Brexit. Giocare con il fuoco6 min read

1 Marzo 2016 Europa -

Brexit. Giocare con il fuoco6 min read

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Brexit: cos'è, quando si vota e quali conseguenze potrebbe avere
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Brexit: cos’è, quando si vota e quali conseguenze potrebbe avere

Il 15 febbraio 2016, David Cameron e gli altri Stati membri, riuniti nel Consiglio dell’UE, raggiungono l’accordo sulle misure che il Primo Ministro britannico richiede come condizione per il permanere del Regno Unito dentro l’Unione Europea. Il 23 giugno 2016, i cittadini britannici voteranno in un referendum per decidere se il loro Paese deve fare parte dell’Unione Europea, oppure uscirne. Brexit, appunto.

Uno potrebbe chiedersi, legittimamente: che succede? Il Regno Unito vuole lasciare l’UE, così, all’improvviso? È successo qualcosa e non ce ne siamo accorti? Confinano improvvisamente con la Siria e sono sommersi dai profughi e nessuno li aiuta? Sono travolti dalla crisi e la Germania gli impone regole dure per stare nell’Euro? Ah no, loro nell’Euro non ci stanno, di profughi ne prendono al massimo una manciata, vogliono farsi i fatti propri con le loro banche, giocare all’Impero con le ex colonie ma allo stesso tempo avere voce in capitolo nei fatti altrui per assicurarsi che le cose non funzionino. Chi volesse, se ha poco tempo, può concludere qui la lettura dell’articolo.

In ogni caso, to make a long story short, il Regno Unito non ha nessuna ragione al mondo per lasciare l’Unione Europea. Meglio, ha esattamente lo stesso numero di ipotetiche ragioni che avrebbe ogni altro Stato membro, sia per restare, che per andarsene. Anzi, a dire la verità, il Regno Unito ha molte più ragioni – e vantaggi indebiti e peculiari, a cui si assommano gli ulteriori che otterrà – per restare, visto che è, e sempre più sarà, l’unico Stato membro dell’Unione che potrà legittimamente rompere le scatole in casa altrui senza che nessuno possa avere voce in capitolo in casa sua. Ancora una volta, potremmo chiudere l’articolo qui. Ma proseguiamo.

Allora, perché tutto questo trambusto? Molto semplice: Cameron voleva essere rieletto. Tuttavia, il populismo di alcune frange xenofobe della politica inglese, UKIP (quelli a cui si è alleato il Movimento 5S nel Parlamento europeo) aveva fatto breccia nella disinformazione generale dell’opinione pubblica d’oltremanica (tutto il mondo è paese). Questo ha costretto Cameron a rincorrere la pancia di una porzione dell’elettorato. Per strizzare l’occhio agli xenofobi dentro e fuori dal suo partito, al fine di ottenere i voti necessari a sconfiggere il labour alle ultime elezioni, Cameron ha raccontato che i mali del Paese sono causati dall’Europa (anche qui vizio comune), e pertanto, se rieletto, ha promesso un referendum e una rinegoziazione dei rapporti fra Londra e Bruxelles.

Una volta rieletto, infatti, Cameron è andato in giro per l’Europa per raccontare, affranto, che Londra aveva diritto a regole specifiche e lasche, a un “trattamento speciale”. Ovvero, ciò che ha ottenuto il 15 febbraio 2016 presso il Consiglio UE. Infatti, se con il referendum gli inglesi decideranno di restare nell’Unione, tutti i parlamenti dei restanti 27 Stati membri UE dovranno approvare una modifica ai Trattati istitutivi dell’Unione, per consentire:

1) la limitazione all’accesso al welfare inglese da parte dei altri cittadini europei nel Regno Unito;

2) la protezione dell’industria finanziaria inglese – la City – dalle dure regole che l’UE impone alle banche dell’Unione (cioè, l’Unione Bancaria);

3) la garanzia che il Regno Unito non debba aderire ad un’Unione “sempre più stretta”, clausola dei Trattati che testimonia l’impegno degli Stati membri a proseguire sulla strada dell’integrazione.

Cosa diamine rimane del fare parte dell’Unione? Nuovamente, uno potrebbe chiedersi: e perché, di grazia, voi dovreste in qualche maniera avere un trattamento speciale, mentre per esempio la Grecia che non sa nemmeno da che parte girarsi accoglie centinaia di migliaia di migranti da sola e nessuno se la fila? Risposta: perché siamo inglesi, of course. E perché altrimenti magari ce ne andiamo fuori dall’Unione. Di fronte a tali ragioni solide e pregne di significato, verrebbe da rispondere come si usa a Roma, mediante la classica e concisa espressione che esprime una certa mancanza di interesse verso l’argomentazione addotta.

Ma la questione è talmente sgradevole, opportunista e pericolosa che rischia di farsi seria, perciò siamo costretti a dare importanza al problema che Cameron solleva. La sua mossa elettorale, pietosa quanto pericolosa, ha molte potenziali conseguenze.

Il Regno Unito ha da sempre avuto un rapporto complicato e particolare con il processo di integrazione europeo. Una cosa è ammettere questo, un’altra è basare su questo le ragioni per trattamenti speciali che non stanno né in cielo né in terra, sotto minaccia che

altrimenti ce ne andiamo.

Già oggi, Londra gode del regime del rebate, ottenuto dalla Thatcher, sui contributi che versa al bilancio UE: per farla breve, le tornano indietro in gran parte. Che uno stato ricco, che già gode di vantaggi del tutto ingiustificati, debba ottenerne altri, solo per restare dove gli fa comodo stare, seppur alle sue condizioni, è davvero vergognoso.

Con questo non si intende dire che l’UE starebbe meglio senza il Regno Unito. Al contrario. L’Unione Europea ha bisogno del Regno Unito almeno quanto il Regno Unito ha bisogno dell’UE. La cultura, la tradizione democratica e l’economia britannica devono fare parte integrante dell’Unione. E bisogna combattere perché non accada il contrario. Proprio per questo si rimprovera a Cameron di giocare col fuoco. E in particolare gli si rimproverano due cose.

Innanzitutto, proprio nel momento in cui l’Unione è scossa da spinte xenofobe, uno Stato benestante non può minacciare di uscirne, solo per ottenere di farsi i fatti degli altri, senza che nessuno si faccia i propri (se rimane nell’UE, infatti, il Regno Unito continuerà a partecipare ai negoziati sulle normative che si applicano a tutti, tranne che al Regno Unito stesso, almeno parzialmente). Con l’accordo del 25 febbraio, infatti, il Regno Unito mina alla base l’integrazione europea:

1) limiti ai diritti di libera circolazione dei cittadini UE;

2) limiti alla normativa finanziaria;

3) limiti al proseguire dell’integrazione stessa.

Su che basi? Nessuna. Il rischio enorme che si crei un precedente è concreto, e con esso lo sfaldarsi del più grande progetto democratico di convivenza fra popoli della storia.

In secondo luogo, si rimprovera a Cameron un elemento politico profondo: la miopia e la debolezza. L’Unione europea è stata creata non perché i popoli lo hanno votato, non sarebbe mai stato possibile. Questo è il compito degli statisti, che devono avere visione, conoscere i gravi rischi dei muri e delle divisioni e guardare avanti per scongiurarli. De Gasperi, Adenauer, Schuman, i padri fondatori dell’Europa, lo hanno fatto. Perché, nel rispetto del volere democratico, applicavano leadership, non followship. Cameron, invece – e non è il solo – corre dietro la pancia degli istinti più bassi solo per garantirsi un voto. Fare ciò, sbandierando il vessillo della difesa degli interessi nazionali, è vile e meschino.

L’integrazione europea significa che gli interessi nazionali di ognuno si raggiungono meglio e si contemperano con gli interessi degli altri. Il contrario è invece l’Europa del 1914. Sappiamo come è andata a finire.

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Milano, Dublino, Londra e Bruxelles. Specializzato in diritto bancario, dei mercati finanziari e dell'Unione europea, collaboro con le facoltà di Economia e Diritto di alcune università europee.
2 Commenti
  1. Saverio Gpallav

    Invocare lo spettro dell'Europa del 1914 come alternativa alla UE sempre più centralista, burocratizzata e priva di istituzioni democratimche mi pare una grossa forzatura. L'Europa, dopo la seconda guerra mondiale, ha invece conosciuto la pace anche quando i vincoli comunitari erano appena abbozzati e con nazioni che non sono mai entrate neppure nella Cee come la Svizzera e la Norvegia nonché prima della moneta unica e della UE, malata oggi di espansionismo annessionista verso i suoi vicini, vedi Ucraina, e di intolleranza interna contro i non allineati al pensiero unico di eurolandia. Una guerra tra stati europei occidentali è impensabile anche in caso di brexit. Ma resta un bello spauracchio da agitare per cercare di impressionare menti deboli. L'omicidio della deputata inglese ad opera di un folle rappresenta, di fatto, una manna per il fronte europeista in affanno. Un tempo ci si sarebbe chiesti 'cui prodest 'ma una semplice domanda, che, prima tra le tante, potrebbe sorgere spontanea, oggi non viene più neppure presa in considerazione. L'unica versione che si cerca di far passare è l'equazione: assassino fanatico nazionalista pro brexit = brexit male assoluto e i suoi fautori pericolosi esaltati nazionalisti

    • MoulesFrites

      Ognuno è libero di avere la propria opinione, ma se lei non vede nella situazione attuale il riproporsi del 1914, ovviamente con le dovute differenze perché è cento anni fa, le consiglio la lettura di alcuni storici contemporanei. Cosa che io ho fatto e che rappresenta la base di questa mio riferimento nell'articolo. Nazionalismo, radicalizzazione, chiusura delle frontiere. Peraltro, nel 1914 la situazione pre scoppio della guerra era molto tranquilla, era periodo di grandi progressi scientifici e culturali, di serenità, di belle epoque. Quindi non si meravigli che oggi molti storici vedano, giustamente, questo rischio. Qui non c'è nessuno spauracchio, qui c'è il rischio concreto che un'Unione pacifica e democratica cada a pezzi sotto la spinta di paura e bugie (guardi la campagna "leave" in UK), con tutte le conseguenze del caso. Se non si rende conto che l'Unione europea, pur necessitando di una revisione della governance, e' tutt'altro che un moloch burocratico, centralista e antidemocratico, temo che la sua opinione sua viziata. Una casa comune deve aver regole comuni e istituzioni comuni. Così come il Parlamento a Roma, c'è un Parlamento a Bruxelles, che peraltro costa la metà e funziona molto meglio, anche avendo 2 sedi. La percezione che Farage, LePen e Salvini stanno instillando nelle persone riguardo all'Unione europea e' un pericolo enorme, altro che spauracchio. Certo, ci sarà anche qualche pro Brexit che non è un fanatico nazionalista, ma allora peggio per lui, perché si è fatto fregare da una montagna di bugie, e il fatto di votare nella stessa direzione di fanatici nazionalisti ignobili avrebbe dovuto suonargli come immenso campanello d'allarme. Grazie in ogni caso per il suo commento.

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