Caso Cucchi: Napoli-Roma passa in secondo piano3 min read

2 Novembre 2014 Uncategorized -

Caso Cucchi: Napoli-Roma passa in secondo piano3 min read

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caso cucchi

Credevo che qualsiasi fosse stato l’esito di Napoli–Roma avrei scritto qualcosa di un sacco divertente; perché io sabato 1 novembre, a dispetto della festività che vede riuniti tutti i Santi in un sol riquadro del calendario, l’ho passato a lavorare in ufficio perché in fondo, si sa, tocca produrre e ubi scadenze, festività stocazzo.

Pensavo a un parallelo Napoli-Roma/Inghilterra-Italia con lunghi e precisi riferimenti alla serata tipo di Fantozzi: con vestaglia, frittatona e rutto libero finita poi in malo modo al cineforum aziendale a guardare coi colleghi la corazzata Potemkin; tentando improbabili fughe o imboscamenti di radioline nei più disparati orifizi del proprio corpo.

Invece poi non so bene nemmeno io che cos’è successo, o forse in fondo lo so ma c’è una parte di me che non vuole affrontarla perché fa male.
Fa maledettamente male.
Perché il 31 ottobre la notizia dell’assoluzione in appello di tutti gli imputati del caso Cucchi io non l’ho digerita. È qui davanti a me, adesso. Mi guarda, sorride beffarda e mi fa paura. Tanta paura.

Perché non è giusto. Perché non si può morire così. Perché se chi deve proteggerti poi t’ammazza allora non può farla franca.

Perché Stefano non è morto di freddo e manco di fame.
Stefano è morto perché lo hanno massacrato di botte.
E se chi ha compiuto quel gesto è riconosciuto socialmente come colui che deve proteggerti, tutelarti o curarti allora le chiacchiere stanno a zero.

Se quel qualcuno non viene isolato, ma viene protetto e applaudito allora non c’è speranza, ma solo tanta rabbia.

E io non sono uno che generalizza, io non sono uno di quelli che ACAB o 1.3.1.2 o Tutti i poliziotti sono bastardi o digos boia o che la disoccupazione t’ha dato un bel mestiere, mestiere di merda carabiniere. Io a mantenere una visione equilibrata della vita e delle cose che accadono intorno ad essa ci provo sempre. E questo mi fa spesso litigare col resto del mondo. Troppo poco per alcuni, troppo esagerato per altri.

Io nella mia famiglia ho avuto un cugino poliziotto che è morto in servizio, gli hanno sparato che io c’avevo 5 anni e neanche me lo ricordo. E lui era una brava persona, mi dicono. E io a voi, questo pezzo della mia vita manco lo so perché  ve lo sto raccontando.

Forse perché poi è un attimo,  sai di Cucchi e ripensi a tutte le ingiustizie che t’hanno sconvolto. All’assassinio barbaro di Gabriele, per esempio, che il giorno che è morto io stavo uscendo di casa per andare all’Olimpico che c’era in posticipo Roma–Cagliari  e me lo ricordo come se fosse ieri che si affacciò mio padre dal balcone che dava sul parcheggio e mi urlò di tornare indietro, che non si giocava, che se fossi partito mezz’ora prima mi sarei ritrovato in mezzo all’inferno.

Forse perché poi è un attimo che sai di Cucchi e immediatamente muoiono tutti.

Un’altra volta.
Come se la prima non fosse bastata.
Muore Stefano, Federico, Gabriele, Giuseppe… e poi la lista è lunga.
Così lunga da far paura.
Così lunga che pensi che in fondo non è normale un paese dove temi chi ti deve proteggere.

Che pensi che allora per una volta una partita di pallone può restare lì dove si trova già da qualche ora.
Fastidiosamente in secondo piano.

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Anche noto come Coso. Classe 1981, attualmente in vita. Nasce brutto e povero e non potendosi permettere di cambiare vita chirurgicamente è costretto a vendere il suo corpo al giornalismo, ma nessuno se lo compra. Casca, si rialza, non se rompe. È tipo il pongo. Scrive cose, fa lavatrici.
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