Allacciate le cinture4 min read
Reading Time: 3 minutesCon Allacciate le cinture, dopo il più mistico e introspettivo Magnifica presenza – forse un pò inconcluso ma certamente molto ben interpretato – il regista italo-turco torna a parlare di un’umanità nella quale è facile immedesimarsi.
Elena (Kasia Smutniak) e Antonio (Francesco Arca) si incontrano in una giornata di pioggia torrenziale e fin dal primo momento si odiano e si attraggono come solo agli opposti può capitare: raffinata, dolce e ambiziosa lei – aprirà una fruttuosa catena di locali con Fabio (Filippo Scicchitano), il suo migliore amico gay – razzista, rozzo e omofobo lui – un meccanico tutto muscoli e poco cervello, per giunta dislessico. Li ritroviamo 13 anni dopo, sposati e con due figli, abituati ognuno alla propria infelicità. A sconvolgere la loro vita la scoperta del tumore di lei, che li porterà a ritrovarsi, a quella spiaggia dove anni prima tutto aveva avuto inspiegabilmente inizio.
Camminate, silenzi e sguardi individuano i punti salienti del film, sostituendo quelle tavole imbandite e apparecchiate a festa, per anni marchio di fabbrica del regista: la sua telecamera indugia sulle gambe di Elena, quando per la prima volta esce dal bar in cui lavora per seguire Antonio nella sua officina e cedere così definitivamente ai suoi istinti. Fa lo stesso quando, uscita dallo studio del medico e venuta a conoscenza della sua condizione, si reca a piedi in centro e siede su una panchina; o ancora quando attraversa il corridoio dell’ospedale, quasi come fosse il miglio verde che la separa dal braccio della morte, e si sottopone alla sua prima chemio.
Quell’amore che pare insensato tra due persone così diametralmente opposte è totalmente affidato ai silenzi: Elena e Antonio, in tutti i 120′ del film, scambiano pochissime battute (e quando lo fanno, per lo più stanno litigando), ma si osservano in continuazione, reciprocamente di nascosto, aggrappandosi l’uno allo sguardo dell’altro per non perdersi e affidandosi solo a quello per conoscersi intimamente.
E Francesco Arca, ex tronista ed ex fidanzato di Laura Chiatti, vince i pregiudizi dei più (compreso il mio, lo ammetto) dimostrandosi all’altezza del ruolo: sarà che nel film sono più le volte che sta zitto, fa a botte o è ripreso come mamma l’ha fatto, ma probabilmente il merito è del regista, che precedentemente aveva già lavorato con un Gabriel Garko ancora lontano dai ruoli da mafioso che l’hanno tanto – inspiegabilmente – reso famoso e con un Luca Argentero fresco concorrente del Grande Fratello, trasformandoli in attori.
Di Allacciate le cinture a fare centro nel cuore dello spettatore è poi l’umanità dei personaggi: nessuno è perfetto, ma ognuno a modo proprio è alla ricerca della felicità. La mamma di Elena, che vive ancora nel ricordo del figlio scomparso Michele e che è stata incapace di costruirsi una nuova vita; sua sorella (un’Elena Sofia Ricci che sembra aver recuperato il lavoro sul personaggio fatto per “Mine Vaganti” e averlo riadattato a questo ruolo), che passa da una fede all’altra, si proclama vegana e di nascosto in cucina addenta avidamente una salsiccia; Fabio, il migliore amico gay di Elena, che la ama pur restando fedele alle sue scelte sessuali ma senza riuscire a portare avanti una propria vita sentimentale; Elena stessa, così determinata ma forse troppo concentrata sul lavoro (la figlia la rimprovera di lasciarla troppo dalla nonna) e Antonio, così irrimediabilmente infedele nonostante l’amore sincero che prova per sua moglie e così arreso allo stereotipo “tutto muscoli, niente cervello” che altri (ma non Elena) hanno individuato per lui.
Il film ci lascia volutamente senza un vero e proprio finale (seppur con un meraviglioso flashback di cui, quando tutto sembra volgere al peggio, sentiamo il bisogno), perché la vera morale della storia è “Allacciate le cinture, turbolenze in arrivo”! La vita riserva così tante inaspettate sorprese, qualcuna positiva, altre meno, che è impossibile prevederla ma è necessario farsi trovare pronti. E non è detto che anche dalle esperienze più difficili che la vita ci propone non possa nascere qualcosa di buono o non si possa ritrovare qualcosa di perduto.