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Come nascono le convenzioni sociali (e come uscirne)

come nascono le convenzioni sociali
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È un caldo venerdì di maggio e, come spesso mi capita, salgo sulla corriera, inconsapevole che questo viaggio mi porterà a riflettere su come nascono le convenzioni sociali. Tutti i posti davanti sono occupati, anzi, a dire il vero ci sarebbe un mezzo posto libero, ma di fianco a una donna così obesa da occuparne quasi due, di posti. I posti davanti sono per me l’unica soluzione possibile alla mia insofferenza verso i mezzi.

Così non ho scelta, mi siedo e la mia vicina di posto mi guarda sorpresa. Il nostro è un contatto coscia a coscia che dura un’ora, in cui ho modo di sentire la puzza di sudore emanata dalla sua camicetta sintetica e il tono delle sue uniche parole: “alla prossima scendo”, come a scusarsi di esistere.

Da cosa nasce il disagio di entrambe? La signora obesa ed io rappresentiamo una minoranza della popolazione e non stiamo viaggiando su un mezzo di tendenza. La situazione ci fa sentire fuori posto, perché non siamo previste: non è previsto un posto davanti assegnato a chi soffre i mezzi o uno doppio per chi è obeso, ci si affida unicamente al buon senso. Questo succede quando ci si trova al di fuori di quella che è considerata la norma.

Come nascono le convenzioni sociali?

Non sono una sociologa, ma spesso partendo da esperienze come questa mi interrogo sulla società e su come nascono le convenzioni sociali che la regolano. Ho l’impressione che la società non ami le minoranze e in generale chi è diverso, perché ha un’esigenza primaria di auto-conservazione, che obbedisce più a priorità quantitative che qualitative.

Secondo questo ragionamento le convenzioni sociali nascerebbero per tutelare lo status quo attraverso queste regole di riferimento generale, condivise dalla maggioranza. Tuttavia non posso fare a meno di notare che si tratta di convenzioni strumentali basate su semplificazioni, non certo di verità assolute. Eppure possono risultare discriminanti nei confronti di chi semplicemente é diverso, sia perché non può fare altrimenti, sia per scelta consapevole.

Molto grossolanamente, se non trovi un posto in cui rientrare, una casella riconoscibile, il messaggio che ti arriva dall’esterno è che sei sbagliato o quantomeno inopportuno, senza distinzioni. Dunque, il senso di inadeguatezza scatta ogni qualvolta ci si dimentica che si tratta di convenzioni sociali e non di certezze.

Per quale motivo è così facile che delle mere convenzioni si trasformino in certezze della maggioranza? In altre parole: come nascono le convenzioni sociali? A mio parere nascono dal funzionale incontro di due esigenze insite nell’essere umano. Una è la necessità di sicurezza, che abbisogna di modelli di riferimento e di guida rassicuranti, che caratterizza la maggioranza. L’altra è il desiderio di potere di una cerchia, che aspira a detenere il controllo della maggioranza. La cerchia mantiene questo potere nella misura in cui riesce a porre se stessa o i propri interessi come ciò a cui aspirare, cioè a creare dei modelli di riferimento auspicabili per tutti, che vengono assimilati come delle abitudini e diventano “normali”.

Questo potere di determinare quali sono le regole non scritte è insidioso, perché agisce a livello subliminale, dando una piacevole e rassicurante illusione di unità fondata sulla rimozione della diversità e sull’aggiunta di grigio a qualunque sfumatura.

Sul piano psicologico, sia il desiderio di potere sia quello di punti di riferimento nascono come reazione auto-protettiva alla percezione della propria fragilità. Da ciò si deduce che le convenzioni sociali sono un esorcismo contro la paura. Se non ti uniformi, non ti rendi riconoscibile e fai paura al mondo e persino a te stesso.

Come uscire dalle convenzioni sociali?

Concedetemi un pensiero ingenuo: non mi piace pensare che tutto si fondi sulla paura. Quest’ansia di controllo del diverso da parte della società la percepisco come una svalutazione della bellezza della varietà e quindi dell’essere umano, che sembra avere il terrore di conoscersi fino in fondo, in tutte le sue poliedriche sfaccettature. Insomma, l’uomo non è fatto solo di anticorpi: ha anche un cuore, un cervello.

Così come nascono le convenzioni sociali possono anche morire. Eppure il coraggio, la creatività, il pensiero trasversale, l’innovazione sono destinati a pochi individui, che spesso sono isolati e messi ai margini perché anticonformisti, che pagano con la sofferenza il prezzo della loro libertà fin quando non raggiungono un bollino di riconoscimento dato da un presunto successo, sempre misurato con i criteri della società, rischiando alla fine di essere comunque banalizzati e fagocitati dal sistema.

Forse l’empatia è la strada più efficace, perché spinge a mettersi in gioco, aprendo altre strade impreviste. Un’empatia imperfetta, ma reale. Siamo tutti fragili e di fatto siamo tutti sulla stessa scalcagnata corriera: facciamoci posto gli uni agli altri, e forse, nel mentre, ognuno proverà a creare un posto su misura per sé, magari un po’ scomodo, ma veramente suo.

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