Splendido visto da qui di Walter Fontana3 min read

Splendido visto da qui, edito da Giunti, è l’ultimo romanzo dello scrittore milanese Walter Fontana.

Qualche osservazione sparsa.

1) Fontana è conosciuto soprattutto come autore televisivo in forze alla Gialappa’s Band, e come occasionale voce fuori campo di Mai dire gol: alzi la mano chi non si ricorda le schede introduttive di Carcarlo Pravettoni. Meno nota la sua attività come sceneggiatore cinematografico – tra gli altri, il sottovalutato Mi fido di te, con Ale e Franz – e autore teatrale, specie per Angela Finocchiaro. Come romanziere è alla sua quarta prova.

2) Splendido visto da qui è un mix di Orwell, Tempo fuor di sesto di Philip K. Dick e storia italiana recente. In un futuro imprecisato, in seguito all’avvento di un misterioso regime, l’intera popolazione del Paese – non viene precisato quale, ma non è difficile riconoscerlo – vive all’interno di un’immensa megastruttura circolare divisa in cinque Zone, chiamate Sessanta, Settanta, Ottanta, Novanta e Zero. Dentro ogni Zona, come in un enorme parco a tema, viene ricreato ciclicamente il relativo decennio: ogni dieci anni si resetta il calendario e si ricomincia da capo. La gente, incastrata in questo loop infinito, non conosce né prospettive né paura del domani. Il protagonista, Leo, è uno spazzino: lavora per il governo, cerca nella spazzatura tracce di sconfinamento da una Zona all’altra, sembra soddisfatto della sua vita. Ma un giorno succede qualcosa che spezza la sua routine, e qui mi fermo.

3) Fontana è in primis un umorista; quindi i suoi romanzi – anche quando sono percorsi da una sottile ansia esistenziale, cioè sempre – fanno ridere. Tuttavia, a fronte di una critica che ancor oggi si chiede se Achille Campanile sia stato un grande autore umoristico o un grande autore tout court, come se ci fosse una contraddizione, corre l’obbligo di precisare che Splendido visto da qui fa ridere ma è un romanzo serio. È serio nei temi – la paura del futuro come stadio infantile, per gli individui e per le masse – ed è serio in quello che gli anglosassoni chiamano world building: impressionante il livello di dettaglio delle ricostruzioni storiche, maniacale la cura delle regole che governano l’universo dove si svolge l’azione.

4) Stilisticamente, Fontana è Jackie Chan. Avete mai visto un film con Jackie Chan? Se Jackie Chan deve voltare l’angolo non si limita a voltare l’angolo: compie una doppia piroetta cambiando piede perno al volo, e lo fa sembrare perfettamente naturale. Allo stesso modo, nel romanzo di Fontana non ci sono situazioni o passaggi buttati lì per riempire un vuoto o fare da semplice raccordo tra due segmenti di trama: tutto è pensato per essere potenzialmente memorabile. Il senzatetto sdraiato sui cartoni nel vicolo dove i protagonisti sono capitati per caso e non torneranno mai più non è un pezzo di scenografia, è comunque un personaggio. Anche se ha una sola battuta.

5) Il lettore sospettoso avrà buoni motivi per chiedersi se l’assonanza tra Leo e il Neo di Matrix sia casuale. Il fan di vecchia data si domanderà se il nevrotico funzionario di regime Wang Porticino, uno dei comprimari più comici e al contempo inquietanti, sia ispirato al dottor Frattale, il personaggio interpretato da Fontana in una vecchia edizione di Mai dire Gol.

Io, dovendo scegliere, vorrei vivere a Novanta. So che detto così suona male.