Cie: dopo le proteste si attende la risposta del governo5 min read

24 Dicembre 2013 Politica Politica interna -

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Cie: dopo le proteste si attende la risposta del governo5 min read

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Non so per quanto tempo esisteranno ancora, e con le caratteristiche attuali, i Centri di identificazione e di espulsione, istituiti quindici anni fa con il nome di Centri di permanenza temporanea. So per certo che, sino a quando continueremo ad avvalercene come luoghi, in realtà, di detenzione, di detenzione amministrativa, essi non cesseranno di essere quella sfida alla nostra coscienza e alla nostra stessa Costituzione, con la quale conviviamo da quando decidemmo di non poterne fare a meno.  G. Amato

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Le condizioni di vita nelle strutture sono disumane

Le immagini indegne del Centro di Lampedusa e l’iniziativa dei migranti che hanno deciso di cucirsi la bocca per protestare contro il protrarsi della permanenza nel Cie di Ponte Galeria a Roma sembrano aver offerto una spinta alla possibilità di alcune riforme della normativa in materia di immigrazione. Ad onor del vero, non si tratta di nulla di nuovo. Che la situazione, soprattutto all’interno dei centri di identificazione ed espulsione, sia da sempre tragica è cosa risaputa.

Assenza di diritti, vessazioni di ogni genere, utilizzo di farmaci per sedare i detenuti, cibo pessimo e strutture fatiscenti, danneggiamenti e rivolte sono all’ordine del giorno. È di un anno fa la sentenza del tribunale di Crotone che aveva assolto tre reclusi processati in seguito ad un rivolta nel Cie di S. Anna di Isola Capo Rizzuto e ai quali il giudice ha riconosciuto la scriminante della legittima difesa.

Il governo sembra intenzionato ad intervenire

In realtà, ancora non c’è alcun provvedimento concreto, tuttavia i giornali riportano la volontà del governo di intervenire, forse con un decreto, sui termini di detenzione all’interno dei Centri di identificazione ed espulsione, al fine di scongiurare il dilagare delle proteste. Ad oggi, in seguito all’entrata in vigore della legge 94/2009 e con il decreto di recepimento della Direttiva Rimpatri (l. 129/2011), il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 giorni a 18 mesi complessivi.

A leggere quanto dichiarato da esponenti del governo, sembrerebbe che emerga pure una critica al sistema Cie in generale. Secondo il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico «si tratta di luoghi di costrizione che costano moltissimo e non hanno alcuna utilità. Sulla necessità di superarli siamo tutti d’accordo, ma intanto bisogna intervenire in fretta perché la situazione è diventata insostenibile. E dobbiamo farlo partendo da un dato incontrovertibile: se entro 30 giorni non si riesce a sapere il nome e la nazionalità dello straniero, difficilmente si otterrà un risultato.

Dunque sono altre le strade che bisogna percorrere per garantire sicurezza ai cittadini e al tempo stesso offrire condizioni di vita dignitose a chi arriva in Italia e cerca di costruirsi un futuro. Ecco perché bisogna mettere subito un tetto molto più basso rispetto ai 18 mesi attualmente previsti dalla legge». Domenico Manzione, sottosegretario all’Interno con delega per l’immigrazione, che non più tardi di 5 mesi fa aveva ribadito l’impossibilità di immaginare la soppressione dei Cie, secondo quanto riportato dal quotidiano la Repubblica avrebbe dichiarato che «qui il problema non è di questo o di quest’altro Cie, il problema sono tutti i Cie, è l’idea stessa del Cie che deve essere ripensata dalle fondamenta, altrimenti non se ne esce».

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Per anni una politica votata all’indifferenza

Come si è detto però, si tratta solo di dichiarazioni, l’ultimo atto ufficiale del governo in materia di Cie del 2013 era di segno diverso. Si tratta del Documento Programmatico sui Centri di Identificazione ed Espulsione del Ministero dell’Interno all’epoca guidato da Annamaria Cancellieri nella cui relazione finale curata dal sottosegretario Saverio Ruperto si legge chiaramente che “i Cie fanno ormai stabilmente parte dell’ordinamento e risultano indispensabili per un’efficiente gestione dell’immigrazione irregolare”. Si tratta dell’indirizzo indicato da una commissione voluta da un precedente governo e nulla impedisce un effettivo cambio di rotta.

In ogni caso, è un fatto che le conclusioni prodotte da quel documento hanno segnato un arretramento rispetto a quanto invece era stato auspicato nelle conclusioni dal precedente lavoro di ispezione dei centri voluto nel 2006 dall’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato.

Di quell’esperienza, è lo stesso Amato a rendere una importante testimonianza nella prefazione all’interessante volume “la prigione degli stranieri” di Caterina Mazza: “Io stesso, da ministro dell’Interno, istituii una Commissione, presieduta da Staffan De Mistura, che ispezionò tutti i centri e fece proposte assai sostanziali per migliorare le condizioni di vita e di trattamento al loro interno.

L’ipotesi di abolirli venne affacciata dalla Commissione De Mistura, tanto più che faceva parte del programma del governo Prodi. Ma non me la sentii di valorizzarla e di muovermi in quella direzione. Al di là delle questioni interne, nessuno dei miei colleghi europei avrebbe condiviso una scelta del genere e avrebbe preso piede l’immagine dell’Italia, custode sconsiderato dei cancelli che aprono all’immigrazione le porte non solo sue, ma dell’Europa intera. E così finii per accettare io stesso la perdurante esistenza di un istituto del cui possibile fondamento nella Costituzione della Repubblica ho sempre dubitato e continuo ancora oggi a dubitare”.

Ripensarli e magari abolirli

Il fatto che i Cie abbiano da sempre rappresentato una falsa soluzione ad un problema complesso giocata sulla pelle dei più deboli è fuor di discussione. Intollerabili dal punto di visto morale, non hanno mai potuto davvero assolvere alla funzione per la quale sono stati istituiti finendo per costituire una stortura grave dell’ordinamento. La reclusione di persone la cui unica colpa è quella di non possedere un titolo di soggiorno valido in strutture molto spesso peggiori delle carceri e per le quali non sono nemmeno previste le garanzie stabilite per gli istituti di pena è semplicemente inaccettabile. Tuttavia, il ricorso alla detenzione amministrativa non è un’invenzione dei giorni nostri è pratica in tutta Europa, il che rende la sua abolizione politicamente molto difficile ancorché necessaria in un paese che se vuole definirsi civile non può tollerare la presenza nella proprie città di quelli che sono diventati dei veri e propri lager.

Immagini| redattore socialeCamera Penale di Roma

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L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. (Italo Calvino)
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