Siamo soli, lavoriamo senza tregua: i bisogni inascoltati dei caregiver italiani11 min read

28 Febbraio 2020 Disabilità Welfare -

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Educatore

Siamo soli, lavoriamo senza tregua: i bisogni inascoltati dei caregiver italiani11 min read

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Isolamento sociale, solitudine, abbandono istituzionale. Stanchezza cronica, impoverimento economico, annientamento della persona e impossibilità di condurre una vita normale. Questi i temi più ricorrenti nelle parole dei caregiver italiani e di chi li conosce da vicino.

I caregiver sono coloro che si prendono cura, a titolo non professionale e gratuito, di una persona cara affetta da malattia cronica, disabile, con una malattia rara o con un qualsiasi altro bisogno di assistenza a lungo termine. Stiamo parlando di oltre 7 milioni di italiani, di cui circa tre quarti sono donne.

bisogni dei caregiver

Nonostante il sistema del welfare italiano si occupi di disabilità sotto molti aspetti, da anni i caregiver aspettano una legge che si occupi direttamente di loro. Al momento esiste solamente un dibattuto disegno di legge, frutto di circa cinque anni di lavori, depositato nell’agosto 2019 in Senato. Ma i contenuti non sembrano soddisfare i destinatari e sui tempi della sua conversione in legge non si sa ancora nulla di certo.

In questo articolo abbiamo presentato la questione: i dati, i principali problemi aperti, i servizi esistenti e il percorso faticoso della legge. Il tema ha interessato molte/i lettrici e lettori, e intercettato alcuni frammenti di vita di chi si è sentita/o chiamato in causa. Per questo abbiamo deciso di fare un passo più in là, raccontando il punto di vista di chi vive la condizione di caregiver, per comprenderne meglio bisogni e difficoltà.

Lo abbiamo fatto raccogliendo le testimonianze di tre persone, tre donne, che conoscono questa esperienza da vicino.

Quali sono i bisogni dei caregiver in Italia?

Per chi non c’è dentro è difficile immaginare che vita fanno i caregiver. Lo racconta a Le Nius Alessandra Corradi, caregiver e fondatrice dell’Associazione Genitori Tosti. E spesso i caregiver stessi non se ne rendono conto, perché non hanno il tempo e le energie per riflettere. Francesca Macari, anche lei caregiver e presidente dell’Associazione Sclerosi Tuberosa (AST) lo spiega in modo chiaro: “Non sappiamo più qual è l’emergenza vera, perché non sappiamo neanche definirla, sappiamo solo che viviamo in un’ansia continua, alla ricerca di qualcosa che… Esiste? Non esiste? Devo pagarlo? Avrò i soldi?”

Fermarsi a riflettere sui propri bisogni prima di cercare soluzioni adeguate sembra essere il punto chiave della questione. Ma il tempo è un lusso che i caregiver non si possono permettere, e spesso non fanno che affannarsi per risolvere l’emergenza del giorno.

Lo conferma Sabrina Banzato, consulente di AST, assistente sociale e ricercatrice: “Spesso” racconta “i caregiver sono talmente schiacciati da questo ruolo che gli altri ruoli non esistono più, compreso quello di marito, moglie, fratello o sorella”. Per questo lei e i suoi collaboratori hanno condotto un’indagine sui bisogni dei caregiver e creato uno strumento di valutazione per aiutarli a prendere consapevolezza della propria situazione.

Partiamo da qui, allora: i caregiver devono poter emergere dall’apnea costante in cui vivono. Senza questa prima condizione difficilmente riusciranno a conoscere ed esprimere in modo preciso i loro bisogni particolari.

Il bisogno di staccare e avere una vita sociale

Il bisogno più evidente dei caregiver è quello di recuperare una dimensione personale, di condurre una vita che contempli altro al di fuori del lavoro di cura.

Una madre caregiver non ha più una vita.

Racconta Francesca Macari, “sta sempre dietro al proprio figlio e non può nemmeno andare a prendere un caffè o fare una telefonata con un’amica”. La solitudine è assoluta, spiega, perché coloro che hanno una quotidianità normale, parenti e amici, prima o poi finiscono col non cercarti più. Si perdono i contatti e difficilmente se ne trovano di nuovi, se non con problematiche simili.

Le fa eco Alessandra Corradi: “Tutti i giorni, per settimane, mesi, anni… per sempre, lavoriamo senza tregua. Non esiste nessun altro lavoro che si fa anche il sabato e la domenica, anche se ti ammali”. Corradi ci ricorda che spesso i caregiver sono anche soli, nel senso che non hanno l’appoggio di un altro familiare, a causa di partner che hanno lasciato il nucleo o di congiunti che non sono disponibili ad aiutare nel lavoro di cura.

Secondo l’indagine condotta dal team di Sabrina Banzato e pubblicata da AST, il 53% delle persone intervistate dichiara di spendere più di otto ore al giorno nel lavoro di cura e quasi il 60% riconosce un impatto significativo di tale attività sulla possibilità di avere una vita sociale soddisfacente. Una percentuale simile dichiara un impatto negativo sulla qualità delle relazioni familiari e di coppia.

bisogni caregiver
Foto: Honza Soukup

Il bisogno di essere sollevati dal lavoro di cura

Per poter staccare è indispensabile che persone qualificate offrano servizi, possibilmente a domicilio, per sollevare i caregiver nel lavoro di cura, almeno durante le ore necessarie allo svolgimento dei loro impegni personali. È qui che emergono le mancanze più importanti nel servizio pubblico italiano. Stiamo parlando di prestazioni come, ad esempio, assistenza sanitaria ed educativa, logopedia, fisioterapia, ecc.

Su questo punto sembrano concordare le persone che abbiamo intervistato: le leggi sulla disabilità in Italia ci sono, ma non vengono applicate. I servizi previsti sono difficili da ottenere e spesso ci si trova, con grande fatica e frustrazione, a rimbalzare su un muro di gomma.

Secondo Alessandra Corradi, i caregiver italiani vivono in uno stato di abbandono sia istituzionale che sociale: avrebbero bisogno di servizi, e invece si devono ingegnare per diventare fisioterapisti, psicomotricisti, infermieri. Oppure devono andare a cercarsi le cure che mancano, nel suo caso perfino all’estero.

Il caregiver, insomma, sopperisce alle mancanze del servizio pubblico, ma paga un prezzo molto alto a livello personale. Secondo il parere di Francesca Macari, se una famiglia avesse gli aiuti utili per vivere una quotidianità normale, i caregiver sarebbero meno affaticati.

Non è una questione di soldi, spiega, perché prendersi cura di una persona 24 ore su 24 è una fatica non quantificabile economicamente. Ciò che serve è dare l’opportunità al caregiver e all’assistito di vivere una quotidianità in modo agevolato. Il problema, continua, è che non c’è una presa in carico reale e il caregiver deve cercarsi i servizi, e spesso arrivare da solo a scoprire che esistono e che ne avrebbe il diritto.

Anche Sabrina Banzato entra in argomento e ci ricorda come i servizi siano stati depotenziati negli ultimi 20 anni, portando le persone a doversi arrangiare da sole. “È inutile parlare di grandi leggi se non si fanno funzionare quelle esistenti” dice. Tuttavia, precisa Banzato, non è solo questione di fondi: se quelli già disponibili fossero ben utilizzati, sarebbero sufficienti.

Bisogni dei caregiver: poter continuare a lavorare

Circa la metà delle persone intervistate dal team di Sabrina Banzato riconosce che essere caregiver ha un impatto significativo sulla possibilità di lavorare e sulla disponibilità economica della propria famiglia.

Un’altra indagine (pdf), pubblicata da AIMA (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer), rileva che il 59% dei caregiver segnala cambiamenti nella vita lavorativa: la conseguenza più citata sono le ripetute assenze, che in molti casi possono portare alla perdita del lavoro.

Anche questo è un problema che riguarda maggiormente le donne. Lo sa bene Alessandra Corradi, che prima di diventare caregiver si occupava di organizzazione di concerti e festival musicali e che, come quasi sempre succede in casi come il suo, si è trovata costretta a lasciare il lavoro. Lavoro che è una valvola di sfogo ma anche, e forse soprattutto, una fonte di reddito: chi lo perde subisce anche un impoverimento del nucleo familiare, che in certi casi può comportare situazioni davvero difficili.

“Anche se non si può mai davvero staccare”, spiega Francesca Macari, “perché al proprio assistito si pensa sempre, se un caregiver potesse avere quelle 6-8 ore di lavoro, anche faticoso, ma in cui è tranquillo perché sa che il proprio congiunto è al sicuro e sta bene, sarebbe già molto”.

Bisogni dei caregiver: la formazione

Prendersi cura di una persona con disabilità non si impara da un giorno all’altro. Eppure il caregiver è costretto a farlo: dalla cura diretta all’accesso ai servizi e alle terapie, passando per la burocrazia.

Si va da nozioni (apparentemente) banali, come ad esempio la corretta esecuzione dell’igiene orale, la movimentazione delle persone non deambulanti, le necessarie modifiche alla casa per consentire il passaggio di una carrozzina; fino a conoscenze più complesse, come il quadro medico e psicologico di una determinata patologia o le leggi in vigore da cui discendono i servizi a disposizione e le procedure per ottenerli.

Un caregiver, e il suo assistito, avrebbero senz’altro vita più facile se tutte queste cose non dovessero impararle da soli, sprecando tempo ed energie. Tra i bisogni dei caregiver c’è quindi certamente la formazione: Corsi gratuiti (anche a domicilio), materiale informativo, siti o sportelli istituzionali di riferimento sono solo alcune idee da cui partire.

Il bisogno di sostegno sociale e psicologico

Il lavoro del caregiver comporta una pressione psicologica ed emotiva altissima, che nella difficoltà di trovare spazi di riposo va a sommarsi alla stanchezza fisica. Se non viene fronteggiata in modo adeguato, una simile situazione può comportare l’insorgere di patologie nel caregiver, come ad esempio il burnout o la depressione. Lo stesso vale per l’isolamento sociale: il caregiver ha bisogno di una rete di persone a cui fare riferimento per arginare la solitudine.

Secondo l’indagine pubblicata da AST, più di 7 caregiver su 10 riconoscono che l’attività di cura ha un impatto significativo sulla propria salute psicologica. Una percentuale altissima e probabilmente sottostimata rispetto alla realtà, a causa della scarsa consapevolezza da parte degli interessati. Circa la metà dei rispondenti, inoltre, ritiene di avere bisogno di supporto psicologico e di sostegno specifico per la gestione delle relazioni familiari.

Questo è uno degli ambiti in cui le diseguaglianze si fanno sentire di più: “Servono soldi,” spiega Alessandra Corradi, “oppure gli strumenti culturali per fare da sé”. Chi non li ha non può far altro che subire gli eventi e provare a resistere.

bisogni dei caregiver italiani
Foto: Roel Wijnants

Il bisogno di sostegno economico e di una posizione previdenziale

Come abbiamo detto, caregiver si diventa senza averlo scelto e lo si rimane per molti anni, spesso per tutta la vita. Durante quel periodo, per molti non è possibile mantenere il lavoro e di conseguenza si subisce un impoverimento e si perde l’accesso a tutte le tutele che una posizione lavorativa garantisce, come l’accumulo dei contributi per andare in pensione, l’indennità in caso di infortunio, ecc.

Per questo, dice Alessandra Corradi, lo Stato dovrebbe riconoscere il caregiver come figura professionale, con stipendio e tutele come chiunque altro. “Questo succede già in altri paesi” precisa, “ad esempio Albania e Romania”.

Secondo Francesca Macari, invece, più che di uno stipendio mensile, il caregiver avrebbe bisogno di più aiuti a livello sociale e curativo. La questione è delicata. Sul piatto, spiega Sabrina Banzato, c’è una questione importante: dare soldi alle famiglie e lasciare che si arrangino da sole, o migliorare i servizi e sostenerle in questo modo?

La risposta probabilmente prevede entrambe le cose: è indispensabile che gli aiuti economici vadano di pari passo con la presa in carico delle persone e dei bisogni di cui abbiamo parlato fin ora, altrimenti il rischio di un ulteriore isolamento è altissimo.

Per concludere: cosa dovrebbe prevedere una buona legge per i caregiver?

Tanto per cominciare, sostiene Alessandra Corradi, i caregiver dovrebbero essere coinvolti nella stesura della legge. A suo parere, infatti, il DDL attuale è frutto del lavoro di forze politiche ed è inadeguato. La sua associazione, Genitori tosti, si è data da fare in questo senso e ha recentemente partecipato a un tavolo istituzionale sul tema. Sul sito dell’organizzazione, inoltre, si può trovare un questionario, predisposto per raccogliere dati sui bisogni dei caregiver sul territorio nazionale.

Non è un compito facile elaborare una buona legge su questo tema, nel contesto italiano. La norma sui caregiver, spiega Sabrina Banzato, si incastra con altre norme che già si occupano di famiglie e di disabilità; quindi è difficile integrarla, ad esempio a livello di bonus economici.

Come abbiamo visto, la questione economica è particolarmente spinosa: “È necessario dare importanza alla figura del caregiver attraverso una legge,” continua Banzato, “ma non deve essere uno scarica barile con la sola erogazione economica”. A suo parere, una buona legge dovrebbe prevedere servizi pubblici organizzati per accogliere e valutare realmente i bisogni dei caregiver prima di stabilire quale risposta dare. Solo dopo dovrebbe mettere a disposizione un fondo che aiuti dove serve. Il caregiver dovrebbe essere considerato come una persona, nella sua unicità e complessità, cosa che adesso non avviene.

Secondo Francesca Macari i provvedimenti più urgenti che la legge dovrebbe mettere in campo riguardano servizi con professionalità specifiche che aiutino le famiglie, compresi gli interventi più moderni che ad oggi si trovano in poche strutture e a pagamento. Un altro aspetto per lei importante è il supporto psicologico per i caregiver, che li aiuti a fermarsi per prendere coscienza del problema, al fine di trovare una soluzione adeguata.

A suo parere la presa in carico dovrebbe essere per tutta la famiglia, non solo per l’assistito. Servirebbe inoltre più facilità di accesso alle cure, perché anche doverle cercare è stressante e toglie ulteriore tempo a chi già non ne ha.

Qualcosa si sta muovendo, anche se lentamente. Caregiver, ricercatori, associazioni come quelle che abbiamo sentito, si stanno dando da fare per approfondire il tema e far sentire la propria voce. L’augurio è che venga ascoltata dalle istituzioni e che la futura legge sappia interpretarla nel migliore dei modi.

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Educatore professionale e formatore, ha lavorato in diversi ambiti del terzo settore. Nel suo lavoro mescola linguaggi e strumenti per creare occasioni di crescita personale attraverso esperienze condivise. Per Le Nius scrive di temi sociali e non profit.
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