Us Open 2015: lo Slam della leggenda (italiana)4 min read

13 Settembre 2015 Uncategorized -

Us Open 2015: lo Slam della leggenda (italiana)4 min read

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us open 2015
@UsOpenTennisChampionship

Doveva essere lo Slam della leggenda per Serena Williams, è stato lo Slam della leggenda per il tennis italiano. Gli americani volevano una storia da poter raccontare e malgrado loro ce l’avranno comunque: racconteranno di due amiche, due ragazze pugliesi cresciute insieme, messe una di fronte all’altra per la prima volta quando di anni ne avevano 10 o poco più, di nuovo avversarie con il titolo dell’Us Open 2015 in palio.

Racconteranno di Roberta Vinci, del suo tennis d’altri tempi che evidentemente può ancora essere vincente, in barba alle corazziere odierne incapaci di trovare alternativa al gioco bruto e barbaro. E racconteranno di Flavia Pennetta, colei che ha aperto la strada al grande tennis italiano, che vince e regala il colpo di scena finale annunciando un ritiro che spiazza soltanto chi ha memoria corta: era il 2012 quando in una trasmissione tv confessò che avrebbe lasciato il tennis nel giro di un paio d’anni.

https://youtu.be/3gM1xbkaoO4?t=20s

Noi invece racconteremo dell’abbraccio a fine partita, intenso, sincero, bellissimo, e della loro attesa per la premiazione, sedute una accanto all’altra a ridere e scherzare come se avessero appena vinto il doppio insieme. Ecco perché entrambe meritano una celebrazione infinita, Roberta in primis perché ha dimostrato una dignità senza pari accettando la sconfitta con un sorriso sincero, così come aveva accolto la vittoria contro Serena Williams in quella che è stata una delle più grandi sorprese mai viste nello sport professionistico.

Con la sua carica positiva la tarantina ha saputo conquistare il pubblico americano nonostante lo sgarbo fatto alla loro beniamina, e se lo meritava dopo aver passato un anno fatto di delusioni e pugni allo stomaco: la rottura con Errani nel doppio, la sconfitta in Fed Cup contro la Francia, la mancata convocazione per il play-off con gli Stati Uniti giocato nella sua Puglia. Il tutto accompagnato da risultati non positivi e dalla sensazione che il meglio fosse ormai alle spalle: per tutti questi motivi siamo felici per Roby (e per il suo allenatore Francesco Cinà), come lei lo è in modo sincero e splendido per l’amica Flavia.

Flavia che è stata perfetta nel chiudere il cerchio da lei stessa aperto: è stata lei la prima italiana ad entrare in top 10, nel settembre 2009, dopo aver vissuto un’estate favolosa con la vittorie a Palermo e Los Angeles, la semifinale a Cincinnati e i quarti a New York. È stata lei ad aprire la strada alle altre ragazze azzurre: il suo risultato ha dato il via alla generazione d’oro del tennis femminile italiano, ha fatto capire che in questo tennis femminile, sempre più incerto ed equilibrato, c’era spazio anche per loro: e così sono arrivati i successi di Francesca Schiavone, di Sara Errani e della stessa Roberta Vinci. Mancava qualcosa per completare il mosaico e Flavia ha messo il tassello mancante, il più importante, nello Slam che ama più di tutti (prima di quest’anno vantava già quattro quarti di finale e una semifinale) e che nel 2012 dovette saltare per un infortunio al polso che aveva fatto nascere dei dubbi sulla sua volontà di continuare a giocare. Invece è andata avanti e al tentativo numero 49 ha fatto centro: nessuna aveva dovuto attendere così tanto per vincere il primo Slam.

Della finale in sé, la più “vecchia” dell’era Open (record strappato a Wade-Stove di Wimbledon ’77), non c’è molto da dire: non è stata una partita indimenticabile, non a livello tecnico e questo era preventivabile, troppo importante la posta in gioco, troppe emozioni sull’Arthur Ashe per poter chiedere a queste due ragazze di offrire uno spettacolo degno delle due semifinali, ma non era questo ciò che contava. Molto più bello parlare della premiazione, che ci ha commosso, ci ha reso orgogliosi e ci ha shockato con l’annuncio di addio di Flavia, proprio adesso che torna nella top 10 (sarà numero 8, best ranking).

Sono vecchia per il tennis, ma non per la vita

Aveva detto qualche settimana fa Flavia. Dopo averla vista giocare così a Flushing Meadows ci sarebbero molte obiezioni da fare, ma per l’appunto c’è una vita che la aspetta e magari la volontà di avere una famiglia tutta sua. Potremo godercela ancora per un paio di mesi, fino al Master di Singapore, poi sarà finita per davvero e resterà per sempre vivo il ricordo di una serata più azzurra che mai, ennesimo regalo di una generazione di fenomeni.

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Classe 1991, nato a Palermo e cresciuto a pane (e panelle), Milan e fumetti Disney. Folgorato da Federer durante Wimbledon 2003, ho iniziato ad interessarmi anche al tennis, praticandolo da autodidatta e con pessimi risultati. Divoratore di pizza, appassionato e ossessionato da ogni tipo di statistica, studio Comunicazione ma odio comunicare.
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