Libia: i dubbi sull’intervento italiano19 min read

16 Settembre 2016 Mondo Politica -

Libia: i dubbi sull’intervento italiano19 min read

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La richiesta di Sarraj. Lo scorso 8 agosto il governo libico di Tripoli, riconosciuto dall’Onu, ha formalmente richiesto l’intervento dell’Italia nella creazione di una struttura ospedaliera per garantire l’adeguato supporto medico alle truppe di Misurata. Gli alleati del premier Sarraj stanno infatti ormai da diverse settimane completando la liberazione di Sirte dalle milizie dello Stato Islamico, trovando però notevoli resistenze sopratutto nei quartieri uno e tre. La situazione umanitaria all’interno della città rimane critica visti i continui raid e attentati suicidi di Daesh. Malgrado la vittoria sembri a portata di mano, i rivoluzionari continuano a subire gravi perdite anche a causa della mancanza di strutture mediche adeguate dove potersi prendere cura dei feriti.

La risposta dell’Italia. Verso la metà di agosto, alcuni commissari della Difesa sono stati mandati in Libia per rispondere alla richiesta di Sarraj e compiere le adeguate valutazioni tecnico-logistiche. Grazie all’azione coordinata col ministero della Difesa libico, l’aeroporto di Misurata è stato individuato come luogo migliore dove predisporre il nuovo ospedale militare. Nella struttura è già presente un piccolo contingente delle forze speciali italiane, già intente ad offrire supporto logistico alle truppe di Misurata. Il presidio italiano si troverà comunque in una zona esposta ad azioni di guerra ed attentati terroristici ed è previsto un notevole dispiegamento di forze per garantire la sicurezza del personale sanitario e logistico: oltre alle forze di terra che accompagneranno gli operatori, sarà predisposta una nave da guerra dell’operazione Mare Sicuro che resterà al largo del porto libico e, nel caso di imprevisti, un aereo cargo C27-J dell’Aeronautica sarà sempre disponibile in loco per eventuali evacuazioni o trasporti di emergenza.

L’ospedale militare. Il 13 settembre il Ministro della Difesa Roberta Pinotti e il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni hanno presentato davanti alle Commissioni riunite Difesa ed Affari Esteri i dettagli della missione umanitaria denominata “Operazione Ippocrate”. Secondo quanto riportato dalla Pinotti:

Il contingente sarà formato da una aliquota per la funzione sanitaria che sarà composta da 65 medici e infermieri. Una seconda aliquota sarà composta da 35 unità per la funzione di supporto logistico generale necessaria per tutti i servizi alla vita quotidiana del personale. Una terza aliquota è invece composta da 100 unità ed è la vera e propria force protection, che agirà su tre turni, e riguarderà la sicurezza dell’ospedale e delle altre attività per impiantare l’ospedale.

La struttura garantirà cure, visite specialistiche ed interventi chirurgici. Inizialmente verranno preparati 12 posti di letto per le urgenze, che però diverranno 50 in ottobre, e sarà predisposta l’evacuazione in Italia di feriti non curabili sul posto. Inoltre, sei medici italiani con altri sanitari saranno inviati presso l’ospedale civile di Misurata per offrire supporto alla popolazione e lavorare in sinergia con l’ospedale nell’aeroporto. Il contingente, che conterà in tutto 300 militari fra personale medico e di supporto, partirà da la Spezia verso le coste libiche con la nave da sbarco San Marco dopo il definitivo via libera.

Le reazioni. Molto dura la reazione dei Senatori 5 Stelle dopo la relazione dei due Ministri:

Il passaggio odierno di Pinotti e Gentiloni davanti alle Commissioni riunite Difesa ed Affari Esteri si è dimostrato solo un’operazione di facciata per avallare decisioni già prese scavalcando il Parlamento. Ora a cose già fatte, il governo informa il Parlamento su un percorso assolutamente confuso e contrario al mandato ONU che auspicava la formazione di un governo di unità nazionale tra Tripoli e Tobruk.

Il dubbio è che dietro questo intervento umanitario possa mascherare la volontà di un intervento militare più diretto nella questione libica. Sempre secondo i Senatori 5 stelle

dietro la dicitura ‘operazione umanitaria’ si nasconde, in realtà, un intervento militare dell’Italia in Libia mai autorizzato dal Parlamento.

La situazione in Libia. Malgrado la sconfitta dell’Isis appaia ormai solo questione di tempo, la tensione in Libia rimane alta a causa delle iniziative militari del generale Haftar. Domenica 11 settembre gli uomini del generale sostenuto da Tobruk hanno infatti conquistato due grossi porti fra Sirte e Bengasi, nodi cruciali per l’esportazione di petrolio dalla regione. Le Guardie delle installazioni del petrolio che erano a difesa dei porti sono una milizia guidata da Ibrahim Jathran, che a luglio aveva stretto un’importante alleanza con governo di Sarraj. Secondo gli osservatori del Wall Street Journal gli scontri avvenuti domenica rappresentano il primo vero e proprio conflitto armato fra il governo di unità nazionale (di Sarraj) e quello di Tobruk (sostenitore di Haftar). Apparentemente, l’intento del generale è quello di prendere il timone dell’economia del Paese assicurandosi il controllo delle infrastrutture petrolifere libiche. Ricordiamo infatti che l’indotto derivante dallo sfruttamento e dalla vendita del petrolio corrisponde al 95% delle entrate statali. Con l’apertura di un nuovo fronte per il petrolio, Haftar ha palesato la sua intenzione di non voler scendere a patti col governo di Sarraj. Questo costringe l’Onu a rivedere nuovamente i suoi piani: l’ipotesi per l’apertura di un tavolo per la riconciliazione fra i due governi è definitivamente tramontata e adesso si aprono le porte per molti scenari bui. Il rischio più grande è che, una volta sventata definitivamente la minaccia di Isis, la Libia sia costretta ad affrontare una nuova guerra civile fra Tripoli e Tobruk per il controllo del petrolio.

27 giugno

Un Paese con tre governi. Nel gennaio del 2016 a Tunisi, il Presidente Fayez al-Sarraj annuncia la formazione di un nuovo Governo per la Libia che prende il nome di Governo di Accordo Nazionale (GNA). Il nuovo esecutivo è frutto di un lavoro congiunto fra i rappresentanti dei parlamenti di Tobruk e di Tripoli coordinati dagli operatori dell’ONU. Il governo avrebbe dovuto unire gli interessi della Libia divisa sotto un’unica guida riconosciuta dalla comunità internazionale e legittimata dai due Parlamenti libici. Le previsioni sono state troppo ottimiste. Sia il Presidente insediatosi a Tobruk, Aguila Saleh Issa, sia quello di Tripoli, Nuri Busahmein, hanno da subito dichiarato la loro opposizione all’esecutivo scelto dalle forze straniere. Proprio seguendo questa linea di pensiero, entrambi i Parlamenti libici hanno negato la fiducia al Governo proposto da al-Sarraj mettendo in difficoltà sia il neo-Presidente che le Nazioni Unite. Dopo diversi tentativi di conciliazione, nel marzo di quest’anno il Consiglio Presidenziale ancora ospitato a Tunisi chiede alla comunità internazionale di interrompere l’appoggio al Governo di Tobruk, fino a quel momento l’unico legittimato dall’Occidente, e riconoscere come esecutivo legittimo solo quello di al-Sarraj. Appena due giorni dopo dalla richiesta, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU invita le forze dell’Unione a non fornire più io proprio appoggio ai due governi libici e a concentrare il proprio sostegno sul Governo di Accordo Nazionale.

Il mancato insediamento a Tripoli. Dopo la legittimazione internazionale, al-Sarraj decide di insediarsi a Tripoli sotto la spinta delle Nazioni Unite trovando però l’opposizione di Khalifa Ghwell, capo del Governo della capitale libica. L’intero Consiglio Presidenziale, arrivato via mare, è costretto a stabilire la propria base operativa nella base navale di Abu Sittah, circondata all’esterno dalle forze governative pronte ad impedire il cambio di vertice ad ogni costo. Tuttavia, i deputati che avevano inizialmente appoggiato la nomina di al-Sarraj approfittano della precaria situazione in cui opera il Parlamento di Tripoli (il Presidente della Camera si è dato alla macchia per sfuggire alle sanzioni ONU) in supporto del nuovo Governo: sotto l’iniziativa di 70 deputati, il Parlamento approva il suo auto-scioglimento e si trasforma in un nuovo “Consiglio di Stato”, accogliendo la proposta dell’ONU per il nuovo assetto istituzionale. Dopo alcune prime voci di resa, il premier Ghwell ha smentito qualunque notizia di passo indietro e dichiarato illegittima l’iniziativa del Parlamento. Con un comunicato rivolto ai suoi ministri ha precisato:

Viste le esigenze dell’interesse pubblico e della situazione attuale che attraversa il Paese, siete pregati, ognuno nel suo campo, di continuare a lavorare secondo le disposizioni di legge e per garantire la continuità dei servizi ai cittadini. Chi applicherà le risoluzioni pubblicate dal cosiddetto Consiglio presidenziale di Sarraj sarà perseguitato dalla giustizia.

Il Governo di Tripoli continua attualmente ad emanare direttive e guidare i propri sostenitori, anche se il suo consenso fra la popolazione è più che mai ridimensionato in favore del Governo appoggiato dalla comunità internazionale, ancora in “ostaggio” a Tripoli.

Gli obiettivi di al-Sarraj. Il primo Consiglio dei Ministri è riuscito a riunirsi solo il 24 giugno scorso. Anche se il suo insediamento formale non è di fatto avvenuto, il Presidente al-Sarraj ha già delineato tre obiettivi principali per il suo Governo: definire l’entità e stabilizzare la situazione economica e di sicurezza nei territori sotto il controllo delle forze che lo sostengono; proseguire l’offensiva contro lo Stato Islamico coordinando l’iniziativa con le altre forze armate operanti nel Paese; cercare di allargare l’area di sostegno per il Governo di Accordo Nazionale anche fra gli oppositori interni e soprattutto verso il Parlamento di Tobruk che al momento, sotto la guida militare del generale Haftar, non riconosce ancora l’autorità di al-Sarraj.

Il generale Khalifa Haftar. Haftar è un veterano dell’insurrezione contro il regime di Gheddafi e col tempo ha saputo ritagliarsi un ruolo sempre più influente nei giochi di potere di Tobruk. Le sue conoscenze militari e la sua autorità sul campo gli hanno permesso di riunire sotto il proprio comando diverse formazioni di ribelli e signori della guerra locali. La sua popolarità verso la popolazione Cirenaica si è fatta sempre più grande date le continue offensive contro le formazioni islamiche estremiste attive nella regione e all’apparente incapacità del governo di garantire la sicurezza sul territorio. Alcuni lo accusano addirittura di essere un nuovo Gheddafi, pronto a prendere il controllo del Paese una volta normalizzata la situazione. Grazie soprattutto al sostegno dell’Egitto ricevuto dal Presidente egiziano Al-Sisi, dal febbraio 2015 è Capo di Stato maggiore e ministro della Difesa del Governo di Tobruk. Proprio lo scorso maggio, Haftar ha lanciato la sua offensiva contro l’Isis e le altre milizie jihadiste, sotto il nome di campagna “Dignità della Libia” il cui obiettivo finale sarebbe quello di ripulire la Libia dall’estremismo e dal terrorismo.

L’opposizione a Tripoli. La figura controversa a capo delle forze armate di Tobruk è il più fermo oppositore del nuovo governo di Tripoli ma allo stesso tempo il suo più prezioso alleato contro l’Isis. Queste le sue parole rilasciate durante un’intervista con l’emittente Libyàs Channel:

Non riconosco il governo di Al Sarraj, le sue decisioni sono solo pezzi di carta.

Secondo alcuni osservatori, la dura presa di posizione del generale evidenzia la sua intenzione di voler mantenere il potere in Cirenaica senza necessariamente promuovere la riunificazione del Paese. In ogni caso, la questione non rappresenterebbe al momento una priorità per il leader libico: l’offensiva contro Isis e la sconfitta definitiva degli islamisti sono per ora le uniche preoccupazioni di Haftar. Proprio in quest’ottica, lo scorso 24 maggio Haftar ha incontrato al Cairo i rappresentanti militari del Consiglio Presidenziale di al-Sarraj per coordinare l’azione militare contro Daesh. Grazie alla mediazione dell’Egitto, forte sostenitore del generale, Tripoli e Tobruk stanno unendo le loro forze per lanciare un attacco simultaneo su vasta scala contro le roccaforti dell’Isis per riuscire a paralizzare e fermare definitivamente l’avanzata delle bandiere nere. Si è anche parlato della possibile apertura di un dialogo fra i due Governi e fonti interne ai colloqui rivelano che vi è “un’intesa internazionale per rinviare le consultazioni politiche tra Sarraj e il presidente del parlamento di Tobruk, Aguilah Saleh, a condizione che questo non abbia ripercussioni sul coordinamento militare per la liberazione di Sirte.” La guerra contro l’Isis rimane quindi la prima priorità di entrambe le parti in causa.

I fronti interni

Sirte. Le milizie di Misurata hanno accerchiato la città di Sirte, vecchia roccaforte di Gheddafi ormai ridotta a città fantasma. Secondo gli ultimi report, i miliziani dell’Isis sarebbero ormai accerchiati e costretti in un area di 25 km quadrati. Sembra ormai questione di giorni prima che anche l’ultima resistenza cada sotto i colpi delle forze dell’esercito libico. Lo stesso portavoce dell’operazione militare, maggiore Mohammed al Ghasri, ha annunciato di:

avere informazioni che confermano che i miliziani dello Stato islamico stanno preparando i loro gommoni per lasciare Sirte attraverso il Mediterraneo.

Mezzaluna petrolifera. Le guardie petrolifere, guidate da Ibrahim Jadhran, hanno conquistato a fine Maggio il villaggio di Nawafiliya, la seconda roccaforte dello Stato Islamico in Libia dopo Sirte. Proprio sulla strada per la città roccaforte jihadista, hanno riconquistato anche Ben Jawad, un centro finora controllato dall’Isis. Le guardie petrolifere offrono pieno supporto al Consiglio Presidenziale di al-Sarraj i e non sono in buoni rapporti con le forze di Tobruk: il comandante Jadhran è una figura controversa nel panorama libico e lo stesso generale Haftar lo ha accusato di aver offerto sostegno a miliziani in combutta col governo di Ghwell.

Cirenaica. Le forze di Haftar si stanno invece concentrando soprattutto su Bengasi e Derna attualmente sotto il controllo del Consiglio dei Mujaheddin, cellula estremista accostata ad al Qaeda. Ma l’irruenza del generale rischia di aprire un ulteriore fronte interno: secondo quanto riportato dai media libici, i caccia del generale Haftar hanno bombardato nei giorni scorsi una base militare delle guardie petrolifere a ovest della città di Ajdabiya. Secondo le informazioni in mano alle forze di Tobruk, quella doveva essere una base di terroristi ma in realtà era un rifugio per gli alleati di al-Sarraj. La risposta di Jadhran non si è fatta attendere ed già ha promesso di rispondere all’attacco subito.

Le forze in difesa di Bengasi. Nei tentativi di riprendere Bengasi, le forze di Haftar si sono scontrate ad Ajdabiya con una nuova formazione di miliziani nota come i combattenti delle “forze di difesa di Bengasi”. Questa è stata bollata come cellula terroristica dal governo di al-Sarraj, ma è sostenuta dal governo di salvezza nazionale di Khalifa Ghwell. Lo stesso premier “ribelle” ha dichiarato che le forze di difesa di bengasi vogliono liberare Ajdabiya e Bengasi dai seguaci dell’ex regime di Muammar Gheddafi, facendo chiaro riferimento ad Haftar e ai suoi sostenitori.

24 agosto 2015

Il 23 Agosto del 2011 cadeva il regime di Mu’ammar Gheddafi in Libia, con la presa da parte dei ribelli di Tripoli e del quartier generale del dittatore deposto. In questi quattro anni si sono verificati numerosissimi scontri all’interno della stessa fazione ribelle, portando il Paese in uno stato di semi-anarchia con la formazione di due Governi distinti e la prosecuzione del conflitto armato su più fronti interni. La confusione sotto il cielo libico è grande. Ma qual è attualmente la situazione in Libia? Quali sono i protagonisti della guerra civile e che ruolo ha la comunità internazionale nel conflitto libico?

Cosa succede in Libia: cronologia

Dopo la caduta di Gheddafi, si sono svolte il 7 Luglio 2012 le prime elezioni libere in Libia dopo 42 anni di dittatura. A vincere le consultazioni è l‘Alleanza delle forze nazionali dei moderati laici di Mahmoud Jibril, ma il Paese continua ad essere dilaniato dagli scontri fra ex-ribelli che si rifiutano di cedere le armi dopo la caduta del regime: la fuga di Gheddafi e la conseguente instabilità politica dà occasione ai movimenti locali della formazione ribelle di rivendicare l’indipendenza del proprio territorio dall’autorità del Governo centrale di Tripoli. Ai disordini si aggiungono i movimenti di formazione islamista che erano stati oppressi e tenuti sotto controllo durante il regime. Molti si rifiutano dunque di riconoscere la legittimità del nuovo Congresso Nazionale Generale (GNC) libico. Da questo momento in poi si susseguono nel corso dei mesi 10 episodi particolarmente significativi che portano all’attuale situazione critica:

1) dal settembre 2012 al gennaio 2013 si verificano diversi attentati terroristici alle sedi consolari da parte di formazioni fondamentaliste;

2) dicembre 2012: nomina da parte del Parlamento di Ali Zeidan come capo di Governo;

3) aprile–maggio 2013: i miliziani filo-islamici assaltano e prendono d’assedio le sedi di diversi Ministeri;

4) 18 maggio 2014: parte l’iniziativa militare dell’ex generale Khalifa Haftar (denominata “Operazione dignità”) contro gli jihadisti;

5) 25 giugno 2014: la caduta del Governo di Ali Zeidan porta all’elezione di un nuovo Parlamento, riunito nella nuova Camera dei rappresentanti che prende il posto del GNC;

6) 13 luglio 2014: scoppia una vera e propria guerra civile fra le milizie di Zintan , alleate con il generale Haftar, e quelle filo-islamiche di Misurata intenzionate a prendere il controllo di Tripoli (iniziativa denominata da queste “Alba Libica”);

7) luglio 2014: scatta la grande evacuazione degli occidentali, italiani compresi e per motivi di sicurezza, la Camera dei rappresentanti ed il governo di Abdullah al-Thani, riconosciuto dalla comunità internazionale, sono costretti a insediarsi a Tobruk, in Cirenaica;

8) 25 Agosto 2014: malgrado i raid di Egitto ed Emirati Arabi contro le milizie filo-islamiche Alba Libica, queste riescono a prendere il sopravvento nella capitale insediando il nuovo Congresso Nazionale Generale ed imponendo un governo ‘parallelo’ vicino a “Fratelli Musulmani”, non riconosciuto dalla comunità internazionale, guidato da Omar al Hassi.

9) 16 gennaio 2015: le fazioni di Operazione dignità e Alba Libica concordano un cessate il fuoco.

10) 15 febbraio 2015: i miliziani dello Stato Islamico rivendicano la propria presenza nei territori libici.

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Cosa succede in Libia: i due Governi e l’Isis

Orientandoci seguendo la cartina, la Libia è ad oggi così divisa:

la parte orientale del Paese ed una piccola porzione dei territori al confine con la Tunisia, sono controllati dal Governo di Abdullah al-Thani con sede a Tobruk e legittimato dalla Camera dei rappresentanti. L’esecutivo di al-Thani è riconosciuto dalla comunità internazionale ed ha come alleati internazionali l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti. Le milizie interne che lo appoggiano sono riunite sotto “Operazione dignità”, formazione di carattere anti-islamista, e sono le Brigate di Zintan, le Forze Armate guidate da Khalifa Haftar, la Guardia degli impianti petroliferi (PFG) e le Milizie Tebu;

– la parte costiera occidentale e buona parte della Tripolitania è controllata dal Governo di Khalifa Ghwell con sede a Tripoli e legittimato dal nuovo Congresso Nazionale Generale. Questo esecutivo non è riconosciuto dalla comunità internazionale ma conta l’appoggio di alleati esteri quali di Qatar e la Turchia. Sotto “Alba libica” si raccolgono le formazioni armate in appoggio al governo di Tripoli e racchiude le milizie di Misurata, Camera Operativa dei Rivoluzionari Libici (LROR), al-Watan e le milizie Amazigh e Tuareg. Il Governo di Tripoli e “Alba libica” sono strettamente legati alla Fratellanza Musulmana, organizzazione islamista internazionale con un approccio di tipo politico all’Islam;

buona parte della regione che comprende la città di Sirte è attualmente in mano allo Stato Islamico assieme alle città di Derna e Bengasi, quest’ultima ancora contesa con le forze di Tobruk. All’Isis si è aggiunto anche la formazione islamica estremista libica di Ansar al-Sharia.

– la parte occidentale al confine con l’Algeria è controllata dalle milizie Tuareg, mentre le città di Bani Walid e Tawergha sono controllate da gruppi indipendentisti locali.

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Cosa sta facendo l’Onu?

Le Nazioni Unite hanno inviato sul territorio libico un mediatore per cercare di riappacificare i due governi in conflitto. Il compito dato a Bernardino León sarebbe quello di formare un governo di unità nazionale e di raggiungere un accordo sul cessate-il-fuoco definitivo. Tuttavia, un eventuale accordo e la formazione di un Governo nazionale di “largo consenso” non sarebbe una garanzia per la cessazione dei conflitti. Le milizie armate sono, infatti, soggetti autonomi che hanno scelto per propria convenienza quali interessi difendere. Nel momento in cui le prospettive di uno dei Governi dovesse divergere da quella dei gruppi armati è molto probabile che questi continuino le proprie attività in maniera autonoma. È evidente come il potere in Libia sia attualmente in mano alle formazioni militari e non a quelle politiche. Un intervento militare diretto da parte da parte di forze straniere è al momento infattibile visti i problemi legati all’organizzazione e alla gestione di una campagna militare in un territorio così frammentato ed ostile: la sola presenza delle forze delle Nazioni Unite attirerebbe sul territorio altri gruppi jihadisti e intensificherebbe la loro azione, trasformando la Libia in un campo di battaglia senza quartiere.

Quindi, il piano è al momento quello di favorire la formazione di un Governo unico di unità nazionale per dare alla comunità internazionale un interlocutore legittimo con cui discutere un piano d’azione contro gli estremisti e le milizie autonome ostili. L’inviato speciale León sta negoziando in Marocco con le diverse delegazioni libiche un piano per arrivare ad un “Governo di Accordo Nazionale”, ma lo scorso 24 luglio il parlamentare della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Al Sawhili, si è rifiutato di firmare la bozza di accordo presentata dall’inviato dell’Onu perché secondo lui “non contiene i principi di equilibrio e di riconciliazione e non porta stabilità al paese”. L’ostacolo più grande rimane al momento la mancata legittimità che il GNC di Tripoli attribuisce alla Camera dei rappresentati di Tobruk. Al Sawhili ha infatti aggiunto:

il fatto che la delegazione del Congresso di Tripoli abbia dialogato con i membri di Tobruk nel corso dei colloqui in Marocco non vuol dire che ne abbiano riconosciuto la legalità.

I migranti e gli italiani rapiti

A pagare il prezzo più alto a causa della guerra civile è come sempre la popolazione civile. L’inasprirsi degli scontri fra le varie formazioni ha portato una nuova ondata di migrazioni verso i Paesi vicini, soprattutto la Tunisia e l’Italia. Gli sbarchi sulle coste siciliani non si sono mai interrotti dall’inizio dei conflitti e non è bastato l’intervento dell’Unione Europea contro gli scafisti a fermare completamente di sbarchi. I trafficanti di esseri umani sono stati gli unici a trarre ampi benefici dalla situazione libica che ha permesso loro di allargare incontrastati il loro giro d’affari. Né il Governo di Tobruk né quello di Tripoli, dai cui territori partono buona parte dei migranti, sembrano intenzionati a dare una mano all’UE per contrastare in maniera significativa il business degli sbarchi. Dalla Camera dei rappresentati sono arrivate dichiarazioni piuttosto chiare secondo le quali

ogni azione militare condotta da eserciti stranieri sul territorio libico contro le reti dei trafficanti di esseri umani verrà considerata come una violazione della sovranità della Libia.

La situazione diplomatica con i governi libici si è complicata ulteriormente per l’Italia dopo il rapimento, lo scorso 20 Luglio, di quattro operai dipendenti degli impianti libici della ditta Bonatti di Parma. Il Governo di Tripoli ha subito puntato il dito contro l’”Esercito delle tribù”, una milizia alleata del generale Haftar di “Operazione dignità”. Il Governo di Tobruk ha ovviamente rigettato questa ipotesi, avviando un valzer di accuse reciproche con Tripoli che rende più difficoltoso il lavoro della nostra diplomazia nel tentativo di rintracciare gli italiani sequestrati. Entrambi i governi hanno comunque fin da subito smentito l’ipotesi che i rapitori siano legati al business degli scafisti, ipotesi poi confermata questa mattina con la richiesta di riscatto pervenuta all’intelligence da parte di un gruppo di malviventi apparentemente indipendenti. L’Italia probabilmente pagherà il riscatto per Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla prima che vengano venduti ai gruppi jihadisti della regione.

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Fiorentino di nascita, Web Marketing Specialist per diletto e Nerd di professione. Si nutre di cultura pop e vive la sua vita perennemente in direzione ostinata e contraria. Per Le Nius supporta l'area editoriale, in ambito politica, e l'area social. matteo@lenius.it
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