Blue economy e sviluppo sostenibile. Si può fare?10 min read

6 Luglio 2022 Ambiente Economia -

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Educatore

Blue economy e sviluppo sostenibile. Si può fare?10 min read

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Cos’è la blue economy?

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Secondo il Center for the blue economy, la Blue economy, o economia blu è un’espressione oggi utilizzata con tre significati correlati, ma distinti:

  • il contributo degli oceani alle economie
  • la necessità di affrontare il tema della sostenibilità ambientale e
  • ‘economia legata al mare come opportunità di crescita per tutti i paesi.

Di fatto, oggi, il concetto di blue economy racchiude in sé quello di sostenibilità. Lo afferma tra gli altri il WWF, chiarendo che l’economia blu deve rispettare l’integrità degli ecosistemi, e che l’unico percorso sicuro verso la prosperità a lungo termine avviene attraverso lo sviluppo di un’economia circolare.

Più nello specifico, la blue economy è sostenibile quando è in grado di offrire benefici sociali ed economici per le generazioni attuali e future, contribuendo alla sicurezza alimentare, allo sradicamento della povertà, al miglioramento dei mezzi di sussistenza e in generale delle condizioni sociali ed economiche. È un’economia che ripristina, protegge e mantiene la biodiversità, la produttività e la resilienza degli ecosistemi marini. La blue economy, infine, deve basarsi su tecnologie pulite, energie rinnovabili e un flusso circolare dei materiali.

La rilevanza economica di questo comparto è notevole. Secondo il Blue Economy Report 2021 della Commissione Europea, i settori consolidati della blue economy contribuiscono a circa l’1,5% del PIL dell’Unione Europea, generando 650 miliardi di euro di fatturato e un utile lordo di 68 miliardi di euro. In termini di occupazione, stiamo parlando di 4,5 milioni di posti di lavoro, il 2,3% del totale.

L’acqua è ovunque, ma non è infinita

Oltre il 70% della superficie del nostro pianeta è ricoperta dall’acqua. La maggior parte, circa il 96,5%, si trova negli oceani. Per quanto riguarda il resto, l’1,7% è immagazzinato nelle calotte polari e nella neve perenne, mentre un altro 1,7% si trova nei laghi, nei fiumi e nel suolo.

Si potrebbe pensare quindi a una risorsa infinita, o quantomeno più che abbondante rispetto ai bisogni umani, ma non è più così. Il 40% della popolazione mondiale è infatti esposto a scarsità idrica, soprattutto nei paesi più poveri. Questo accade in un contesto globale in cui i cambiamenti climatici aumentano la probabilità di eventi estremi come alluvioni e siccità, e in cui l’utilizzo di acqua per l’agricoltura, l’industria e le esigenze domestiche supera la capacità di rigenerazione di una risorsa che credevamo illimitata.

Non è solo la quantità di acqua a disposizione a doverci preoccupare. Il livello globale dei mari cresce costantemente e, secondo le previsioni della Nasa, entro il 2100 l’aumento del livello del mare in Italia potrebbe arrivare, nello scenario peggiore, fino a 80 centimetri. Questo fenomeno si collega a quello delle sempre più frequenti siccità e alla risalita delle acque salate verso l’entroterra, con un impatto anche sulle attività agricole.

L’innalzamento del livello dei mari rende necessarie azioni di mitigazione e adattamento, anche per scongiurare forti problemi economici nel prossimo futuro. Uno studio pubblicato dalla rivista Environmental Research Communications ha messo a confronto diversi scenari possibili legati alle inondazioni costiere, ipotizzando perdite annuali fino a più del 4% del PIL globale entro il 2100. Lo studio evidenzia anche come, in caso di importanti azioni di adattamento, questo valore potrebbe fortemente ridursi e avvicinarsi allo zero.

Un altro problema legato alle acque del nostro pianeta è quello legato alla proliferazione delle microplastiche, che pervadono i mari, i laghi e i fiumi. Si stima che 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscano ogni anno negli oceani. Miliardi di bottiglie, involucri, oggetti che inesorabilmente si disgregano in frammenti impossibili da recuperare. Senza contare la plastica che entra in mare già sotto forma di piccole particelle, come la polvere di pneumatico, i prodotti tessili o le microsfere contenute nei cosmetici. Plastica che ormai è ovunque, perfino in Antartide. Plastica che, alla fine, entra a far parte di ciò che mangiamo.

blue economy fiume
@unspalsh-knipszimmer

Blue economy: la sfida della sostenibilità

È in questo contesto decisamente compromesso che la blue economy, così come l’abbiamo definita, mostra tutte le sue potenzialità. La sfida è quella di coniugare l’attività economica con una presa in carico della crisi climatica, con la salvaguardia della biodiversità e il rispetto degli ambienti naturali. Temi che sono strettamente correlati con la sicurezza alimentare, la povertà e la giustizia sociale.

Della blue economy fanno parte settori più tradizionali, che hanno bisogno di essere ridimensionati e ripensati in modo da ridurre al minimo il loro impatto ambientale, attualmente molto alto. Parliamo ad esempio di pesca, estrazione di petrolio e altre risorse, trasporti marittimi, attività portuali e cantieri navali.

Nel contesto del Green Deal europeo, ad esempio, l’economia blu può contribuire alla mitigazione del cambiamento climatico decarbonizzando il trasporto marittimo e rendendo più ecologici i porti. Può rendere l’economia più circolare rinnovando gli standard per la progettazione degli attrezzi da pesca, per il riciclaggio delle navi e per la disattivazione delle piattaforme offshore.

Tra i settori più innovativi della blue economy, con profitti lordi per 7,3 miliardi nel 2018 in Europa, troviamo le biotecnologie blu, ovvero l’utilizzo di organismi marini come alghe, batteri, funghi e invertebrati per ricavare nuovi materiali. Un ambito, questo, che richiede attenzione e lungimiranza nello sfruttamento delle risorse, evitando errori che nel passato hanno portato alla compromissione degli ecosistemi. Altrettanto innovative sono le attività di ricerca e innovazione, la robotica e lo sviluppo di nuove infrastrutture come la posa di cavi sottomarini.

Uno dei settori in cui la blue economy può fare la differenza, dal punto di vista della lotta ai cambiamenti climatici, ha a che fare con la produzione di energia rinnovabile. Da questo punto di vista gli ambienti marini si prestano a diverse soluzioni, come l’installazione di impianti per ricavare energia delle onde, il solare “flottante” e l’eolico offshore. In Italia impianti di questo tipo sono già realtà, nonostante lentezze e contrasti ancora da superare.

Rilevanti in chiave di adattamento ai cambiamenti climatici sono anche gli impianti di desalinizzazione dell’acqua, che possono contribuire a fronteggiare siccità e crisi idriche ricavando acqua potabile dal mare. Impianti che però non possono essere considerati una soluzione strutturale su larga scala, perché possono avere un impatto negativo sugli ecosistemi costieri.

Il turismo, infine, inteso come attività che riduca al minimo l’impatto ambientale delle strutture, delle attività ricreative e degli spostamenti, può essere un settore chiave anche dal punto di vista culturale, potenzialmente capace di modificare gli stili di consumo dei turisti. Lo sviluppo di infrastrutture verdi nelle zone costiere, ad esempio, può contribuire a preservare la biodiversità e i paesaggi, a vantaggio del turismo e dell’economia locali.

Pesce: una filiera sostenibile dal peschereccio alla tavola

Insieme all’inquinamento delle acque, una grave minaccia per la sostenibilità dei nostri mari proviene dalla pesca eccessiva, che negli anni ha sempre più alterato l’equilibrio degli ecosistemi marini. Secondo le stime, infatti, il 34% degli stock ittici globali è sfruttato al di sopra del livello di sostenibilità e il 60% è sfruttato a pieno regime. Questo significa che alcune specie vengono pescate in quantità maggiore rispetto alla loro capacità di riprodursi.

All’origine di questa situazione ci sono pratiche di pesca non sostenibili, talvolta illegali o non regolamentate, che portano alla distruzione di habitat e alla cattura accidentale di specie minacciate. Secondo i dati riportati dal WWF, ogni anno vengono pescate illegalmente tra le 11 e le 26 milioni di tonnellate di pesce. Gli attrezzi per la pesca utilizzati sono spesso poco selettivi e, nel Mediterraneo, causano uno scarto del 18,6% delle catture. Scarto che, per alcune attività di pesca, può arrivare fino al 70%. Vengono catturati inutilmente pesci che non hanno ancora raggiunto l’età riproduttiva, ma anche specie in pericolo di estinzione ecologica come mammiferi e tartarughe marine.

In questo contesto, la blue economy può promuovere pratiche più sostenibili, favorendo le aziende che utilizzino attrezzi da pesca all’avanguardia dal punto di vista della difesa della biodiversità. Ma non basta: il cambiamento verso una maggiore sostenibilità può riguardare tutta la filiera, dal peschereccio alla tavola. La blue economy può infatti promuovere un consumo più responsabile, e limitato, ad esempio virando su un modello di pesca artigianale a chilometro zero. Oppure diversificando le specie pescate, non scegliendo solamente le più note e ipersfruttate, con benefici anche sulla dieta dei consumatori.

Il settore è senz’altro promettente anche dal punto di vista economico e sociale. Secondo l’ultimo rapporto sulla flotta peschereccia dell’UE, nel 2018 questa attività ha prodotto un utile lordo complessivo di 1,5 miliardi di euro, e un utile netto di quasi 800 milioni di euro. Dal punto di vista dei lavoratori, i dati suggeriscono che gli stipendi dei pescatori dell’UE tendono a crescere laddove le sono impegnati un’attività sostenibile, mentre e tendono a ristagnare laddove dipendono da stock sovrasfruttati.

Anche a livello globale ci sono segnali incoraggianti, con dati che ricordano ai paesi più sviluppati le loro responsabilità. Su oltre 120 milioni di persone che nel mondo dipendono dalla pesca, il 97% vive in Paesi in via di sviluppo. Di queste, più del 90% già lavora nella pesca su piccola scala, compresi quasi 32 milioni di pescatori. Un tipo di pesca che, secondo i dati della Banca Mondiale, comporta un’occupazione molto più alta della pesca su larga scala.

blue economy e sostenibilità

Blue economy e sostenibilità: si può fare?

La blue economy può essere un’occasione per aprire a nuove attività con una logica diversa, in cui mitigazione e adattamento rispetto ai cambiamenti climatici possano essere essi stessi una fonte di benessere, anche economico.

Ci si chiede quanto l’economia legata al mare possa contribuire alla ricchezza dei paesi e alle tasche degli investitori. Ci si chiede come tutti questi settori possano prosperare in modo sostenibile, senza nuocere agli ecosistemi e alle comunità umane. Come abbiamo visto le due cose non sono per forza in contraddizione, a patto di invertire l’ordine in cui ci si pone queste due domande. Solo così, traendo insegnamento dagli errori del passato, possiamo scongiurare il rischio che un’accelerazione blu possa sfuggire di mano. Un cambiamento culturale verso una maggiore sobrietà e consapevolezza, nei consumi e nelle produzioni, deve infatti essere prioritaria rispetto all’adattamento attraverso opere e soluzioni tecnologiche.

Perché è importante investire sulla blue economy

L’economia blu è un ambito e un processo in cui anche gli investitori privati possono fare la differenza. La strada, in tal senso, può essere quella di “votare col portafoglio”, l’atto di acquistare beni o servizi può avvicinarsi a un voto nell’urna elettorale: un atto individuale che guarda al bene collettivo, una scelta politica trasformativa che si può esercitare quotidianamente e silenziosamente, senza aspettare scadenze elettorali.

Per esempio le scelte finanziarie dei piccoli risparmiatori possono svolgere un ruolo importante nel determinare il successo di un’economia blu sostenibile, andando ad incidere sui servizi ecosistemici e sulla tutela degli spazi marini. Il risparmiatore consapevole può decidere, per esempio, di premiare le aziende che, pur muovendosi in un contesto di concorrenza di mercato, si dimostrano attente alle condizioni del mare e al rispetto dell’ambiente.

Si attiva in questo modo un processo bidirezionale: le aziende virtuose ricevono l’approvazione dei consumatori e restituiscono questa fiducia sotto forma di beni e servizi sostenibili alla comunità.

 

Questo contenuto nasce in collaborazione con Etica Sgr, dal 2000 l’unica società di gestione del risparmio italiana che propone esclusivamente soluzioni SRI (dall’inglese Sustainable and Responsible Investment). Le soluzioni di investimento sostenibile e responsabile di Etica Sgr, si pongono l’obiettivo di creare opportunità di rendimento in un’ottica di medio-lungo periodo, puntando all’economia reale e premiando imprese e Stati che mettono in pratica azioni virtuose in materia ambientale, sociale e di governance (ESG).

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Educatore professionale e formatore, ha lavorato in diversi ambiti del terzo settore. Nel suo lavoro mescola linguaggi e strumenti per creare occasioni di crescita personale attraverso esperienze condivise. Per Le Nius scrive di temi sociali e non profit.
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