Cosa succede in Libano: conflitti, negoziazioni, giornali in bianco10 min read

22 Novembre 2018 Cooperazione Politica -

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antropologa e comunicatrice

Cosa succede in Libano: conflitti, negoziazioni, giornali in bianco10 min read

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cosa succede in Libano
Editor-in-Chief Nayla Tueni @annahar

Il 22 novembre in Libano si festeggia il “Giorno dell’Indipendenza” ma migliaia di persone nel giorno dei festeggiamenti sono scese di nuovo in piazza a Beirut per manifestare e per contestare le forze politiche che sei mesi dopo le elezioni ancora non hanno dato un nuovo governo al Paese. I blocchi politici principali di Hezbollah, quello di Harīrī (attuale primo ministro) che dovrebbe rappresentare i sunniti e il blocco maronita non riescono ad accordarsi sulla spartizione delle cariche politiche. Uno stallo politico che sta esacerbando non solo la crisi dei media, ma anche la situazione sociale ed economica dei cittadini.

Il Libano è uno stato dell’Asia Occidentale di circa 6 milioni di abitanti, grande più o meno quanto una regione media italiana. È un paese che si confronta da anni con una economia fallimentare, gioghi politici che si avvicendano lungo linee settarie o dinastiche, corruzione, ma anche crisi ambientale legata ai cumuli di spazzatura e la carenza di servizi, un numero altissimo di profughi siriani e palestinesi non riconosciuti come cittadini e forti interessi geo-politici da parte di altre potenze medio orientali.

Nel maggio 2018 si sono svolte le prime elezioni parlamentari dopo quasi un decennio e nel mese di ottobre 2018 il giornale libanese An-Nahar, il più grande quotidiano in lingua araba del Libano, è andato in stampa completamente vuoto, bianco, in segno di protesta contro il deterioramento della situazione politica e sociale nel paese.

Proviamo a ricostruire la complessa situazione del Libano, un paese che ospita un numero molto alto di rifugiati (circa 1 ogni 5 abitanti) e che, senza un adeguato sostegno dalla comunità internazionale, potrebbe implodere e diventare uno dei tanti altri paesi del medio oriente e nord africa da cui sarà necessario fuggire.

Il tortuoso percorso politico del Libano e gli anni dei conflitti

Il Libano è una repubblica semi-presidenziale con Parlamento unicamerale in cui vige un sistema confessionale. In base ad un’intesa costituzionale risalente al “patto nazionale” del 1943, il sistema confessionale  in vigore, non è mai stato modificato, se non in minima parte con gli Accordi Ta’if del 1989. Per cui, le più alte cariche dello Stato e sono riservate ai tre principali gruppi confessionali presenti nel paese: il gruppo cristiano maronita a cui è affidata la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri va a un musulmano sunnita e quella della Camera dei Deputati a uno sciita.

Diversi conflitti e molti anni di guerra civile (1975-1992) tra questi tre grandi gruppi confessionali segnano lo sviluppo del paese e la sua vita politica. La guerra civile tra i sostenitori di Hezbollah – il principale partito sciita in Libano, armato, filo siriano e appoggiato dall’Iran – e gli altri due gruppi confessionali maggiori – sunnita e maronita – si quietano negli anni novanta con il premier Rafik Harīrī, il primo leader civile dopo un lungo periodo. Tuttavia, i conflitti riprendono nel 2005 con la morte di Rafik, di cui viene accusato proprio Hezbollah[1].

Rafik viene ucciso nel febbraio 2005 a Beirut da un’autobomba, e il suo omicidio scatena una serie di attacchi politici verso Hezbollah e anti-siriani, provoca la caduta del governo e continue pressioni sulla Siria (accusata di essere il mandante dell’omicidio) per ritirare le proprie truppe dal Libano. Rafik Harīrī era un sunnita rappresentante anche dei libanesi cristiani, ed era contrario a Hezbollah e alle ingerenze siriane nella politica del paese. Con la sua morte l’assassinio politico e i movimenti anti-siriani cominciano a proliferare in tutto il paese e si intensificano di nuovo gli scontri civili. La “coalizione del 14 marzo”, alleanza anti-siriana guidata dal figlio di Rafik, Saad Harīrī, vince le elezioni e conquista il parlamento con Fouad Siniora primo ministro.

Nel 2006 scoppia la guerra tra le milizie armate Hezbollah e l’esercito israeliano[2] sul territorio libanese contribuendo ad aumentare l’instabilità politica. Nonostante la Risoluzione ONU (del 2006) per la cessazione delle ostilità, che impose il ritiro delle truppe israeliane dal Libano meridionale, nel 2007 nelle periferie di Tripoli, nel nord del Libano, scoppia una nuova rivolta nel campo dei rifugiati palestinesi di Nahr al-Bared, a cui non è mai stata riconosciuta la cittadinanza, capeggiati dal movimento estremista Fath al-Islam.

Poco più tardi, nel maggio del 2008, anche Beirut precipita in uno stato di guerriglia creando uno stallo politico nella formazione di un nuovo governo per quasi otto mesi. Nel 2009 la coalizione filo-occidentale del 14 marzo vince di nuovo le elezioni parlamentari e Saad forma un nuovo governo di unità, ma pochi mesi dopo Hezbollah mette di nuovo in crisi in governo, denunciando una probabile alleanza tra la lega del 14 marzo e Israele.

L’anno 2011 è un anno critico in tutto il mondo arabo[3] medio orientale e nord africano e in successione, i regimi tunisino, egiziano e libico precipitano a causa di diverse dimostrazioni spontanee e popolari, che diventano rapidamente scontri armati nei confronti di dittature decennali. In Libano, a gennaio del 2011, il governo guidato da Saad Harīrī entra in crisi quando i ministri Hezbollah e i suoi alleati si dimettono dal parlamento.

Nel frattempo, nel marzo 2011 scoppia la guerra civile in Siria che continua ancora oggi e che segna non solo la condizione politica del Libano, ma anche quella sociale e che tocca il suo apice nel 2013 quando in Libano si conteranno circa 700.000 rifugiati siriani in campi di accoglienza temporanei, tuttora aperti.

Dopo alcuni mesi di vuoto la carica esecutiva è assegnata a Najib Mikati, sostenuto da una maggioranza politica radicalmente diversa dalla precedente che era legata ai sunniti e cristiani maroniti. Lo spostamento dell’asse politico determina il rafforzamento del partito Hezbollah nella compagine governativa, sostenuto dall’Iran e Assad. Nel frattempo l’UE dichiara le frange armate di Hezbollah una organizzazione terroristica da controllare anche in Europa.

La vacanza della carica del Presidente della Repubblica tra maggio 2014 e ottobre 2016 e il progressivo indebolimento dell’unione parlamentare sono indice di una lunga crisi politica che vedrà il Parlamento votare ben 45 volte nelle elezioni del 2014 prima di poter raggiungere un quorum necessario per nominare un nuovo capo di Stato.

Nell’ottobre 2016 una soluzione per mediare tra i vari interessi politici tra sunniti e sciiti vede Michel Aoun, alleato e sostenuto da Hezbollah, diventare il nuovo Presidente della Repubblica Libanese e Saad Harīrī, sostenuto dai sunniti e maroniti, nuovo primo ministro. Nella battaglia regionale per il controllo sul medio oriente, tra Iran sciita e Arabia Saudita sunnita, l’elezione di Aoun viene vissuta come una vittoria per l’Iran, sostenitore di Hezbollah. L’Arabia Saudita principale alleato del fronte sunnita in Libano, nel tentativo di marginalizzare il fronte sciita su tutta la regione medio orientale, cerca da anni di marginalizzare gli sciiti del Libano, l’ingerenza siriana nella politica libanese e quindi di limitare la presenza di Hezbollah nel Parlamento libanese.

La crisi politica si aggrava con le ultime elezioni legislative del 6 maggio 2018[4] da cui il fronte sciita Hezbollah e l’estrema destra cristiana escono ancora più forti e iniziano a contendersi i principali ministeri con il gruppo parlamentare dei sunniti.

E qui arriviamo ad ottobre 2018: le accese discussioni fra le fazioni politiche stanno ritardano la formazione del governo e Saad Harīrī non è stato ancora in grado di formare un nuovo governo, da maggio scorso. Le fluttuazioni delle sue consultazioni e manovre politiche sono il risultato di forti disaccordi sulla distribuzione dei portafogli ministeriali.

In molti speravano che le elezioni parlamentari del maggio scorso, le prime elezioni democratiche in quasi un decennio, avrebbero potuto scuotere l’establishment politico e farlo uscire dallo stallo in cui versa. La crisi politica infatti si sta ripercuotendo non solo su quella dei media, ma anche sulla economia e la società civile libanese, come intende sottolineare la recente protesta del giornale An-Nahar.

L’11 ottobre 2018 An-Nahar è andato in stampa con pagine bianche, con una edizione e i social media completamente vuoti: il giornale ha dichiarato che non solo molti settori sono in crisi, ma che in particolare i media operano in un perenne stato di crisi e scarsa libertà, a causa dell’esaurimento dei finanziamenti e al calo delle entrate pubblicitarie. Ciò sta portando alla chiusura di molte aziende, tra cui giornali e case editrici affermate, al licenziamento di molti reporter e impiegati, come accade nella redazione di An-Nahar. Come ha dichiarato Nyala Tueni, la direttrice del giornale durante la conferenza stampa a Beirut:

Le persone sono stanche e An-Nahar è stanco di scrivere dei vostri pretesti politici e delle continue promesse vuote […] Il nostro messaggio è semplice, vogliamo una nazione prospera”

E ancora, la stampa bianca del giornale serve ad esprimere

il nostro senso di profonda responsabilità morale come istituzione della stampa sullo stato disastroso del paese.

Qualche giorno dopo la protesta di An-Nahar, the Arab Weekly online ha scritto: “Il Libano ha un debito pubblico che è circa il 150% del Pil, tra i più alti del mondo. Il nuovo governo dovrebbe ridurre questo deficit. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha esortato il Libano a mettere in atto degli aggiustamenti fiscali “sostanziali e immediati” per migliorare la sostenibilità economica del debito. Ma l’incapacità di formare un governo sta precludendo l’accesso a miliardi di dollari di prestiti e fondi a sostegno della economia, promessi dalla comunità internazionale, oltre a nutrire i timori di deterioramento del paese che potrebbero ripercuotersi sul valore della sterlina libanese. Formare un governo in Libano non è possibile senza il concorso di tutte le principali forze politiche perché il sistema politico si basa su un sistema di quote che distribuisce il potere tra i gruppi confessionali – politici del Libano. Ma un nuovo governo serve e permetterebbe a Beirut di effettuare significativi aggiustamenti finanziari […] è probabile che la formazione di un nuovo governo possa iniettare investimenti infrastrutturali per un valore di oltre 11 miliardi di dollari, promessi dalla comunità internazionale lo scorso aprile.”

Il 16 ottobre il primo ministro Saad Harīrī ha dichiarato di essere vicino alla formazione del nuovo governo, in realtà la dichiarazione non era credibile dato che è arrivata subito dopo l’ennesimo blocco dei lavori parlamentari da parte di Hezbollah ul numero di ministeri da distribuire alle diverse coalizioni politiche e un mese dopo in nuovo governo non è stato ancora formato.

Note

[1] Hezbollah ha sempre respinto le accuse nei suoi confronti che lo indicavano come esecutore dell’omicidio di Rafik spinto dal governo siriano, accusando invece i servizi segreti israeliani. In una recente dichiarazione ufficiale, forse nel tentativo di rinegoziare una pace e seggi parlamentari, il primo ministro Saad Harīrī leader della “coalizione del 14 marzo” anti-siriana, e che oggi è al suo terzo mandato, ha dichiarato ufficialmente di essersi sbagliato in base a dati di fatto, nel sospettare la Siria dell’omicidio del padre.

[2] La prima invasione israeliana in Libano risale al 1978, nel 1982 la seconda invasione e nel 1985 Israele si ritira verso la zona di sicurezza (del tutto auto-dichiarata) a sud del Libano.

[3] La scintilla della primavera araba viene comunemente identificata nel suicidio di Mohamed Bouazizi, un giovane ambulante tunisino datosi fuoco a Sidi Bouzid in segno di protesta per il sequestro della merce da parte delle autorità. Le notizie, ampliate dai social media, raggiungono altri paesi arabi, spronando le persone a manifestare per libertà e democrazia. In Yemen e in Siria il conflitto è ancora in corso, mentre in Giordania, Marocco e Bahrein si osservano dei movimenti di protesta che si concludono rapidamente, in seguito all’attuazione di alcune riforme.

[4] È importante ricordare anche che durante le ultime elezioni del 2018 è stata anche la prima volta che un nuovo movimento – la Kollouna Watani (We are All National) una coalizione di 11 gruppi della società civile – ha osato sfidare l’establishment correndo contro di esso e proponendo diversi candidati. Questo movimento ha le sue radici nelle proteste iniziate nel 2015, quando la gente è scesa in piazza per manifestare contro gli enormi cumuli di spazzatura che si accumularono a Beirut, la capitale (manifestazioni di cui parleremo in un altro articolo). Sapere della presenza di questo nuovo movimento politico, non solo ci aiuta a vedere un legame con i nuovi movimenti popolari che sono emersi negli ultimi anni in Europa e nel mondo arabo, ma anche a introdurre sullo scenario politico libanese già intricato un nuova forza politica che non sappiamo ancora quanto in futuro potrà pesare nella stabilità del paese.

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Antropologa e progettista, per Le Nius è project manager, content manager e formatrice. Nella vita studia e comunica progetti di cooperazione, in particolare progetti di sviluppo che fanno leva sui patrimoni culturali. Si interessa di antropologia dei media, è consulente per il terzo settore. info@lenius.it
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