Di Chelsea-Napoli e, soprattutto, di Dinamo Mosca3 min read

13 Marzo 2015 Uncategorized -

Di Chelsea-Napoli e, soprattutto, di Dinamo Mosca3 min read

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chelsea-napoli
@sscvalerie

Prime ore di mercoledì 22 febbraio 2012. Notte, letto, occhi sbarrati, il soffitto lontanissimo. Napoli-Chelsea è 3 a 1, Lavezzi (2) e Cavani. Fuorigrotta addosso, dentro, tra i capelli, nelle tasche, sopra le nostre teste che adesso volano alte e leggere sulla Champions League. Come ci siamo riusciti? Com’è successo? Ma che dico, è successo? Il Chelsea, i blues, Stamford Bridge. Le radio impazzite, il traffico pietrificato, nisciun’ se ne fott’. Ma adesso andiamo lì, a Londra? E certo che andiamo lì a Londra. E ci andiamo con questo risultato? E certo che ci andiamo con questo risultato. Fermati un momento, non correre: ma o ver faje?

Prima di ogni singola notte dal 21 febbraio al 14 marzo – la data del ritorno – cercai un modo per mandare tutto all’aria, da solo. Dicevo: non che sia facile con questo 3-1, d’accordo; ma se riuscissimo a fare un gol loro dovrebbero farne ben 4 (e ok sono il Chelsea, ma 4 reti restano 4 reti). Dicevo. Pensavo. Sorridevo stretto. Prima di ogni singolo sonno. Prima di ogni singola buonanotte guardavo quel biglietto. Ero ingenuo, io; ingenua la mia squadra, la mia gente. E però che seduzione: paura e sogno, attesa ed ipotesi; io tremavo dalla felicità, vivevo in bilico su un’impresa. E se mentre viaggio in aereo la Uefa convoca giornalisti e telecamere e comunica che no, il risultato dell’andata non è valido? Boh, ma che ne so: se mentre decolla l’aereo perdiamo uno dei tre gol? Chelsea, blues, Stamford Bridge. Staaamford Bridge is falling down, falling down, falling down!

Il 13 mattina mentre salivo la scaletta dell’aereo mi rassicurai: può succedere qualsiasi cosa, sempre e comunque; ma io le ho cercate tutte per non passare, e deve accadere una cosa notevole, qua, tipo che non facciamo neanche un gol in 90’. Noi abbiamo spedito a casa il City, frenato il Bayern e certo loro sono il Chelsea e quello è Stamford Bridge. La verità però è che da fuori Stamford Bridge mi ricorda un grande policlinico ben curato, più che uno stadio. E fuori, prima della partita, il numero delle pinte buttate giù nervosamente contribuì ad avvalorare la mia tesi: solo noi potevamo buttare quella qualificazione. Seduto al pub, il pomeriggio, andava in scena il mio ginocchio con un suo grande classico delle stagioni d’ansia teatrali: su e giù, su e giù, su e giù; su e giù sul pavimento, come un martello pneumatico silenziato; su e giù a scavare un buco; su e giù Lavezzi e Cavani, ordino l’ultima, l’ultima e poi andiamo.

Come andò a finire poi è inutile. Non nel senso è inutile ricordarlo, come si dice: è inutile proprio, punto e basta, tutti a casa. Inutile perché tornammo a Napoli muti e sfatti, svuotati. Mi sentivo più basso di 10 centimetri, mesto come se m’avessero strappato qualcosa dalle mani. Quella volta, dal settore ospiti di Stamford Bridge si alzò un coro bellissimo e spontaneo che non ho più sentito così, che fece tremare i sediolini e spettinò i tifosi inglesi in quello stadio immacolato. Che fu vento e fu gioia, storia e carattere, consuetudini e dialetto, San Martino in settimana o Napoli ad agosto vuota ed eccezionale. Di quella trasferta è il mio ricordo più bello:

O mamma mamma mamma, sai, perché, mi batte il corazon, ho visto il grande Napoli, ho visto il grande Napoli, eh, mammà, innamorato son!

Fine, schermo nero, off. Per il resto sbagliai completamente l’approccio. La mia partita a Stamford Bridge la persi nelle tre settimane precedenti. Soffice, inebetito, convinto che tanto noi un gol lo facciamo. Non incazzato. Non pratico. Non lucido. Non raccolto. Non spietato. Senza cazzimm’, e senza quella è meglio che nella vita vedi un po’ come fare. Ero (quasi) sicuro di averla fatta franca, poi a Londra non ci presero a schiaffi: ci accarezzarono solo la testa, spiegandoci con un sorriso che per certe cose noi non eravamo pronti.

Mosca è lì. Io sono qui. Un altro 3-1. Un’altra rimonta identica. La Dinamo non è il Chelsea? Questa volta non voglio sentire nulla: 0 a 0 palla al centro, andiamo.

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Napoli, luglio '87. Due mesi prima gli Azzurri vincono lo scudetto, lui arriva in ritardo. Una laurea in Storia contemporanea, ma scopre che la Storia non si ripete. Poi redazioni, blog, libri, ciclismo, molti aerei, il tifo, la senape, la vecchia Albione, un viaggio di 10mila km in camper in capo al mondo. Per dimenticare quel ritardo sta provando di tutto.
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