Capodanno a Colonia: la confusione di Molinari, neodirettore de La Stampa5 min read

12 Gennaio 2016 Politica -

Capodanno a Colonia: la confusione di Molinari, neodirettore de La Stampa5 min read

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Da dove viene il branco di Colonia? Molinari spiega il capodanno a Colonia facendo una notevole confusione storica e politica.
@spiegel.de

I fatti del capodanno a Colonia sono fra quelli che non si prestano ad una facile e immediata interpretazione. A meno di non voler sposare uno dei due estremi, l’attacco oltraggioso dello straniero invasore alle “nostre” donne o la mistificazione giornalistica ad uso e consumo delle destre di un “consueto” atto di violenza maschile, è innegabile che ci si trovi davanti ad un fatto che si presta ad una molteplicità di possibili interpretazioni, tutte bisognose di riscontro in attesa che i fatti accaduti ci risultino più chiari.

Il giornalismo italiano però non è così cauto e i direttori dei giornali fanno a gara a offrire ai loro lettori le proprie granitiche certezze. Pietra miliare del dibattito il No Pasaran di Lucia Annunziata che sposta inesorabilmente il fulcro del discorso dalla difesa delle donne a quella dei confini e il problema dalla violenza perpetrata dall’uomo a quella perpetrata dall’immigrato islamico.

Non c’è molto da dire ma va detto. E nel più semplice dei modi: noi donne, noi donne europee, abbiamo bisogno di cominciare una discussione vera su quello che l’immigrazione sta portando nei nostri paesi; sul disagio, e sulle vere e proprie minacce alla nostra incolumità fisica che avvertiamo nelle strade, sui bus, nei quartieri delle nostre città.

Capodanno a Colonia: la confusione di Maurizio Molinari, neodirettore della Stampa

Al coro si unisce Maurizio Molinari, neodirettore de La Stampa e conoscitore del Medio Oriente. Questo non gli impedisce però di generalizzare riconducendo le molestie di gruppo del capodanno ad un “atto tribale” ovvero tipico di quella “società tribale” sopravvissuta, secondo l’autore

fino all’Impero Ottomano […] pressoché intatta nello spazio geografico fra Gibilterra ed Hormuz.

La prima grave imprecisione, a mio avviso, sta nel non considerare l’avvento dell’Islam come una rottura di quella tradizione tribale, la predicazione di Maometto e la successiva imposizione della sharia come una cesura netta fra il mondo arabo pre islamico delle tribù, diviso e rissoso, e la nuova umma arabo-islamica e poi semplicemente musulmana. Il Fiqh, il diritto positivo islamico, per quanto vi affondi le sue radici è comunque un incredibile rivoluzione rispetto al diritto consuetudinario pre-islamico, capace come è stato di trasformare un popolo di pastori e mercanti nei più formidabili e organizzati conquistatori che la storia abbia conosciuto.

Il mondo degli Ommayadi e poi, soprattutto, degli Abbasidi è un grande impero che abbraccia tre continenti e svariate etnie, lingue e religioni, che conserva e traduce le opere dei popoli conquistati, che elabora conoscenze, filosofie e politiche che vanno decisamente oltre gli “usi e costumi che si originano dalle lotte ataviche per pozzi d’acqua, donne e bestiame”.

Da qui il discorso va ovviamente a Lawrence d’Arabia, Molinari afferma che:

Thomas Edward Lawrence […] raggiunse con i leader delle maggiori tribù l’intesa che portò alla nascita dei moderni Stati arabi. Da allora al 2011 tali nazioni, create dalle potenze coloniali e moltiplicatesi con la decolonizzazione, hanno dominato le tribù.

E qui il ragionamento si fa singolare. Se queste nazioni sono nate da un accordo dell’Occidente con le tribù, come fanno questi moderni stati arabi ad essere un antidoto al tribalismo? Non è che piuttosto in molti casi l’Occidente abbia semplicemente scelto di far prevalere una tribù sulle altre, come gli Hashemiti in Iraq e Giordania assecondando di fatto proprio quel tipo di società?

Sempre secondo Molinari alle tribù sono da imputare costumi antichi come “il chador per le donne, la decapitazione dei nemici, la vendetta come proiezione di forza, il saccheggio per arricchirsi, la poligamia e il potere assoluto degli uomini sulle donne” eppure quegli Stati figli del nazionalismo arabo che il direttore elenca come antidoti storici al tribalismo

Siria, Iraq, Libia e Yemen […] piccole nazioni come Libano, Giordania e Bahrein e anche [le] potenze regionali: Egitto, Turchia, Arabia Saudita, Iran

sono stati spesso essi stessi (Arabia Saudita, Iran) veicoli di quelle stesse pratiche e di quei valori, mentre in altri casi (Libia, Iraq, Siria) alla forza della sharia hanno sostituito una violenza forse un po’ più “occidentale” ma non meno efferata, quella dei dittatori.

Non è chiaro, inoltre, in quale rapporto l’autore mette l’emergere di questo nuovo tribalismo e quello dello Stato Islamico. Di sicuro li indica entrambi come figli della dissoluzione e dalla crisi degli stati arabi. Eppure l’ambizione panislamica del Daesh, i suoi contatti con i musulmani dell’africa subsahariana e con quelli delle steppe russe, la sua capacità di attrazione transnazionale sono l’esatto opposto dell’appartenenza ad un etnia o ad un clan e ne farebbero semmai un terzo incomodo nel “confronto interno fra modernità e tribalismo” dove la modernità sarebbe costituita dallo stato-nazione novecentesco.

In questo calderone, infine, non è chiaro come questi giovani molestatori abbiano potuto avvertire una comune ascendenza tribale fino al punto da spingerli ad agire secondo quei presunti dettami ancestrali quando le loro nazionalità erano, stando alla provenienza dei fermati le più disparate. Se 21 degli arrestati condividono infatti almeno l’appartenenza al composito mondo arabo, seppur con nazionalità che spaziano dalla marocchina alla siriana, dall’algerina all’irachena, cinque erano invece Iraniani (estranei quindi alla discendenza dalle tribù della penisola) e addirittura due tedeschi, uno serbo ed uno statunitense.

Ciò che sappiamo, quindi, è che a Colonia le aggressioni sono state perpetrate da uomini, probabilmente per la maggioranza ma non esclusivamente islamici e, di questi, una buona parte, ma non solo, arabi. Non sappiamo ancora quanti di questi sono immigrati, e quanti, fra questi, sono rifugiati. Non sappiamo se si tratta di un gesto organizzato o improvvisato, lucido o dettato dall’alcool. Le cose che non sappiamo sono ancora, insomma, molte di più di quelle che sappiamo.

Ciò che possiamo fare subito e senza esitazione è condannare il gesto e i suoi autori, per interpretarlo, soprattutto quando si chiamano in causa categorie forti e controverse brandendo la storia e l’antropologia come clave, ci sarà sempre tempo.

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Quest'anno ho fatto il blogger, il copywriter, il cameriere, l'indoratore, il web designer, il dottorando in storia, il carpentiere, il bibliotecario. L'anno prossimo vorrei fare l'astronauta, il rapinatore, il cardiochirurgo, l'apicoltore, il ballerino e il giocatore di poker prof.
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