Caregiver in Italia | Chi sono, quanti sono, cosa fanno13 min read

29 Ottobre 2021 Welfare -

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Educatore

Caregiver in Italia | Chi sono, quanti sono, cosa fanno13 min read

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Il o la caregiver è colui/colei che si prende cura, a titolo non professionale e gratuito, di una persona cara affetta da malattia cronica, disabile o con un qualsiasi altro bisogno di assistenza a lungo termine. In questa definizione sono inclusi anziani, soggetti colpiti da disturbi psichici o malattie neurodegenerative. Queste categorie talvolta si intrecciano, comportando situazioni di ancor più difficile gestione.

La figura del caregiver, o caregiver familiare, è sempre più di centrale importanza, soprattutto nei paesi industrializzati, a causa dell’aumento della popolazione anziana e della riduzione della mortalità, dovuta ai progressi in campo medico e diagnostico.

In Italia i e le caregiver svolgono un ruolo decisivo a supporto di un sistema di welfare non a caso definito familista. Tale ruolo non è ancora riconosciuto, anche se da almeno cinque anni si lavora a una legge nazionale che conceda dignità e diritti a chi svolge questa attività di cura.

In questo articolo raccontiamo chi sono, quanti sono e cosa fanno i e le caregiver in Italia, per concludere con le leggi e i servizi che li riguardano.

Chi e quanti sono i e le caregiver in Italia

Non esiste un dato ufficiale su quanti siano i caregiver in Italia. Si tratta di un lavoro volontario, non retribuito e non inquadrato – ad eccezione dell’Emilia Romagna – in alcuna legge che garantisca diritti e doveri. Tuttavia, possiamo ricavare alcuni dati da indagini affini.

Secondo un’indagine Istat sulla conciliazione tra lavoro e famiglia riferita al 2018, in Italia oltre 12 milioni di persone sono impegnate in attività di cura (il 34,6% della popolazione). Tra queste sono però compresi coloro che si occupano di minori di 15 anni, mentre i caregiver familiari che si prendono cura di persone con più di 15 anni non autosufficienti sono 2,8 milioni. Vi sono poi 646 mila persone si occupano sia dei figli che di familiari non autosufficienti.

Precedenti indagini avevano dato risultati un po’ diversi in termini di numeri assoluti, ma quello che possiamo dire è che quello dei caregiver in Italia è un fenomeno dai numeri importanti e in crescita.

Diverse ricerche realizzate su gruppi specifici di caregiver in Italia concordano poi su alcune tendenze: sono soprattutto donne, superano i 45 anni di età, sono per la maggioranza non occupate e hanno un livello di scolarizzazione medio-basso.

Secondo uno studio svolto su un campione di 226 familiari di pazienti ricoverati nei reparti di riabilitazione neuro-motoria degli istituti lombardi della Fondazione Salvatore Maugeri, il 56,2% dei e delle caregiver risulta non occupato, e più di uno su due ha un diploma di scuola elementare o media.

Uno studio realizzato su 100 famiglie di persone con sclerosi tuberosa mostra che le madri sono coinvolte nell’attività di cura, da sole o con altri familiari, nel 93% dei casi contro il 53% dei padri, e che solo il 37% di loro è occupata contro il 71% dei padri.

Cosa fanno ogni giorno i e le caregiver

Photo by Nathan Anderson on Unsplash

Quello del caregiver è un compito gravoso, spesso assunto in risposta a situazioni di necessità o emergenza, come l’insorgere di una malattia o un incidente. In molti casi la persona chiamata a svolgere compiti di cura si trova impreparata, non ha sufficiente consapevolezza del proprio ruolo, delle competenze necessarie e delle conseguenze sulla vita quotidiana e familiare.

I compiti della caregiver possono essere molti, dall’assistenza diretta alla sorveglianza passiva, e dipendono dalle abilità residue dell’assistito. Per assistenza diretta, ad esempio, si intende il lavare e cambiare l’assistito, preparare il cibo seguendo le prescrizioni mediche ed eventualmente imboccarlo, somministrare i farmaci, ecc. Si parla invece di sorveglianza passiva laddove l’assistito, ad esempio, sia a letto ma debba essere controllato, oppure possa causare situazioni di pericolo per sé o per gli altri.

Tra questi due estremi si apre una moltitudine di scenari possibili e di compiti collaterali, quali l’occuparsi delle questioni amministrative e burocratiche, il tenere rapporti con enti o strutture che si occupano della persona, l’accompagnamento in ospedale o altri centri medici, l’acquisto di ausilii e protesi, ecc.

Tali compiti possono tenere occupato la caregiver a tempo pieno oppure in modo discontinuo e saltuario, a seconda delle condizioni dell’assistito, della presenza di altre persone impegnate nella cura e dell’eventuale accesso a servizi domiciliari o semi-residenziali.

In una ricerca condotta sui caregiver di malati di Alzheimer, si riporta che i caregiver svolgono mediamente 4,4 ore al giorno di assistenza diretta e 10,8 ore di sorveglianza, con importanti conseguenze sul loro stato di salute.

L’aumento della popolazione anziana, non solo quella interessata dalla malattia di Alzheimer, è un fenomeno in crescita destinato ad avere un impatto sui caregiver che non può non essere preso in carico da una legge che ne definisca diritti e doveri. Secondo le rilevazioni di Istat, infatti, su una popolazione totale di over 75 pari a 6,9 milioni, oltre 2,7 milioni presentano una severa o moderata compromissione dell’autonomia.

Vi sono poi le esigenze psicologiche, che riguardano tanto l’assistito quanto la caregiver. Se l’assistito può aver bisogno di un sostegno psicologico e di attività educative che favoriscano il mantenimento o l’incremento delle abilità residue, l’espressione di sé, l’accesso ad adeguati stimoli sensoriali, il caregiver non è da meno, trovandosi in una situazione di stress fisico e psicologico dovuta al carico di lavoro, alle responsabilità e al coinvolgimento emotivo con l’assistito.

I problemi delle caregiver in Italia

Tutelare un diritto ne mette a rischio un altro. L’attività di cura spesso compromette il diritto del caregiver alla salute, al riposo, alla vita sociale e alla realizzazione personale.

Immaginiamo una donna. Giulia, 43 anni, separata. Ha due figli adolescenti e lavora su turni presso un grande magazzino che vende mobili. Sogna di visitare la Svezia e ama ballare.

Improvvisamente Fulvio, il padre di Giulia, viene colpito da un ictus e non è più in grado di badare a se stesso. Non controlla metà del proprio corpo e non riesce a parlare. Nessuno può o vuole occuparsi di lui tranne sua figlia. L’uomo rifiuta di andare in una Residenza sanitaria assistenziale e comunque le rette sembrano troppo alte, così Giulia decide di curarlo a casa propria.

La vita di Giulia cambia. Cambia anche la sua casa, che dovrà adattarsi al nuovo arrivato e al passaggio di una carrozzina. Tutto questo, e non solo questo, ha un costo economico importante. La macchina nuova è già da cambiare: ne servirà una più grande, con la pedana automatica.

Al lavoro, col passare del tempo, cominciano i problemi. Per assistere il padre, Giulia chiede continui cambi turno ai colleghi. Quando può evita i permessi che le sono dovuti, ma alla fine si trova ad usarli spesso. Le sue assenze, a volte improvvise, danno fastidio. La situazione si fa stressante e Giulia si chiede se farà anche lei parte del 66% dei caregiver italiani costretti a lasciare il lavoro.

A casa è sempre nervosa. Le capita di essere poco gentile col padre e le dispiace. La capita anche di pensare che riavrà indietro la sua vita solo quando lui sarà morto. Malgrado tutto rimane una figlia, e le emozioni contrastanti che prova accompagnano ogni gesto quotidiano.

Tra il lavoro, le visite in ospedale e le giornate scandite dalle esigenze di Fulvio, Giulia non si ferma un attimo. Si accorge che non sta abbastanza dietro ai suoi figli, che sono sempre fuori e chissà cosa combinano. È preoccupata. Vorrebbe portarli in vacanza l’estate prossima, ma non è facile trovare qualcuno che si occupi di suo padre per così tanto tempo.

La situazione di Fulvio cambia di continuo e la costringe a imparare tante cose. È diventata infermiera, dottoressa, educatrice, ma si sente sempre inadeguata. Sono troppe le cose da sapere e non sa mai a chi chiedere, ha paura di sbagliare.

Ha assunto una badante per coprire gli orari in cui è al lavoro. Pensa che forse farebbe prima a stare a casa lei stessa, viste le spese e i grattacapi. Non è stato facile sceglierla, e si chiede spesso se sia la persona giusta. È difficile fidarsi.

Ha perso quasi tutte le amicizie: non ha tempo. Nemmeno per il cinema una volta al mese, o per le lezioni di ballo del giovedì sera. Si guarda allo specchio e si accorge che si sta trascurando. Ha mal di schiena quasi tutti i giorni e il medico le ha detto di non esagerare con gli antidolorifici, che dovrebbe riposarsi.

Soprattutto, Giulia è stanca. Le capita di trovarsi a fissare il vuoto e di non riuscire a muovere un dito. Il telefono suona, qualcosa brucia in cucina, il padre la chiama per nome. In quei momenti non le andrebbe nemmeno, se mai fosse possibile, di andare a ballare, o di partire per una vacanza in Svezia. Vorrebbe solo dormire.

Giulia non è una persona reale. Ho immaginato la sua storia per fare un esempio concreto: ci sono casi più semplici, ma anche situazioni più complesse. Se volete leggere qualche storia vera potete trovarla qui.

Caregiver in Europa, come se la cavano gli altri

Su scala europea, uno studio incentrato sulle necessità quotidiane di chi si prende cura di pazienti affetti da malattie rare mette in luce un quadro altrettanto difficile. Per il 52% dei pazienti e delle famiglie intervistate, infatti, la malattia rara ha un forte o fortissimo impatto sulla vita quotidiana.

Il 62% dei caregiver spende oltre due ore al giorno in attività legate alla cura della persona non autosufficiente. Il tempo impiegato in tali attività dipende dalla condizione dell’assistito, che può essere molto compromessa. Il 30% dei caregiver intervistati dichiara di spendere oltre 6 ore al giorno, buona parte del proprio tempo attivo, nelle attività di cura.

Sempre secondo questo studio, il sovraccarico fisico ed emotivo riguarda la grande maggioranza dei caregiver e, anche su scala europea, ricade principalmente sulle donne. Nel 64% dei casi presi in esame, infatti, ad assumere il compito della cura è la madre.

Leggi e servizi per i e le caregiver in Italia

quanti sono i caregiver in italia
Photo by Josh Appel on Unsplash

Abbiamo aperto l’articolo dando una definizione di caregiver come “colui o colei che si prende cura, a titolo non professionale e gratuito, di una persona cara affetta da malattia cronica, disabile o con un qualsiasi altro bisogno di assistenza a lungo termine”.

Questa è la definizione proposta da Eurocarers, la rete europea delle organizzazioni che rappresentano i caregiver, in un comunicato datato 18 ottobre 2017. Come vedremo, la definizione di una categoria non è un fatto banale: espressa in un testo di legge, è in grado di includere o tagliare fuori molte persone da diritti e servizi.

In tal senso, la legge di bilancio per il 2018 (27 dicembre 2017, n. 205, art.255), nell’istituire un fondo per i caregiver, ne ha dato per la prima volta una definizione, stabilendone così i confini.

Per la legge italiana si definisce caregiver familiare la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, oppure (nei casi previsti dalla legge n.104 del 1992) di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata o sia titolare di indennità di accompagnamento.

A parte questo primo approccio, non si è ancor arrivati a una legge che stabilisca diritti e doveri dei caregiver in Italia, nonostante un ormai lungo iter parlamentare e nonostante il fondo per i caregiver familiari sia stato rifinanziato per il periodo 2021-2023 con 90 milioni in totale. Cosa è successo da allora?

L’Italia verso una legge per i caregiver?

Ad oggi le leggi italiane non prendono in considerazione in modo diretto la figura del caregiver come entità destinataria di tutela previdenziale, retributiva e di diritti legati alla funzione svolta. Occorre fare riferimento alle leggi sulla disabilità, come la 104 del 1992, oppure alle disposizioni regionali.

In questo ambito, a livello europeo, l’Italia si pone in una posizione di arretratezza: le legislazioni di Francia, Spagna, Gran Bretagna, Polonia, Romania e Grecia prevedono delle tutele specifiche per i caregiver, come vacanze assistenziali, benefici economici e contributi previdenziali.

Dal 2016 ad oggi sono stati presentati al Parlamento ben sei diversi disegni di legge, con l’obiettivo di riformare la materia. Nel corso dei lavori le proposte sono state unificate e nell’agosto 2019 è stato depositato in Senato il disegno di legge 1461 (pdf), a prima firma Simona Nocerino (M5S).

Il DDL, molto discusso e criticato, è composto da 11 articoli. Di seguito i punti a nostro parere più rilevanti:

È l’assistito a nominare formalmente il proprio caregiver, ed eventualmente a revocarne il ruolo. Questo è uno dei punti meno chiari: ci si chiede come possa funzionare la nomina da parte di quelle persone disabili che non sono in grado di esprimere la propria volontà. In quei casi, infatti, dovrebbe occuparsene il tutore, o l’amministratore di sostegno, figura che spesso coincide con quella del caregiver.

• Al caregiver non lavoratore è riconosciuta la tutela previdenziale, attraverso la copertura di contributi figurativi equiparati a quelli da lavoro domestico fino a un massimo di tre anni. Questo punto ha fatto infuriare molti tra i destinatari del DDL: tre anni suonano come un insulto per chi è stato costretto a lasciare il lavoro ed è impegnato per decenni nella cura di un familiare.

• Al caregiver devono essere garantite prestazioni essenziali, tra cui: sostegno nelle situazioni di emergenza, interventi di sollievo ad opera di operatori specializzati, consulenze per l’adattamento dell’ambiente domestico, percorsi preferenziali nelle strutture sanitarie per ridurre i tempi di attesa, formazione e informazione sulle problematiche dell’assistito e sulle opportunità disponibili a livello nazionale e territoriale, supporto psicologico per prevenire rischi di malattie da stress psico-fisico e supporto di reti solidali per ridurre il possibile isolamento sociale.

• Il caregiver lavoratore ha diritto a una rimodulazione dell’orario di lavoro e alla scelta della sede più vicina tra quelle disponibili.

• Sono previste detrazioni del 50% per le spese sostenute dal caregiver per l’attività di cura e assistenza, fino all’importo massimo di 10 mila euro annui.

Questi i punti cardine del disegno di legge sui caregiver in Italia. Il suo percorso non è ancora terminato e alcuni dei suoi contenuti andrebbero certamente rimodulati prima che diventi legge a tutti gli effetti. L’attesa dei caregiver continua, quindi, insieme alla loro fatica quotidiana.

Nell’attesa che la legge arrivi a compimento, colpisce che il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) non affronti il tema. Pur occupandosi infatti di disabilità e non autosufficienza, destinando cifre importanti ad esempio ai servizi domiciliari e all’autonomia dei disabili, il Piano non cita direttamente i e le caregiver in Italia.

Il caso dell’Emilia Romagna

Non tutta l’Italia è rimasta indietro. Nel 2014 l’Emilia-Romagna è stata la prima regione a dotarsi di una legge, intitolata Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare, che istituisce fra l’altro la Giornata del caregiver l’ultimo sabato di maggio.

Con la Legge regionale l’Emilia-Romagna “riconosce e valorizza la figura del caregiver familiare in quanto componente informale della rete di assistenza alla persona e risorsa del sistema integrato dei servizi sociali, socio-sanitari e sanitari”, con l’intenzione di rendere più omogenee le risposte nei diversi territori, valorizzare l’apporto di queste figure e sostenerle nella loro vita – non solo nell’attività di cura – anche attraverso un rapporto più strutturato con la rete dei servizi, l’associazionismo non profit e il volontariato.

La legge dell’Emilia Romagna è servita da modello per altre regioni (Abruzzo, Campania, Lazio, Marche, Piemonte e Sardegna) che si stanno attivando per adottare provvedimenti simili e sarà auspicabilmente una guida per tutta l’Italia.

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Educatore professionale e formatore, ha lavorato in diversi ambiti del terzo settore. Nel suo lavoro mescola linguaggi e strumenti per creare occasioni di crescita personale attraverso esperienze condivise. Per Le Nius scrive di temi sociali e non profit.
2 Commenti
  1. ANTONIO

    c e tanto da fare ancora i sussidi non solo economici ma anche assistenziali vanno dati a tutti quelli che assistono persone con disabilita grave e non solo a gli ultraottantenni siamo tutti sacrificati

  2. Alex

    Ho lavorato per circa 20 anni nel sociale, anche con partita iva, da oltre 5 anni sono per scelta e per necessità caregiver in famiglia. Una famiglia dalla quale non ho mai staccato il cordone ombelicale. Devo ancora capire se si possa lavorare a casa come assistente domiciliare, tipo badante, oppure si debba aspettare la normativa nazionale sui caregiver. Grazie di averne parlato comunque!

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