Com’è andata con la DAD?10 min read

7 Settembre 2021 Educazione -

Com’è andata con la DAD?10 min read

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Il ritorno della didattica in presenza è la grande sfida dell’anno scolastico 2021/2022. Circa 8 milioni di studenti e studentesse sono pronti/e a tornare in classe, e lo fanno per restarci, almeno a sentire le parole del ministro dell’Istruzione Bianchi:

Non siamo mai stati fermi in queste settimane: il nostro obiettivo è chiaro, rientrare in presenza e in sicurezza. Ci sono le condizioni per farlo. Il Ministero non lascerà sole le istituzioni scolastiche. Dobbiamo tutti collaborare, mettendo al centro le studentesse e gli studenti e il loro diritto a tornare a scuola in presenza.

Al centro della strategia per raggiungere questo obiettivo c’è il vaccino, unito ad altre misure quali l’obbligo di mascherina (fatta eccezione per classi composte da soli studenti vaccinati), l’obbligo di green pass per tutto il personale scolastico, lo scaglionamento delle entrate e delle uscite.

Un piano che non convince tutti. La fondazione GIMBE, ad esempio, sottolinea che “le misure approvate con il decreto legge del 6 agosto non contengono rilevanti cambiamenti, a fronte di una variante del virus molto più contagiosa. Le numerose criticità che lo scorso anno scolastico hanno ostacolato, se non reso impossibile, lo svolgimento delle lezioni in presenza non sono state finora affrontate in modo risolutivo”.

Nonostante i dubbi sull’efficacia delle misure adottate però, l’addio alla didattica a distanza rimane la priorità assoluta del Governo.

La didattica a distanza, anche nota come DAD, da un anno e mezzo è entrata a far parte della vita di molte famiglie italiane. La pandemia ha infatti, tra le tante cose, stravolto il mondo della scuola italiana, che secondo la giornalista Elisabetta Tola “è entrato in una sorta di universo parallelo dove sono state letteralmente mandati per aria decenni di abitudini e pratiche consolidate, di ritualità, di modalità formative, anche di equilibri e rapporti tra chi insegna e chi impara. Uno shock collettivo che ha travolto milioni di bambini e ragazzi, i loro insegnanti e le loro famiglie”.

In questo caos in continuo divenire la DAD ha rappresentato una sorta di ancora alla quotidianità pre-Covid. Durante il lockdown della primavera 2020 è stato l’unico strumento capace di garantire la prosecuzione della didattica mentre veniva decretata la chiusura fisica delle scuole. La digitalizzazione ha permesso a milioni di studenti di non perdere un intero anno scolastico, di non mettere in stand by anche l’istruzione e di rimanere in qualche modo in contatto con il mondo esterno.

Nonostante l’importanza del suo ruolo, la didattica a distanza non è stata certamente esente da problemi, dovuti in parte alla sua stessa natura e in parte a difetti pregressi presenti nel nostro paese già da prima dell’avvento della pandemia. Vediamo quindi com’è andata con la DAD nella scuola italiana.

pro e contro dad
Photo by Thomas Park on Unsplash

Com’è andata con la DAD? Cosa dicono le ricerche

Una ricerca condotta nei mesi di marzo-giugno 2021 da Fondazione Agnelli e Centro Studi Crenos dell’Università di Cagliari ha fornito una fotografia dell’ultimo anno scolastico vissuto all’insegna della didattica a distanza, utile per capire anche com’è andata con la DAD. L’indagine ha riguardato un campione rappresentativo di 123 scuole secondarie di II grado italiane, statali e paritarie, e ha coinvolto 105 dirigenti scolastici, 3905 docenti e 11.154 studenti. 

Dall’indagine emerge una sconfortante incapacità della scuola italiana di reagire all’emergenza, se non con soluzioni poco creative e poco efficaci. Non sono stati infatti predisposti concreti cambiamenti a livello di metodologia e didattica. Nove studenti su 10 dichiarano che le uniche attività promosse sono state lezioni in video, verifiche e compiti. Solo in un caso su 3 sono state proposte attività di ricerca da svolgere in autonomia e/o in gruppo e in meno di un caso su 5 sono state sfruttate le piattaforme digitali più innovative con giochi didattici, app ed esercizi interattivi funzionali a mantenere maggiormente viva l’attenzione dei ragazzi dietro lo schermo.

I e le docenti hanno preferito mantenere un approccio tradizionale: le video lezioni frontali sono state la prassi più comune, come confermato dal 62% dei dirigenti scolastici intervistati. Il 91% degli studenti ha dichiarato di aver trascorso tra le 5 e le 6 ore al giorno collegato in video per attività in sincrono, e solo uno su 4 ha trovato più agevole interagire con i docenti al computer. Ma il dato più preoccupante riguarda il calo di attenzione e di motivazione: il 65% di studenti e studentesse ha denunciato un maggiore senso di affaticamento e il 73% una maggiore difficoltà a mantenere l’attenzione.

Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, ha confermato la scarsa capacità della scuola italiana di adattarsi alla didattica a distanza, sottolineando che “quasi tutte le scuole superiori italiane hanno riproposto online e in sincrono la tradizionale didattica basata su lezione frontale, compiti a casa e verifiche, senza un ripensamento dei tempi, delle attività e degli strumenti, che tenesse conto della differenza di fare scuola in classe o a distanza. E senza un vero sforzo di sperimentare strategie per valorizzare di più autonomia e protagonismo dei ragazzi. Ciò forse può in parte spiegare perché gli studenti rivelino la loro fatica a seguire le lezioni in DAD, a tenere alte motivazione e attenzione, a interagire positivamente con professori e compagni, difficoltà tipiche dell’apprendimento da remoto”.

Cosa ne pensano studenti e famiglie?

Secondo l’indagine condotta dall’Istituto Demopolis per l’impresa sociale Con i Bambini, la didattica a distanza non ha conquistato gli italiani. Degli oltre duemila intervistati, infatti, solo il 30% valuta positivamente il funzionamento della DAD. Il dato cresce leggermente al 34% tra i genitori aventi figli in età scolare e raggiunge il 48% tra gli insegnanti. 

Marco Rossi-Doria, vicepresidente di Con i Bambini, durante la presentazione dell’indagine ha sottolineato il peso della DAD sull’incremento delle disuguaglianze e della povertà educativa tra i minori italiani. Le debolezze strutturali della DAD hanno acuito discriminazioni economiche, sociali e territoriali pregresse.

Se chiediamo ai genitori poi com’è andata con la DAD, il quadro diventa ancora più complicato. Il 41% dei genitori intervistati ha ammesso di aver avuto difficoltà a garantire ai figli connessioni o dispositivi necessari per seguire agilmente le lezioni a distanza. Il 16% degli studenti è stato costretto a collegarsi tramite uno smartphone.

Sono soprattutto i nuclei familiari numerosi ad aver avuto difficoltà a garantire ai figli gli strumenti idonei per affrontare la didattica a distanza. Bisogna tener presente che le famiglie numerose sono quelle dove le difficoltà economiche sono più frequenti, e questo anche prima della pandemia.

In un simile studio dell’Unicef il 27% delle famiglie intervistate ha dichiarato di non avere abbastanza dispositivi per esigenze di lavoro e studio a distanza. Il numero dei dispositivi medi per minore tende a decrescere all’aumentare del numero dei bambini. E questo, chiaramente, si è rivelato un enorme problema in tempi di DAD. Ma non solo: il 6% di bambini/e e ragazzi/e intervistati/e non ha potuto prendere parte alle lezioni da remoto a causa di una connessione internet inadeguata

La pandemia ha messo infatti in luce i gravi problemi infrastrutturali e di connettività presenti in Italia e di cui nessuno si è mai seriamente occupato. Secondo l’indice DESI 2020 della Commissione Europea il nostro paese era al 25esimo posto per digitalizzazione dell’economia e della società e al 17esimo per connettività.

Solo un quarto delle famiglie italiane è raggiunto da una banda larga ad almeno 100 megabit per secondo e la banda larga fissa raggiunge solo l’80% di esse, lasciando di conseguenza scoperto circa un quinto della popolazione. Emerge dunque chiaramente l’importanza di procedere all’estensione della banda larga e ultralarga, soprattutto nelle zone meno coperte o completamente sprovviste di copertura. Estensione che dovrebbe costituire uno degli obiettivi principali dell’agenda governativa.

com'è andata con la dad
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Le conseguenze emotive e psicologiche

Sotto osservazione è stato anche il contesto emotivo e relazionale nel quale bambini e ragazzi hanno vissuto nell’ultimo anno e mezzo. Rossi-Doria ha sottolineato come dai dati raccolti emerga chiaramente che “oltre ai deficit di accesso e inclusività, una preoccupazione diffusa riguarda il contesto emotivo e relazionale di bambini e ragazzi. Dobbiamo recuperare la dimensione affettiva e di socialità perché l’esperienza vissuta con grande responsabilità da bambini e ragazzi è pari solo a quella dei loro bisnonni”. 

La scuola non è solo didattica. La socializzazione, fondamentale per la crescita e il corretto sviluppo, è stata pressoché assente per gran parte dei due ultimi anni scolastici. “I bambini sono nel pieno dello sviluppo e isolarsi e impedirgli di rapportarsi con i propri coetanei li danneggia. È in aumento anche il numero di casi di disturbi del linguaggio, bambini di due e tre anni che, non andando a scuola e non avendo contatti con altri bambini, riscontrano poi un ritardo dello sviluppo della parola”, spiega la psicologa e psicoterapeuta Alessia Sebastianelli. 

In tal senso desta molta preoccupazione l’aumento dei casi di autolesionismo e di tentato suicidio denunciato dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Secondo Stefano Vicari, primario dell’unità operativa complessa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale pediatrico romano, questo aumento è strettamente legato al Covid, il quale ha determinato sia nei ragazzi che nei bambini l’insorgere di disturbi di vario genere come irritabilità, ansia, sonno disturbato. “Mi dicono che si sentono inutili e soli. Che gli manca fare sport. Oppure andare a scuola”, racconta il dottore Vicari.

Naturalmente questo effetto non è da imputare alla DAD, ma è chiaro che la scuola in presenza, soprattutto se altri ambiti come sport e divertimento risultano poco praticabili, è almeno un’ancora per sganciarsi dalla solitudine e mantenere contatti sociali quotidiani con propri pari e adulti di riferimento.

Com’è andata con la DAD, quindi?

Sembrerebbe quindi che con la didattica a distanza non sia andata molto bene. Le scuole, al di là del primo periodo di estrema emergenza durante il lockdown della primavera 2020, non hanno saputo utilizzarla al meglio, semplicemente portando su schermo le metodologie didattiche convenzionali. Studenti e studentesse ne sono usciti/e affaticati/e, demotivati/e, e hanno appreso meno che non in presenza. Alcuni di loro, poi, non hanno proprio avuto accesso alla DAD, rischiando di ingrossare le fila dei già tanti bambini e ragazzi che abbandonano la scuola.

Nemmeno le famiglie hanno apprezzato la DAD: per molte di loro è stato estremamente faticoso conciliare lezioni in DAD magari di più figli, riunioni di lavoro e tutto ciò che si è spostato su schermo.

Sarebbe ingiusto però considerare la DAD un totale fallimento. Essa è stata l’unica risposta possibile per fronteggiare una situazione di emergenza del tutto imprevedibile e inattesa e se ha dato risultati è perché l’abbiamo forzata ad essere ciò che non è: un sostituto della didattica in presenza, come affermato anche da Gino Roncaglia, docente di Editoria digitale e informatica umanistica all’Università Roma Tre, secondo cui i periodi a distanza con strumenti digitali “sono pensati per accompagnare l’interazione in presenza e non certo per rimpiazzarla”.

Inoltre, come detto, le sue potenzialità non sono state pienamente sfruttate. Fare DAD non significa solo fare le stesse lezioni ma con uno schermo davanti ma si possono utilizzare una serie di strumenti, anche molto interattivi, di cui però scuole e docenti non erano consapevoli né sono stati formati ad esserlo.

Infine, c’è il problema strutturale. Nel suo rapporto annuale 2020, l’ISTAT ha osservato che:

L’Italia ha affrontato lo shock della pandemia in una situazione di svantaggio consistente nel confronto con gli altri paesi avanzati, sia in termini di livelli di scolarizzazione che di digital divide.

L’Italia è uno dei paesi d’Europa che usa meno i servizi digitali. Solo il 20% degli adulti in Italia ha elevate competenze digitali. La media europea è invece del 30% e alcuni paesi (come Danimarca, Olanda, Svezia, Regno Unito, Finlandia) raggiungono il 50%.

Potenziare la digitalizzazione del paese è quindi il primo passo per mettere la DAD nelle condizioni di poter essere fruita al suo meglio. In secondo luogo, sarebbe opportuno porre rimedio a quelle che sono da sempre le principali problematiche del sistema scolastico italiano, come le cosiddette classi “pollaio” sovraffolate, i trasporti carenti e insufficienti, l’inesistenza di sistemi di aerazione adeguati. Tutti interventi necessari per garantire il ritorno in aula di studenti e studentesse senza al contempo mettere a rischio la loro sicurezza.

La scuola italiana si trova dunque ad un bivio e la pandemia può rappresentare l’occasione ideale per innescare un suo radicale cambiamento, sia infrastrutturale sia didattico. Vedremo se la politica educativa, e la scuola stessa, ne saranno all’altezza.

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Laureata in Giurisprudenza con una tesi dedicata ai fatti di Genova 2001, oggi si divide tra la pratica forense e la scrittura. Appassionata di politica nazionale e internazionale e di diritti umani, segue con interesse tutto ciò che riguarda questi ambiti.
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