Gli “angeli di Svezia” e quella fame che manca a Milan e Inter3 min read

12 Marzo 2014 Uncategorized -

Gli “angeli di Svezia” e quella fame che manca a Milan e Inter3 min read

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@Doha Stadium Plus
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Sarà che la stagione 2013-2014 per il calcio milanese ha assunto sin qui i connotati di un grosso punto interrogativo, ma internet è quanto mai intasata da commenti di appassionati tifosi pronti a sentenziare: “Via Mazzarri, non sa gestire la squadra! Speriamo arrivi Simeone“, oppure “Con Seedorf il calcio spettacolo è arrivato!”.

Uno spettatore più distaccato osserverebbe che il primo necessiterebbe forse di più tempo, fiducia e pazienza prima di passare il testimone e che il secondo non ha ancora prodotto nulla, sostituendo un allenatore che non aveva così demeritato.

Lo stesso spettatore, inoltre, capirebbe che c’è un ingrediente mancante ai cugini rossonerazzurri. È la fame, la voglia di vincere. Il miglior schema, la miglior formazione non può nulla se mancano questi fattori. Se presente, è la stessa voglia a trascinare una squadra verso traguardi nemmeno pensabili.  Si potrebbero trovare numerosi esempi a supporto di tale tesi: il Porto di Mourinho, la Danimarca vincente degli Europei del ’92 o la Reggina che si salva recuperando il terreno dopo una pesante penalizzazione iniziale.

Affascina la storia occorsa nella stagione 1981-1982 all’IFK Goteborg. Gli “angeli di Svezia” allenati da un giovane allenatore locale, Sven-Göran Eriksson, che aveva raccolto i biancoazzurri dopo un paio di stagioni trascorse nelle serie inferiori. Il suo schema di gioco era un classico 4-4-2 fatto di rapide ripartenze e gli schemi venivano insegnati ad un team composto da dilettanti: cuochi, operai, commessi e maestri elementari. Gente che riusciva a rimpolpare il proprio stipendio mensile e che trovava nel calcio un mondo con cui divertirsi.

Sotto gli insegnamenti del proprio allenatore e con il coltello tra i denti i ragazzi di Sven non solo iniziarono a dettar legge in patria (il campionato – l’Allsvenskan – era considerato un torneo dilettantistico), ma anche oltre confine attraverso la partecipazione all’undicesima edizione della Coppa Uefa. Ancora oggi si sorride nel leggere che, per la trasferta a Valencia per i quarti di finale della Coppa UEFA, venne istituita una colletta tra i tifosi, ma nonostante ragionevoli difficoltà logistico-economiche, turno dopo turno, gli scandinavi avanzarono la loro candidatura per il successo finale.

Il Goteborg aveva superato i primi due turni nel silenzio generale e si impose all’attenzione internazionale eliminando la Dinamo Bucarest, che aveva appena fatto fuori l’Inter. Affrontare il Valencia significava incontrare una delle squadre più in forma del momento, per di più con l’incognita della condizione fisica, dopo che per tutto l’inverno il campionato svedese era rimasto fermo per la consueta pausa. Ma non c’è storia: la corsa degli svedesi è prepotente, i passaggi veloci, la testa salda sulle spalle. Non ci sono soldi che sommergono gli sconosciuti dilettanti, ce ne potrebbero essere se si andasse avanti nella competizione: per un meccanico come Tord Holmgren potrebbero far comodo.

Eliminati con sorpresa gli spagnoli, in semifinale alla formazione di Eriksson toccano in sorte i tedeschi del Kaiserslautern, freschi di vittoria roboante contro il Real Madrid. Ormai nessuno rimane più indifferente al cospetto degli svedesi. Il Goteborg non mostra paura neppure in Germania e, al termine dei supplementari dopo un doppio 1-1, raggiunge un’incredibile finale.

 
L’ultimo atto contro l’Amburgo di Magath (la Juventus ricorda ancora il suo nome) è una festa senza fine: davanti a 45.000 spettatori e sotto una pioggia torrenziale che rende quasi impraticabile il terreno di gioco, è il Goteborg a fare la partita nonostante non abbia grandi forze fisiche nel proprio serbatoio e dopo aver perso i suoi migliori elementi per infortunio. È la voglia di arrivare a farla da padrona: a tre minuti dal 90′ arriva il meritato gol. La gioia è incredibile e la gara di ritorno in Germania suggella il successo conclusivo. La stagione calcistica si conclude con un trionfo dietro l’altro: l’ottava Allsvenskan, la seconda Svenska Cupen e, per la prima volta nel calcio svedese, la vittoria della Coppa UEFA.

In Italia chi è riuscito a vedere la partita, trasmessa da TeleMonteCarlo in una piacevole serata di primavera, ancora ricorda il miracoloso 3-0 inflitto in terra germanica dagli “angeli di Svezia”.

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Nato a Salerno qualche anno fa ma trapiantato a Milano sin dai primi dentini, cresco (si fa per dire) col pane e pallone quotidiano, accompagnandoli con una bicicletta, una racchetta da tennis, delle scarpe per correre, un costume per nuotare e tanto televideo da leggere alla pagina 200. Curioso, irrequieto, sperimentatore. Sognatore.
Commento
  1. dav1de

    Non sono d'accordo con l'inizio :) La partita di ieri ne è giusto una piccola dimostrazione, la squadra di Simeone mangiava l'erba, quella di Seedorf giocava in punta di piedi. E l'allenatore non c'entrerebbe in tutto questo? L'allenatore è centrale, è il motivatore, il preparatore, il suo ruolo nel provocare e motivare è centrale. Una squadra demotivata è anche (non solo) responsabilità dell'allenatore, e la grinta non ha bisogno di un anno di noia. L'Atletico Madrid è lo specchio di Diego Simeone. L'Inter che annoia è responsabilità di Mazzarri. Cos'è cambiato nella Roma di quest'anno? Rudi Garcia. Per quanto riguarda Seedorf è un discorso diverso: non è un allenatore, quindi gli serve giusto il tempo per imparare a farlo e poi si vedrà.

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