Chi governa l’Arabia Saudita, dittatura amica dell’Occidente6 min read

4 Luglio 2015 Mondo Politica -

Chi governa l’Arabia Saudita, dittatura amica dell’Occidente6 min read

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Chi governa l'Arabia Saudita, dittatura amica dell'Occidente
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L’Arabia Saudita è lo stato più influente di tutta la penisola araba. Gli stretti rapporti commerciali con gli Stati Uniti, legati al petrolio, la ricchezza del Paese e il suo peso nel mondo arabo hanno contribuito a dare ai sauditi l’importante ruolo di interlocutore primario dell’Occidente riguardo le questioni e i conflitti legati al Medio Oriente. L’Arabia Saudita al contempo però viene accusata di essere al suo interno una sorta di dittatura islamista e di finanziare sottobanco gruppi terroristi di stampo sunnita, non ultimo dei quali l’Isis. Da non dimenticare in passato il possibile ruolo dei sauditi nelle stragi dell’11 settembre.

Chi governa l’Arabia Saudita?

L’Arabia Saudita è una delle poche monarchie assolute rimaste nel mondo. Non ci sono elezioni di alcun genere (solo nel 2005 sono state organizzate per alcuni enti locali) e non ci sono partiti politici. Gli oppositori sono spesso in carcere, è in vigore la pena di morte e punizioni corporali molto violente anche solo per chi non si adegua al pensiero unico. I sovrani governano senza l’appoggio di un Parlamento e il nome ufficiale del Paese è Regno dell’Arabia Saudita. L’attuale re è Salmān bin ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd, discendente della dinastia che creò il Regno all’inizi del ‘900 con la conquista e unificazione di molteplici piccoli regni della Penisola. Le leggi costitutive e non del Regno si basano sulla Shari’a, che rappresenta la fonte giuridica di riferimento per tribunali ordinari del Paese. La religione ufficiale di Stato è l’Islam di stampo sunnita nella sua versione giuridica e teologica del Wahhabismo. È proprio questa interpretazione dell’Islam che ha permesso alla monarchia di sopravvivere malgrado la crescente influenza delle personalità più ricche e talvolta radicali del Paese: è proprio l’ideologia wahhabita che conferisce ai regnanti una forte legittimità religiosa, riconosciuta dalla maggior parte della popolazione. Secondo Alastair Crooke, diplomatico inglese e firma autorevole dell’Huffingtonpost, la monarchia saudita convive però con

un rapporto duale con il wahabismo

da un lato ne ha bisogno per mantenere la propria legittimità, mentre dall’altro sa che l’attivismo di alcune sue correnti può fortemente destabilizzarla. Da questo squilibrio interno nasce l’ambiguità dell’Arabia Saudita nei suoi rapporti fra Occidente e vicini del Medio Oriente.

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L’appoggio all’Isis: la lotta contro gli sciiti

Una delle più grandi accuse che è stata mossa negli ultimi anni all’Arabia Saudita è stata quella di aver finanziato, direttamente o indirettamente, le manovre iniziali che hanno portato alla nascita di Isis. Nel 2014 il segretario di Stato Americano Hilary Clinton dichiarava:

L’Arabia Saudita resta una base fondamentale per il sostegno finanziario di al-Qaeda, dei talebani e d’altri gruppi terroristici

L’Isis è nata da una costola di Al-Qaeda in Siria, da cui si è completamente separata nel 2013. Dal punto di vista ideologico, sia al-Quaeda che Isis sono entrambe un sotto-prodotto del Wahhabismo a cui la monarchia saudita è fortemente legata. Le origini sunnite che legano i sovrani alle formazioni terroristiche e questa sorta di paternità ideologica hanno più volte gettato forti dubbi sugli effettivi sforzi che l’Arabia stia compiendo per contrastare l’avanzata dello Stato Islamico.

Rula Jebreal, firma del Daily Beast, scrive:

Prima ancora del petrolio, la principale esportazione dell’Arabia saudita è il wahhabismo, che promuove in tutto il mondo attraverso le sue ambasciate e moschee. […] L’Isis è un clone del wahhabismo, come molti altri gruppi jihadisti sunniti in Iraq e in Siria.

A supporto di queste tesi, in molti citano la situazione in Yemen: voci (non confermate) provenienti dal Paese in guerra accusano la coalizione arabica di concentrare i propri sforzi unicamente contro le forze sciite Houti al nord, lasciando IS e al-Quaeda a contendersi i territori meridionali. Dunque per l’Arabia la priorità sarebbe quella di contrastare l’influenza sciita, quindi in maniera indiretta l’Iran, piuttosto che fermare l’avanzata dei fondamentalisti sunniti. Non è ancora chiaro se queste voci riportate dai cronisti in loco corrispondano a verità e siano legate a motivazioni religiose, ma negli ultimi giorni è stata rilevata una effettiva inadeguatezza nella pianificazione militare degli interventi da parte dei generali sauditi dopo i bombardamenti inconcludenti che hanno provocato diverse vittime civili.

La lotta all’Isis: l’autorità saudita e gli amici d’Occidente

Sotto pressione dei sovrani, i leader religiosi wahhabiti dell’Arabia hanno più volte condannato su tutti i fronti l’operato dell’Isis arrivando a bollare come “eretici” i miliziani. Secondo molti osservatori, infatti, le posizioni dello Stato Islamico e della monarchia saudita non sarebbero poi così vicine. Abdulmajeed al-Buluwi scrive su al-Monitor:

Questi gruppi jihadisti costituiscono una sicurezza e minaccia ideologica al sistema politico saudita, [proprio] in quanto si basano sulle stesse fonti religiose su cui è costruito lo Stato saudita.

Anche Crooke dell’Huff Post crede che l’ideologia dell’Isis ricalchi si l’ideologia wahhabita, ma non riconosca lo Stato saudita come guida legittima del mondo islamico. Per separare i propri confini settentrionali dai territori occupati dall’IS, l’Arabia sta attualmente costruendo un muro di quasi mille chilometri, con tanto di torri radar e posti di guardia.

Ancora, sotto il punto di vista diplomatico e commerciale, l’Arabia ha un forte interesse nel mantenere il suo ruolo di interlocutore principale con gli Usa e la lotta allo Stato Islamico è al momento una delle priorità per gli amici occidentali. La paura dell’Arabia Saudita è quella di perdere l’appoggio degli Usa e che questi spostino le loro attenzioni verso l’Iran, il Paese sciita che è sempre stato in prima linea contro il terrorismo sunnita. Un tale evento, per quanto improbabile visti i rapporti congelati fra Teheran e Washington, rischierebbe di spostare l’epicentro dell’influenza del Medio Oriente verso un Paese sciita, scenario inaccettabile per tutti i Paesi sunniti della regione. In questo caso, la colpa ricadrebbe interamente sui governanti sauditi con conseguenze pesanti per tutto il casato reale. Non è una novità che l’Arabia Saudita stia cercando di far saltare il banco tra Stati Uniti e Iran.

Per quanto la monarchia saudita e i suoi leader religiosi condannino l’azione degli jihadisti, sono ancora in molti a parlare di “doppiezza saudita”. Sullo Stato saudita ricadono pesantissime responsabilità: da un lato, il regime saudita dimostra di cercare un contrasto all’avanzata di Isis per tutelare i propri interessi e compiacere gli amici americani; dall’altra, verosimilmente, vi sono gruppi influenti che finanziano e appoggiano Stato Islamico e Al Qaeda, non in linea con il governo. Restano però molte ombre sulla dittatura saudita amica dell’Occidente, tra i principali sospettati di essere all’origine -insieme al Qatar- del Califfo del terrore.

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Fiorentino di nascita, Web Marketing Specialist per diletto e Nerd di professione. Si nutre di cultura pop e vive la sua vita perennemente in direzione ostinata e contraria. Per Le Nius supporta l'area editoriale, in ambito politica, e l'area social. matteo@lenius.it
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