Carlo Mazzacurati: cantore degli umori amari del nordest2 min read

25 Gennaio 2014 Cultura -

Carlo Mazzacurati: cantore degli umori amari del nordest2 min read

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Carlo Mazzacurati
@cinemazero

è morto Carlo Mazzacurati, aveva 57 anni. Accidenti, con tutti i film che doveva ancora fare (e che io volevo vedere!).

Voglio ricordare questo regista fine, duttile, vagamente sottovalutato, attraverso i film che di lui ho visto, senza un particolare ordine se non quello sentimentale.

Il toro (1994), storia che sa di letame e benzina, con due disperati che cercano di vendere nell’est Europa un magnifico bovino da riproduzione, cogliendo tra le macerie del muro di Berlino ciò che non sanno trarre dal dio-capitalismo occidentale.

Vesna va veloce (1996), la ragazza che viene da ”più a est” (la Cecoslovacchia) per sfangare nell’eden di latta che era l’Italia, e che forse viene sconfitta, forse no, perché – almeno al cinema – sono le ragioni della poesia a prevalere.

Salto alla Passione (2010), apologo sulla crisi creativa di un regista che ritrova se stesso e la centralità della sua arte grazie alla collaborazione di chi non si sarebbe mai aspettato, e che inscenando una sacra rappresentazione rappresenta, e scioglie, il suo blocco.

Giungo ai miei preferiti. Il documentario Sei Venezia (2010), sei storie laterali, a luci spente, che ti fanno capire come il circo/Venezia sia ancora, e solo per l’amore nello sguardo di chi lo desidera, una città viva e reale.

La giusta distanza (2007) poi, sotto le mentite spoglie del noir, cela il romanzo di formazione di un giovane giornalista che rifiuta il modo, rassicurante e difensivo, di vedere le cose che gli viene consigliato per imporre la ”sua” distanza, il suo starci dentro.

E infine il suo capolavoro, quella Lingua del Santo (2000), commedia amara dei magnifici anni ’60 italiani rivisitata in chiave grottesca, piena di spunti estrosi e ariosi, che snoda ancora la storia di due falliti, della loro disperazione e dell’astuzia che ne scaturisce.

Nel cinema mazzacuratiano si respira un Nordest parallelo a quello ”diurno” dei capannoni e del benessere, una sorta di mondo alla rovescia popolato dai perdenti o sedicenti tali, da quelli che inseguono la ricchezza in altri modi, obliqui e semi-legali. è l’epopea di tutti gli universi provinciali, dei miti infiniti che si raccontano inseguendo quella svolta che mai si vuole davvero.

Infine, protagonista costante e testardo dei film del regista padovano è il paesaggio, amato ed espresso con zanzottiano lirismo, dalla Laguna veneziana alla dolcezza dei colli, al tanto amato Polesine, quasi un pre-Veneto archetipico ed eterno.

Aspettiamo a primavera, postuma, la sua ultima cosa, La sedia della felicità.

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Aspirante antropologo, vive da sempre in habitat lagunar-fluviale veneto, per la precisione svolazza tra Laguna di Venezia, Sile e Piave. Decisamente glocal, ama lo stivale tutto (calzini fetidi inclusi), e prova a starci dietro, spesso in bici. Così dopo frivole escursioni nella giurisprudenza e nel non profit, ha deciso che è giunta seriamente l'ora di mettere la testa a posto e scrivere su tutto quello che gli piace.
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