Come si diventa cooperante?13 min read

27 Dicembre 2017 Cooperazione -

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Come si diventa cooperante?13 min read

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La cooperazione allo sviluppo ha molte frecce al proprio arco per scaldare i cuori di chi si interroga sul proprio futuro lavorativo: permette di girare il mondo conoscendo in profondità i contesti di lavoro, le culture, le persone; di operare per migliorare le condizioni di vita delle persone, ridurre le disuguaglianze, promuovere i diritti, superare i conflitti. Per questo molti giovani sono interessati a lavorare in questo settore e si pongono la fatidica domanda: come si diventa cooperante?

Abbiamo cercato di rispondere facendoci aiutare da un’esperta in materia: Silvia Fontana, che per lavoro si occupa di placement per un ente formativo ed è tra gli admin del gruppo Facebook Cooperanti Italiani, un gruppo di riferimento per chi si occupa di cooperazione in Italia, su cui si scambiano informazioni, vacancy e si aiutano gli aspiranti cooperanti a orientarsi nel settore.

Pocket Nius: da sapere in breve

1. Non esiste un percorso di studi definito per diventare cooperante. Ci sono sempre più corsi di laurea e master dedicati ma diventa cooperante anche chi è laureato in economia, ingegneria, agraria, medicina, giurisprudenza, comunicazione. E, ancora, si può diventare cooperanti anche senza una laurea, come logista, cuoco, meccanico.

2. Ciò detto, la cooperazione è un settore che si professionalizza sempre più quindi è consigliabile anche specializzarsi in un’area specifica, come diritti umani, acqua e igiene, nutrizione, pace e risoluzione dei conflitti.

3. È bene anche sviluppare tramite appositi corsi competenze tecniche fondamentali quali: scrittura di progetti, monitoraggio e valutazione, valutazione di impatto, auditing e gestione finanziaria dei progetti, fundraising, lingue straniere.

4. Serve poi molta esperienza sul campo. Si può iniziare con campi di lavoro all’estero, programmi giovanili come il Servizio Civile o il Servizio Volontario Europeo o programmi di tirocinio come lo UN Fellowship.

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Silvia Fontana in un progetto sul campo

Va detto, per iniziare, che diventare cooperante è un percorso con interessanti sbocchi lavorativi. Dopo qualche anno di difficoltà dovuto alla crisi economica – con il culmine del taglio dell’88% ai fondi pubblici destinati nel 2011 – il settore della cooperazione italiana ha ripreso un trend positivo: nel 2016 il fatturato delle dieci Ong italiane più grandi è cresciuto dell’8,75% rispetto al 2015.

Sono quasi 18 mila invece gli operatori impiegati nella cooperazione allo sviluppo secondo Open Cooperazione, che raccoglie dati da circa 143 organizzazioni del settore, esclusi gli impiegati del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e gli italiani impiegati nelle organizzazioni internazionali e agenzie ONU.

Come si diventa cooperante: cosa studiare

Le possibilità di impiego per chi vuole diventare cooperante sono molteplici, dal ruolo di capo-progetto impegnato nella gestione di un progetto di sviluppo, all’amministratore, sia sul campo che in sede, al logista, a figure meno conosciute ma in aumento, come chi si occupa di lobby e advocacy o chi si occupa di fundraising e comunicazione, fino a tecnici esperti come ingegneri, agronomi, medici, chiamati a svolgere il loro lavoro nei paesi in via di sviluppo.

Non esiste un percorso unico per diventare cooperante: rispetto al passato, in cui la professione si imparava soprattutto sul campo, ed era svolta da principalmente da volontari, oggi è richiesta, nella maggior parte dei casi, una formazione più specifica e professionale, che contempli un diploma post laurea, la conoscenza di almeno due lingue straniere e un minimo di esperienza sul campo.

Ciò non toglie che in questo settore sia possibile trovare lavoro anche senza un titolo di laurea, se però si hanno delle competenze tecniche e professionali ben specifiche.

Quanto alle lauree, nessuna è esclusa in partenza: sono richiesti ingegneri, medici, agronomi, ostetriche, biologi, architetti, insegnanti, ma anche preparazioni più trasversali (economia, sociologia, scienze politiche o comunicazione).

Esistono poi corsi di laurea orientati al settore, come cooperazione internazionale o scienze internazionali e diplomatiche. L’offerta formativa universitaria e post-laurea dedicata al settore si è notevolmente ampliata negli ultimi dieci anni. Fino a qualche anno fa erano poche le università e gli istituti che offrivano percorsi formativi specifici, a fronte di un’offerta attuale vasta e articolata.

Durante o dopo gli studi si pone la questione di come iniziare la carriera di cooperante. Un’opportunità è sicuramente rappresentata da alcuni programmi giovanili (SCN, SVE, UN Fellowship di cui abbiamo già raccontato in questa rubrica), ma anche un campo di lavoro all’estero o attività di volontariato in Italia possono rappresentare un buon inizio, valido anche per testare le proprie motivazioni.

Come si diventa cooperante: intervista a Silvia Fontana

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Silvia Fontana durante una conferenza internazionale

Come anticipato, Silvia Fontana ha una grande esperienza nella cooperazione allo sviluppo, occupandosi sia del placement di giovani in formazione che dello sviluppo del dibattito pubblico sul tema. Un’esperienza la sua davvero interessante e complessa, basata su una grande passione e una grande capacità di relazione. Abbiamo chiesto a Silvia di raccontarci il suo percorso, che può essere da stimolo e da confronto per chi vuole lavorare in questo settore, e dare qualche consiglio a chi si chiede come si diventa cooperante.

Silvia, innanzitutto: tu come sei diventata cooperante?

Gestivo fondi immobiliari e mi occupavo di Fusioni e Acquisizioni. Ho avuto la fortuna di lavorare e apprendere da persone appassionate e preparate nel mondo profit i principi di management e professionalità applicata a contesti molto complessi e dinamici, ma non era abbastanza per me. Ricordo il giorno che dissi al direttore delle mie dimissioni, ero già quadro allora, in una realtà dove stavo benissimo coi colleghi, ma non era abbastanza per me. Lui sgranò un poco gli occhi a dirmi:

Ma sei pazza? Vai in Armenia a fare cosa?

Alcuni colleghi e amici vicini al mondo finanziario mi dissero, in ordine: sei depressa, hai avuto una grande delusione d’amore, sei pazza. Mah, forse l’ultima.

Io ricordo solo che tutto iniziò per me davanti al mio specchio nella mitica casa di Piazza Piola 5 dove alla mattina mi chiedevo sempre: Chiedimi se sono felice, e da lì piano piano il percorso divenne più chiaro.

Ricordo di una cena dove con due tra le mie più grandi amiche ponemmo le basi del nostro cambiamento: una partì per Londra (ora è una manager della comunicazione), l’altra si sposò e io iniziai nella cooperazione come volontaria generalista a Gyumri, Armenia, in un centro educativo gestito da Suor Arousiag, da cui appresi moltissimo circa il significato ultimo della parola resilienza.

Il mio sogno era lavorare per Medici Senza Frontiere, mettere a disposizione quello che avevo imparato nel mondo del profit in zone di guerra, per i più vulnerabili. Inviai il curriculum a MSF Roma e ricordo di una chiamata da parte di Andrea, allora responsabile delle risorse umane, che diceva più o meno cosi: “Silvia, il tuo CV è fantastico, ma non sei mai uscita dai paesi cosidetti sviluppati, fatti le ossa e ritorna da noi”. Ascoltai il consiglio di Andrea, partii per l’Armenia per Mission Enfance e poi, dopo questa esperienza, MSF mi selezionò per un progetto nell’est del Congo come amministratrice di progetto. Da lì iniziò tutto.

Sulla base della tua esperienza e del tuo ruolo attivo sul gruppo Facebook dei Cooperanti Italiani, che consigli daresti a un giovane che si chiede come si diventa cooperante?

Su Facebook condivido informazioni per opportunità di lavoro e di conoscenza perché credo molto nelle dinamiche di comunità per il miglioramento di tutti. E questo parte da una mia esperienza personale. Ho avuto la fortuna di essere nominata Borsista di Pace dopo il mio lavoro con Mission Enfance e Medici Senza Frontiere. È una borsa che la Rotary Foundation concede a circa 80/90 persone al mondo ogni anno.

Questa borsa mi ha permesso di approfondire gli studi in economia dello sviluppo e politica pubblica in una delle scuole più innovative al mondo, la Sanford School of Public Policy, alla Duke University. Due anni e mezzo spesi con persone da tutte le parti del mondo, tutti animati dalla voglia di fare bene nelle nostre comunità, locali, regionali o globali.

Grazie alla Borsa faccio parte del network di Rotary Peace Fellows, siamo circa mille nel mondo, medici, giornalisti, educatori, manager, specialisti in WatSan (Water and Sanitation, il settore che si occupa dell’accessibilità dell’acqua e dell’igiene), pace e risoluzione dei conflitti, mediatori e mediatrici, insomma persone con tanti e diversi background che vogliono contribuire in maniera positiva alla nostra società.

Avendo ricevuto molto, voglio ora contribuire anche a livello italiano alla condivisione e riflessione sulle tematiche di cooperazione per migliorarci tutti. Una mia carissima amica, Laura Vigoriti, ha creato il gruppo di Cooperanti Italiani e ha avuto l’idea di mettermi come admin, mi è sembrata l’occasione giusta per promuovere condivisione di informazioni e idee.

Veniamo ai consigli per chi vuole diventare cooperante.

Come caratteristiche di base, sintetizzerei cosi: Preparazione, Passione e Pazienza.

Per la prepazione non c’è un percorso specifico, e la mia carriera descritta sopra ne è l’esempio. Direi comunque di associare conoscenze generali di cooperazione internazionale a corsi per acquisire competenze tecniche fondamentali, come: scrittura di progetti, monitoraggio e valutazione, valutazione di impatto (ancora poco sviluppata in Italia), auditing e gestione economico finanziaria dei progetti, conoscenza di donatori.

Rispetto ai donatori, per chi vuole iniziare a orientarsi, questi sono alcuni dei principali finanziatori di progetti di cooperazione allo sviluppo: la Direzione Generale ECHO – European Civil Protection and Humanitarian Aid Operations della Commissione Europea; la Direzione Generale International Cooperation and Development della Commissione Europea; l’agenzia inglese per la cooperazione DFID; per l’Italia, l’AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Nel gruppo di Cooperanti Italiani si trova un documento condiviso con le informazioni circa master universitari e professionali nella cooperazione internazionale (il documento è consultabile per i membri del gruppo). Chi poi ha interessi specifici su temi come i Diritti Umani, WatSan, Nutrizione e vuole nel lungo periodo occuparsi di un’area specifica, consiglierei percorsi specialistici, da fare magari dopo una laurea breve in cooperazione internazionale nei due anni di specialistica. Un aspetto da curare assolutamente è quello delle conoscenze linguistiche: inglese appurato, il francese resta un vantaggio competitivo importante con spagnolo, poi arabo e portoghese.

L’esperienza fuori dall’Italia anche per periodi brevi è sicuramente un primo passo importante per conoscere meglio i contesti dove poi le organizzazioni operano. Consiglierei poi una mappatura delle organizzazioni, volontariato per i profili più junior (studenti e/o neolaureati) e un percorso SVE (Servizio Volontario Europeo) o Servizio Civile seguito poi da entrata in una organizzazione della cooperazione.

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Silvia Fontana sul campo in India

Cosa ti piace di più del tuo lavoro in cooperazione e cosa invece ti piace di meno?

Sicuramente l’idea che il tuo operato possa contribuire alla società in maniera positiva è l’aspetto migliore del nostro lavoro. Quello che mi piace di meno – ed è per questo che insieme a tanti stiamo lavorando ad un certo tipo di cambiamento culturale – è la tendenza ancora diffusa all’approssimazione, alla mancanza di preparazione e al riferirsi a modelli vecchi e inefficaci di cooperazione da white savior, da chi cioè adotta una visione occidentale per approcciarsi allo sviluppo.

Sono per la cooperazione con modelli partecipativi attivi soprattutto su percorsi di cooperazione allo sviluppo. Per gli interventi umanitari invece chiaramente le sfide sono diverse e modelli più verticali sono necessari soprattutto nelle prime fasi di intervento, che devono però poi essere seguite da formazione e partecipazione delle comunità locali.

Quali sono secondo te le grandi sfide della cooperazione per i prossimi anni? E in particolare per la cooperazione italiana?

La più grande sfida è toglierci di mezzo e pensare a come supportare le organizzazioni locali. Lavorare insieme sul vero capacity development, sullo sviluppo delle competenze e dei saperi a livello locale, e cambiare radicalmente i modelli organizzativi. Si lo so, sto sognando, ma la collaborazione con molte organizzazioni locali e l’amicizia con molti attivisti locali mi hanno fatto riflettere in maniera critica sul nostro ruolo.

In un mondo perfetto e con fondi sostanziali e tempo, mi piacerebbe lavorare su una piattaforma di supporto alle Ong locali per arrivare a fondi istituzionali: a volte per mancanza di conoscenza su bandi, fondi, e su come scrivere un progetto, molti faticano a raggiungere i donatori istituzionali al di là della bontà del progetto e del team.

Per la cooperazione italiana, molto pragmaticamente, direi andare avanti su quanto definito con la legge 125/2014, con processi di miglioramento interno e riorganizzazione delle Ong – molti già in corso con sfide e grandi opportunità annesse. Un punto fondamentale a livello di management, per esempio, sarebbe quello di analisi critica sui vari dipartimenti e sulle pratiche utilizzate per vedere come migliorarle e modificarle direttamente se necessario.

Il tema della sostenibilità integrata (economica, sociale e ambientale) credo sia il fulcro da cui partire. Mi rendo conto scrivendo queste righe che poi la vita reale delle Ong è fatta di urgenze, mancanza di personale, tempo e fondi. Ad oggi credo che seppur necessaria tale tipo di analisi critica, sia purtroppo poco praticabile nella quotidianità delle Ong italiane, per questo la metto come sfida.

A livello universitario, sarebbe importante un maggiore allineamento tra il mondo accademico e le Ong con programmi di sviluppo di carriera specifici per coloro che vogliono iniziare nella cooperazione. Il tema del career development è a me molto caro, sostenendo diverse persone che si trovano a svolgere una prima esperienza di lavoro, e riscontro una mancanza di preparazione all’uscita dell’università sui programmi e progetti professionali personali.

Le sfide sarebbero quindi innumerevoli, ma forse la più attuale è relativa alla comunicazione verso chi non ci conosce. I recenti attacchi alle Ong sia da parte di leader politici che di persone comuni, del mio vicino di casa o dell’imprenditore di provincia, ci devono far riflettere su cosa possiamo fare per migliorarci e creare un dialogo con le persone con cui normalmente non parliamo. Non è facile sapete parlare a chi non mi/ci capisce, ma è necessario se vogliamo creare qualcosa di sostenibile, verso società più resilienti nel lungo periodo.


5 link per saperne di +

1. Il + conosciuto

Di tutti i programmi per consentire ai giovani di svolgere esperienze importanti nel settore della cooperazione – e in molti altri settori – il Servizio Civile Nazionale (che si può fare anche all’estero) è il più noto e diffuso. Questa la pagina di riferimento per la presentazione del programma e la pubblicazione dei bandi.

2. Il + nuovo

EU Aid Volunteer (EUAV) è l’ultimo nato tra i programmi del settore, e offre l’opportunità ai cittadini europei maggiorenni di partecipare come volontari esteri retribuiti in progetti di aiuto umanitario nel mondo per un periodo da 1 a 18 mesi. Lo avevamo presentato qui.

3. Il + vacancy

Vacany è il termine inglese molto utilizzato nel settore della cooperazione internazionale per indicare le posizioni lavorative di cui le Ong sono alla ricerca. Questa pagina di VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo consente di cercare le vacancy diponibili così come inserite da Ong italiane e internazionali, agenzie e associazioni che operano nella cooperazione.

4. Il + internazionale

ReliefWeb è un sito che pubblica informazioni aggiornate e attendibili sulle situazioni di crisi globali rivolte agli operatori del settore umanitario e della cooperazione, ma di interesse per tutti. Ha anche una sezione dedicata alle vacancy e una ai programmi formativi.

5. Il + vicino

Mekané è l’associazione che cura la rubrica Racconti di Cooperazione su Le Nius. È un ottimo esempio della varietà di percorsi che caratterizzano la cooperazione, e che hanno portato un gruppo di professionisti del settore con storie differenti a fondare l’Associazione nel 2012. Tra le altre cose Mekané si occupa di formazione e qui ne abbiamo raccontato la storia.

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Cooperante in giro per il mondo dal 2008 al 2014, co-fondatrice dell’associazione Mekané – ideas for development, dal 2017 progettista e valutatrice nel settore dell’educazione. Da sempre coltiva la passione di raccontare storie, soprattutto storie che allargano gli orizzonti e il cuore, alle figlie, agli amici, ai lettori di Le Nius.
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