Chi sono i clienti del non profit: suddividere il mercato in target-group12 min read
Reading Time: 9 minutesCome associazione culturale Le Nius facciamo informazione su temi sociali, e affianchiamo chi si occupa degli stessi temi perché li racconti meglio: offriamo formazioni e consulenze sulla comunicazione digitale ad organizzazioni non profit, enti pubblici, università, testate giornalistiche. Per saperne di più.
Come già anticipato, dedichiamo una serie di contenuti agli operatori del Terzo Settore, finalizzati a comprendere meglio le metodologie di marketing e gli strumenti della comunicazione. L’obiettivo è aiutarli a prendere decisioni migliori e a crescere, per il bene di tutto il settore.
Un chiarimento iniziale è dunque necessario: vedere il marketing come il male non è saggio. Anzi, la disciplina del marketing, intesa come lente interpretativa dei fatti, come cassetta degli attrezzi ed insieme di processi per migliorare l’operato di un ente ed accrescere il suo valore sul mercato, è oggi più che mai fondamentale.
L’ultimo censimento Istat mostra come nel quadro italiano compaiono 336.275 istituzioni non profit, in crescita del 10% rispetto al 2011, con 789 mila dipendenti (+15% rispetto al 2011) e 5,5 milioni di volontari (+16% rispetto al 2011). Questi dati, seppur aggregati, mostrano un trend strutturale di crescita per tutto il settore, che sfocia in creazione di occupazione, opportunità imprenditoriali e sempre maggiore capacità di management.
Insomma, come per il mondo profit, anche tra le organizzazioni non profit (ONP) la concorrenza è accesa: sono in tanti a contendersi l’attenzione sempre più fragile del pubblico e i media digitali hanno aumentato ancora di più la sensazione di affollamento competitivo. Per questo motivo vedere il marketing come qualcosa di troppo “commerciale” e fuori dai confini delle attività non profit rischia di essere un grave errore.
La necessità delle non profit di avere una strategia sembra essere una consapevolezza ben solida. Gli ultimi dati del Report Non Profit e Digitale 2018 confermano che il terzo settore è in piena trasformazione digitale e che per molti è l’occasione (colta o mancata) di rivedere la propria strategia complessiva. La maggior parte degli operatori censiti afferma, difatti, che il gap di competenze digitali pesa direttamente sui risultati di fundraising e che spesso questo gap è dovuto proprio alla mancanza di competenze necessarie per gestire i processi di cambiamento in atto. Leggasi, competenze strategiche e di marketing.
Quali sono gli obiettivi strategici di un ente non profit? Secondo gli intervistati, in ordine di priorità:
– aumentare il proprio fundraising (il revenue)
– aumentare il network di persone coinvolte (quindi, migliorare le relazioni pubbliche e la raccolta di contatti)
– perseguire una strategia generale (quindi, lavorare sui processi interni)
– creare servizi migliori (quindi, lavorare sul prodotto)
– coordinare meglio i volontari (quindi, lavorare sulle risorse umane)
Come vediamo, anche se non compare mai il termine clienti, le logiche di processo delle ONP sono per buona parte assimilabili a quelle del profit. Tralasciando tutte le differenze normative e giuridiche, come quelle relative agli obblighi di reimpiego degli introiti generati, una delle principali differenze tra l’approccio al mercato profit e non profit è la concezione di cliente: mentre nel profit i clienti sono coloro a cui vendere un prodotto o un servizio e da cui l’azienda sostanzialmente dipende per la sua crescita, nel non profit c’è una tripartizione tra beneficiari, donatori e volontari.
– i beneficiari sono coloro a cui si rivolgono i servizi dell’organizzazione
– i volontari sono le persone coinvolte per erogare i servizi che mettono a disposizione gratuitamente il proprio tempo e le proprie energie
– i donatori sono tutti coloro che contribuiscono alla raccolta fondi per l’organizzazione. Qui si può operare già una prima distinzione tra donatori singoli (il privato cittadino) e imprese, proprio perché sono diverse le finalità della donazione e le modalità in cui questa avviene
Val bene precisare che non sempre esistono tutte e tre le categorie di interlocutori. Ci sono casi di ONP senza volontari, come ad esempio le Onlus che erogano servizi sanitari grazie a convenzioni con i Comuni di appartenenza, per citare un caso. A prescindere da queste, la maggior parte degli enti del terzo settore si avvale di tutti i soggetti.
Chi sono i clienti del non profit: dal pubblico ai segmenti
La segmentazione di marketing è una delle attività di maggiore importanza per la strategia complessiva di un ente. Il segmento è un gruppo di persone che, pur facenti parte dello stesso vasto “mercato”, hanno interessi similari e possono essere raggruppate sulla base di caratteristiche comuni. Parlare di “pubblico” dell’ente è un termine troppo generico per prendere delle decisioni. Ecco perché partire dalla tripartizione descritta sopra è un buon inizio. Ma non è sufficiente, perché beneficiari, donatori e volontari sono anch’essi gruppi troppo ampi.
Segmentazione, dunque, vuol dire scorporare grandi gruppi in gruppetti più piccoli, individuando quelli più interessanti per le azioni dell’organizzazione (ad esempio, per capire quali donatori possono avere le motivazioni e le disponibilità giuste per le varie tipologie di fundraising, oppure quali soggetti hanno l’età e le competenze umane adatte a diventare volontari, e così via). Dentro ogni macrogruppo si può effettuare un’operazione di profilazione più precisa, individuando sotto-gruppi che si distinguono per criteri comuni.
La segmentazione dei beneficiari definisce il “mercato prodotto”
I beneficiari delle attività di un’organizzazione costituiscono quello che viene definito mercato prodotto. In che settore opera l’ONP? Che servizi offre? A quali bisogni sociali risponde? La segmentazione dei beneficiari può definire i limiti entro cui l’organizzazione decide di operare, che possono essere più o meno ampi.
Per fare un esempio, il progetto Pink Is Good della Fondazione Veronesi “riguarda tutte le donne”. È un progetto ad ampio raggio, che ha come target indistinto quello delle donne da sensibilizzare per la prevenzione e la ricerca sui tumori al seno. Anche se le beneficiarie effettive sono le donne che si ammalano di tumori alla mammella, la comunicazione della Fondazione ha una portata molto più ampia, così come le attività che il progetto supporta, che spaziano dal fare informazione al supportare progetti di ricerca, fino ad attività come la maratona cui partecipano anche donne operate per il tumore.
Dress for Success è un’organizzazione internazionale, da poco entrata anche in Italia, che si rivolge alle donne in cerca di un’occupazione, supportandole nell’inserimento nel lavoro e nel raggiungimento dell’autosufficienza. In questo caso, il macro-gruppo “donne” si restringe ai soggetti in particolare condizione di povertà e di esclusione sociale, per i quali l’organizzazione trova gli abiti adatti per affrontare i colloqui di lavoro.
Working Mothers è un’Onlus attiva nel mettere in rete e supportare i diritti delle mamme lavoratrici nelle fasi di maternità e rientro al lavoro dopo una maternità. In questo caso, dunque, il segmento di beneficiarie è ancora più definito e circoscritto.
Alcune organizzazioni operano invece in settori multipli e rivolgono i propri servizi a gruppi di beneficiari molto differenti tra loro. Ad esempio, le grandi cooperative hanno spesso un portafoglio servizi che tocca anziani, minori in difficoltà, disabili, immigrati, soggetti a rischio esclusione sociale, e via dicendo. Per questi enti, ogni ambito di lavoro può essere visto come un mercato prodotto che all’interno può avere profili diversi a cui rivolgere il servizio.
Ad esempio, diverso è fornire servizi a richiedenti asilo nullatenenti appena arrivati in Italia che non parlano italiano o a rifugiati che vivono in Italia da tempo, conoscono già la lingua e hanno anche un lavoro che garantisce loro entrate, seppur magari precarie.
La decisione di rivolgersi ad uno o più gruppi all’interno di un segmento può basarsi, oltre che sull’aderenza alla mission e ai valori dell’organizzazione, anche su valutazioni di carattere economico (la cosiddetta “attrattività” del target).
Segmentazione dei volontari per far crescere le adesioni
Anche il macrogruppo dei volontari può essere a sua volta suddiviso in profili, per rendere più efficace l’adesione di nuove persone all’organizzazione.
Un approccio di partenza può essere quello demografico. Dal censimento Istat citato, ad esempio, emerge che i volontari delle istituzioni non profit hanno per il 43% tra 30 e 54 anni, per il 20% sotto i 30 anni, per il 22% tra i 55-64 anni e nel 15% per cento dei casi più di 65 anni. I volontari giovani si dedicano perlopiù alle aree cultura, sport e ricreazione, mentre l’assistenza sociale e la protezione civile, la filantropia e la tutela dei diritti e l’attività politica sono gli ambiti di volontariato di persone più mature.
A seconda dell’ambito dei gruppi di beneficiari, ci si può dunque focalizzare su fasce differenti di potenziali volontari. Un’associazione sportiva dilettantistica potrebbe ingaggiare nuovi volontari promuovendo le proprie attività nelle scuole medie e superiori, mentre un’organizzazione che opera a favore dei diritti umani potrebbe trovare maggior vantaggio dal farsi conoscere tra le università, i master e i luoghi di lavoro, magari affini al settore dell’organizzazione stessa.
Oltre a modalità di recruiting più classiche (passaparola, campagne di comunicazione, annunci su Facebook e Google), possono essere valorizzati gli eventi aperti al pubblico dove i meccanismi di fiducia si innescano più facilmente o sperimentare mezzi originali, come flash mob in luoghi chiave dei nostri territori, meglio se in cordata con altre organizzazioni, dal momento che si tratta di impegni organizzativi notevoli.
Clienti del non profit, i donatori: segmentare privati e imprese
I donatori rappresentano il “mercato” dei finanziatori dell’organizzazione, per cui il processo di segmentazione e targeting merita una particolare cura. Non a caso, le maggiori ONP utilizzano programmi gestionali di tipo CRM (dall’inglese customer relationship management) al fine di gestire al meglio il proprio database di anagrafiche donatori reali e potenziali (volontari, operatori, contatti).
Abbiamo già detto che una prima netta distinzione può essere fatta tra singoli donatori e imprese. Nel segmento dei singoli donatori, agendo come per gli altri macro-gruppi di pubblico, la cosa migliore da fare è analizzare più a fondo il pubblico, per suddividere il segmento in gruppi più piccoli, che costituiranno i target a cui rivolgere le azioni differenziate della comunicazione.
Tra le variabili di segmentazione, le caratteristiche sociodemografiche costituiscono un buon terreno di partenza. In particolare: sesso, età, fasce di età o generazione, regioni o città di residenza, reddito (in un prossimo post ci occuperemo di come raccogliere questo tipo di dati). Incrociando queste informazioni, si possono definire dei gruppi precisi, come ad esempio i “millennials” urbani lavoratori, oppure i pensionati con alta capacità di spesa, e così via.
Questa prima categorizzazione di massima può essere resa più efficace prendendo in esame altri parametri, che rendono i gruppi individuati ancora più attinenti alla realtà. Per esempio, si potrebbero stimare:
- la disponibilità alla donazione, intesa come motivazione all’azione, il “quanto si lasciano coinvolgere” dai fini dell’associazione, magari in una scala da “passivi/indifferenti” a “attivisti/appassionati”;
- il livello di donazione medio, che dipende dal reddito e dalla motivazione: informazioni che si possono estrarre dallo storico delle donazioni e da esplorazioni qualitative sul target;
- la capacità di fidelizzazione, ossia quanto un gruppo di pubblico può donare continuativamente, in una scala da donatori “one spot” a donatori “continuativi” (ad esempio, coloro che hanno sottoscritto un RID bancario, dal 2014 diventato SEPA);
- la capacità del target group di agire da amplificatore del network: quanto ne parlerebbero agli altri?
Se si individuano dei gruppi più ristretti e specifici, si parla di nicchia. Un esempio di questo tipo è il target dei lasciti testamentari, ossia di quelle persone che hanno deciso o potrebbero decidere di fare un testamento, lasciando in donazione una parte dei propri valori ad un’organizzazione, composto più da anziani che da giovani, più da benestanti che da non. Ad esempio, il Comitato Testamento Solidale nasce proprio per dedicare un impegno “ad hoc” verso questo tipo di pubblico.
Chiaramente, è raro che un’organizzazione abbia attuato una strategia di segmentazione del mercato sin dall’inizio. Spesso è una consapevolezza gestionale che si acquisisce più avanti, raggiunta una certa dimensione e in cerca di una sostenibilità più solida.
Per cui, in fase di ridefinizione strategica, si può optare per una segmentazione “ex-post”, ossia suddividendo i gruppi su parametri che emergono dai dati già a disposizione.
Supponiamo che un’organizzazione abbia un database di contatti non profilati, ma con la sola indicazione di età e residenza, unita allo storico della relazione in essere con i singoli contatti (quante donazioni, di quale entità, in quale formula). In questi casi si può partire da una semplice distinzione basata sull’età, che può fare la differenza per scegliere il messaggio da recapitare. Un giovane donatore potrebbe essere coinvolto con una campagna social efficace e uno stile comunicativo “catchy”, mentre gli over 60 potrebbero meritare un tipo di comunicazione più classica. Per fare un esempio, le campagne rivolte ai donatori AVIS si differenziano proprio in base al target: ci sono le campagne per convincere i donatori della “prima volta”, quelle per ringraziare i donatori “da sempre”, e così via..
Oppure, l’organizzazione potrebbe segmentare i contatti sulla base della frequenza delle donazioni, elaborando messaggi diversi per donatori sporadici, donatori frequenti e donatori inattivi da molto tempo. Possiamo immaginare, ad esempio, che le motivazioni di adesione ad una causa siano diverse per ognuno di questi gruppi.
Anche le imprese possono essere segmentate allo scopo di concentrare la raccolta fondi su quelle che potrebbero rispondere meglio alle sollecitazioni dell’organizzazione. Ad esempio, si possono suddividere le imprese per settore di appartenenza, individuando come target group quelle che vendono beni e servizi al mercato finale, le quali potrebbero voler comunicare ai propri clienti la partnership con una ONP. Oppure, lavorare con quelle aziende che, indipendentemente dal settore, fanno correntemente attività di Corporate Social Responsibility, ossia che si impegnano ad attuare comportamenti etici, sociali ed ambientali che impattano sulle strategie e che vengono supportati da investimenti economici.
La responsabilità sociale d’impresa è, infatti, un’area sempre più strategica per le imprese: il VII Rapporto CSR in Italia dell’Osservatorio Socialis conferma che l’80% delle aziende italiane sopra i 100 dipendenti svolge attività di CSR, e che quest’ultima, negli anni è in aumento. Proveremo a dedicare a questo tema un approfondimento specifico.
In conclusione, l’attività di segmentazione del mercato è indispensabile per un ente che voglia riorganizzare la propria strategia e rendere più efficaci le proprie attività di comunicazione. Avere le idee chiare su quali sono i propri pubblici è importantissimo per costruire servizi migliori, raccogliere i fondi e coinvolgere persone per portare avanti la propria mission.