30 aprile 2021 sono stati consegnati alla Commissione 14 piani nazionali, fra cui il PNRR italiano, e la Commissione europea si aspetta che la maggioranza dei Paesi li consegneranno entro fine maggio-inizio giugno. Sulla base dell’analisi dei piani, la Commissione proporrà al Consiglio dell’Unione – l’organo che rappresenta i Governi degli Stati Membri dell’UE – l’erogazione della prima tranche di risorse (all’Italia spettano complessivamente 249 miliardi di Euro). Poi, se gli obiettivi e le milestones dei piani saranno rispettati, arriveranno anche le seconde tranches, già entro fine anno.

Seppur 8 Stati membri non abbiano ratificato il mastodontico piano di aiuti varato dall’Unione (tre lo faranno in questa settimana e gli altri entro giugno), si può dire che il gigante abbia iniziato a muoversi, e che dalla fase progettuale si stia passando a quella realizzativa.

Cerchiamo dunque di comprendere cos’è il Next Generation EU, da noi noto anche come Recovery Fund, e la portata storico-politica del piano per la ripresa europea.

Next Generation EU, un piano per la ripresa dell’Europa

Per contribuire a riparare i danni economici e sociali causati dalla pandemia di coronavirus, la Commissione europea, il Parlamento europeo e i leader dell’UE hanno concordato un piano di ripresa che aiuterà l’Unione ad uscire dalla crisi e getterà le basi per un’Europa più moderna e sostenibile.

La Commissione europea ha così presentato il gigantesco pacchetto di risorse, di cui il Next generation EU fa parte.

Una nuova crisi, una reazione differente

Spesso è stato osservato che il processo di integrazione europeo avanza a balzi, a strappi, magari dopo periodi di stallo, oppure non avanza. Così è anche questa volta, mentre assistiamo al balzo più significativo della sua intera storia, ben più importante anche dell’introduzione della moneta unica. E vedremo perché.

È molto utile fare un confronto fra la crisi di dieci anni fa, che nacque come finanziaria e poi dilagò in crisi del debito sovrano e recessione, e la crisi di oggi. Ma soprattutto, è utile confrontare la reazione europea di allora, e quella di oggi.

Dieci anni fa l’Europa si disgregò, ognuno per sé o quasi, con aiuti consentiti solo sotto condizioni draconiane (la Troika), e con accuse di assenza pressoché totale di solidarietà, in favore del paradigma dell’austerità.

Un certo grado di rigore e di severità delle condizioni fu invero necessario, e col tempo ha portato alla ricostruzione di un sistema finanziario europeo solido che, in particolare grazie alla creazione dell’Unione bancaria, ci consente oggi di affrontare questa crisi epocale senza temere un effetto disastroso sui bilanci delle banche e, di seguito, nuovamente sull’economia. Tuttavia non si può negare che l’atmosfera fosse ben differente: diffidenza reciproca e accuse trasversali, invece di solidarietà e senso di unità.

Si tratta di dieci anni fa ma – per fortuna – sembra un secolo fa. Oggi infatti la reazione è stata opposta: piena coscienza di un destino comune, in una crisi che ha colpito tutti, e la chiara determinazione di aiutare chi è stato colpito di più o chi è più debole, senza abbandonarlo al proprio destino nonostante le sue debolezze storiche e di propria piena responsabilità (il trattamento riservato all’Italia ne è esempio lampante). Questa svolta epocale si traduce in un programma di aiuti mastodontico nelle cifre.

Non è questo però il punto fondamentale. La vera novità politica, che plasmerà l’intero futuro dell’Europa per generazioni, è la messa in comune delle risorse, la mutualizzazione dei debiti sovrani (parte di essi) in un debito pubblico europeo, che garantisce emissioni europee (eurobond) per finanziare la ricostruzione e la ripresa.

Se ne parlava da 35 anni almeno. Ora è successo, e da qui non si torna indietro. Non ce ne siamo accorti forse, ma adesso l’Euroopa è una, non completa, ma una. Il prossimo passo storico sarà, presto o tardi, la creazione di un ministero unico del Tesoro europeo.

Le prime mosse della Commissione e della BCE

Prima ancora dell’annuncio dell’accordo su Next Generation EU, la Commissione europea e la Banca Centrale Europea hanno immediatamente reagito, in modi distinti ma collegati, tesi a garantire che gli Stati membri potessero reperire le risorse necessarie ad affrontare la crisi, anche indebitandosi, e che potessero efficacemente spendere tali risorse.

La Commissione ha sospeso il Patto di Stabilità e Crescita, che reca il vincolo del rapporto del 3% fra PIL e deficit (e quello del 60% fra PIL e debito pubblico). Così facendo ha consentito agli Stati di indebitarsi senza limite per far fronte all’emergenza.

La BCE ha proseguito nel solco del QE inaugurato da Mario Draghi, mediante il poderoso Pandemic Emergency Purchase Program (PEPP): un programma di acquisto di titoli sovrani e privati per 1.800 miliardi, inondando di liquidità il sistema (cioè stampando moneta) e contribuendo a mantenere i tassi di interesse bassi.

L’effetto combinato di queste misure è il seguente: uno Stato come l’Italia, con il terzo debito pubblico del mondo, ha potuto indebitarsi virtualmente senza limiti (effetto rimozione vincoli del Patto di Stabilità) e a prezzi bassi, cioè senza rischiare il fallimento sul proprio debito sovrano a causa di interessi elevatissimi che il mercato avrebbe richiesto (effetto acquisti della BCE).

Senza queste misure, che ancora non sono nulla se paragonate al Next Generation EU, un Paese come l’Italia sarebbe immediatamente fallito, e nel bel mezzo della pandemia del secolo. Infatti, a nulla varrebbe la teorica possibilità di indebitarsi a piacimento, che uno Stato avrebbe anche fuori dall’UE, se il costo di quel debito fosse insostenibile e portasse dritto al default.

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Photo by Martin Krchnacek on Unsplash

Cos’è il Next Generation EU

Spesso erroneamente definito Recovery Fund, il Next Generation EU è il più grande piano di aiuti e finanziamenti mai ideato nella storia, per un totale di 750 miliardi di Euro (e all’Italia spetta la fetta più grande, 249 miliardi). Dei 750 miliardi, 390 sono sussidi a fondo perduto, mentre i rimanenti 360 sono prestiti a tassi agevolati.

Gli stati membri avranno accesso alle risorse che saranno messe a disposizione in base a dei programmi, i piani di Recovery nazionali, che saranno soggetti a stretto monitoraggio in merito alla realizzazione delle misure che contengono e che devono mirare a dei punti chiave già individuati dalla Commissione europea nel suo work program: transizione verde, innovazione, riduzione delle disuguaglianze. Senza realizzazione, non saranno erogate le ulteriori risorse.

Ecco cos’è il Next Generation EU. Si tratta di un vero e proprio New Deal europeo che passerà alla storia, sia per le enormi cifre in ballo, sia – come detto – perché per la prima volta gli Stati membri dell’UE hanno deciso di fare debito comune. E non è stato facile arrivare a questo punto: convincere i cosiddetti Paesi frugali – Olanda e Finlandia in primis, ma poi anche i sovranisti Polonia e Ungheria – è stato un cammino difficile. Ma da dove arrivano dunque questi soldi, o in altre parole, chi paga?

Mutualizzazione delle risorse ed Eurobond

Ogni Stato membro mette a disposizione, pro-quota, delle risorse corrispondenti a parte del proprio bilancio. Queste risorse sono mutualizzate, confluiscono cioè in unico pool che costituisce la garanzia per l’emissione di titoli di debito comuni europei, chiamati spesso Recovery bond.

Si tratta, senza giri di parole, dei primi veri Eurobond di sempre, in quanto garantiti da risorse sovranazionali e non individuate in quelle di un singolo Stato. L’unica differenza sostanziale tra questi eurobond e, per esempio, i titoli di debito pubblico che l’Italia come ogni altro stato emette, è che questi ultimi sono garantiti dall’intero bilancio dello Stato emittente, mentre i primi saranno garantiti non dall’intero bilancio di tutti gli Stati membri, ma corrisponderanno a un ammontare prefissato.

Questi eurobond, proprio vista la garanzia europea, saranno titoli tripla A, e cioè di massima qualità e di minimo rischio per gli investitori, che ne sottoscriveranno ingenti ammontare. Il denaro pagato dagli investitori per comprare i titoli costituirà la gran parte delle risorse del Next Generation EU che saranno distribuite agli Stati membri.

In tal senso, perfino Ungheria e Polonia, dopo dura – e finta – resistenza si sono dovute piegare a uno degli elementi cardine di questo piano: gli Stati beneficiari devono rispettare lo Stato di diritto e le regole comuni europee delle democrazia.

Next Generation EU: obiettivi e monitoraggio

Come accennato, le misure a cui queste risorse sono destinate non possono essere misure qualunque, né possono essere dichiarazioni di intenti progettate e mai realizzate. Devono corrispondere agli obiettivi dell’Unione individuati dalla Commissione europea: ricerca e innovazione, lotta al cambiamento climatico, transizione ecologica, modernizzazione, riduzione delle disuguaglianze, parità di genere. Inoltre, l’erogazione delle varie tranche soggiace a un crono-programma di realizzazione soggetto a severo monitoraggio: senza la realizzazione concreta delle misure corrispondenti alla prima erogazione, non arriva la seconda, e via dicendo.

L’Italia ha annunciato, per la voce della Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che al primo punto delle riforme indicate nelle misure corrispondenti alla prima tranche di aiuti, vi è la riforma della giustizia. Se non si fa quella, e in pochi mesi, non arriveranno altri aiuti. E quindi forse, dopo averne parlato a non finire per 40 anni, si farà. Così come una vera transizione ecologica. E via dicendo.

Ancora una volta, per riuscire a combinare qualcosa, ce l’ha dovuto chiedere l’Europa.

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Milano, Dublino, Londra e Bruxelles. Specializzato in diritto bancario, dei mercati finanziari e dell'Unione europea, collaboro con le facoltà di Economia e Diritto di alcune università europee.
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