Nidi e scuole dell’infanzia: per ripartire davvero dobbiamo superare i vecchi problemi12 min read

23 Settembre 2020 Welfare -

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Educatore

Nidi e scuole dell’infanzia: per ripartire davvero dobbiamo superare i vecchi problemi12 min read

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Mission Bambini è una fondazione che aiuta i bambini in tutto il mondo. In Italia realizza progetti e servizi in ambito educativo soprattutto per la prima infanzia. A partire dal 29 settembre, Mission Bambini trasmetterà 4 eventi live sulla propria pagina Facebook su: Scuola, Infanzia, Educazione, Famiglie. Il progetto si chiama Le nuove sfide educative ed è realizzato in collaborazione con Le Nius. Qui il programma completo.

servizi infanzia

Prima che la pandemia complicasse le cose, nei nidi italiani c’era posto per 1 bambino su 4, con forti differenze tra nord e sud e tra città e periferie. Anche la scuola dell’infanzia aveva le sue criticità: nel mezzogiorno, ad esempio, molti bambini la frequentavano a tempo parziale, o venivano inseriti precocemente per mancanza di posti al nido.

In un contesto di partenza in cui già si faticava a garantire a tutti l’accesso ai servizi, in particolare al nido, quali conseguenze ha portato e porterà la pandemia sulle famiglie e sui bambini? Come stanno gestendo la ripartenza i servizi educativi?

Ne parliamo con Aldo Garbarini, presidente del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, ente che insieme ad altri 99 soggetti aderisce al Gruppo CRC (Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza), un network che si occupa della promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, coordinato da Save the Children Italia.

Il nido è importante, ma molti bambini ne sono esclusi

Già prima della pandemia l’accesso al nido non era per tutti. Secondo un rapporto Istat pubblicato a giugno 2020 (pdf), nell’anno scolastico 2017/18 erano attivi circa 13 mila servizi educativi per la prima infanzia, per una capacità di 354.641 posti. Numeri che rispondono al bisogno del 24,7% dei bambini da 0 a 3 anni, meno di 1 su 4, con forti disuguaglianze tra le diverse aree geografiche.

Si va da percentuali intorno al 30% al centro e al nord, fino a poco più del 12% e del 13% al sud e nelle isole (ad eccezione della Sardegna), con picchi positivi del 47,1% in Valle d’Aosta, seguita dalla Provincia Autonoma di Trento, l’Emilia Romagna, la Toscana e l’Umbria e negativi dell’8,6% in Campania, seguita da Sicilia e Calabria, entrambe al di sotto del 10%.

Vi sono differenze territoriali anche tra i comuni capoluogo di provincia e quelli dell’hinterland. I primi hanno nel complesso una dotazione di posti mediamente maggiore (32,8%) rispetto all’insieme dei comuni dell’hinterland (21,4%). Fanno eccezione a questa regola soltanto Sicilia e Molise, mentre i divari più ampi tra le due tipologie di comuni si trovano nel Lazio, nella Provincia di Bolzano e in Basilicata.

In generale, la copertura italiana per i servizi educativi per la prima infanzia è ancora al di sotto del traguardo 33% che l’Unione Europea aveva fissato nel lontano 2002 con il Consiglio europeo di Barcellona, obiettivo da raggiungere entro il 2010. A dieci anni di distanza, le uniche regioni italiane ad aver raggiunto e superato l’obiettivo sono la Valle d’Aosta, la Provincia Autonoma di Trento, l’Emilia Romagna, la Toscana e l’Umbria.

Anche a livello europeo la situazione è diseguale. Secondo il Rapporto di monitoraggio del Piano di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (pdf), al 31 dicembre 2016 solo dieci paesi hanno raggiunto l’obiettivo del 33%. Gli stati virtuosi sono la Danimarca, che supera il 70% di copertura, e Svezia e Norvegia che si avvicinano al 60%. Agli ultimi posti troviamo Repubblica Ceca, Polonia e Romania, ampiamente al di sotto del 10%.

Nonostante negli ultimi tre anni la quantità di risorse economiche immesse dallo Stato sia aumentata, secondo un rapporto del Gruppo CRC (pdf) il permanere di forti differenze territoriali è il riflesso di una governance frammentata e scoordinata degli interventi a favore dell’infanzia e dell’adolescenza. Il rapporto evidenzia l’aumento nell’ultimo decennio dei divari territoriali.

I bambini, a seconda della regione e del territorio in cui nascono e crescono, sperimentano destini divergenti, divari enormi, senza eguali in nessun altro paese europeo, di opportunità e diritti.

La condizione economica delle famiglie è uno dei fattori che influenza la possibilità di accesso al nido, si legge nel rapporto Istat, “poiché il costo dei servizi non è esiguo e può essere non sostenibile per le famiglie a basso reddito e a rischio di povertà”. Paradossalmente, dunque, sono proprio i bambini che ne avrebbero più bisogno a rimanere esclusi dal nido.

In questo ambito, i “bonus nido” statali introdotti con la legge n.232/2016 ed erogati a partire dal 2017 hanno contribuito all’aumento della domanda e dell’utilizzo dei servizi, ma resta una forte criticità legata al fatto che la possibilità di usufruire di questi contributi è condizionata alla disponibilità di servizi. In altre parole, nelle aree in cui le strutture sono carenti (ad esempio i comuni alla periferia delle aree metropolitane) le famiglie sono di fatto escluse dalla possibilità di fruire dei contributi, perché non hanno un nido in cui spenderli.

L’impatto della pandemia e la ripartenza per il segmento 0-3 anni

La pandemia, conferma Aldo Garbarini, ha dato maggiore evidenza ad alcune criticità di sistema che erano già presenti nei servizi educativi per la prima infanzia, innanzitutto in termini di normativa: “In molte regioni non era stata avviata una revisione nella declaratoria dei servizi, e questo fa sì che rimangano aperte tipologie di offerta in cui la qualità, quanto mai necessaria oggi nella ripartenza, non è pienamente assicurata. Così come la ritardata organizzazione dei coordinamenti pedagogici territoriali sta determinando una generalizzata difficoltà nell’intreccio tra servizi pubblici e privati e all’interno degli stessi enti gestori”.

Come abbiamo più volte ricordato nei nostri articoli, la pandemia ha acuito quelle situazioni di povertà e difficoltà educativa già presenti prima del lockdown. Difficoltà, dice Garbarini, “che certo la grandissima disponibilità e professionalità delle educatrici e degli educatori, anche attraverso i legami educativi a distanza attivati, non può avere recuperato, specie laddove queste difficoltà si sono materializzate anche nell’impossibilità di accedere ai servizi a distanza. Tutto questo mi porta a dire che la prima necessità rimanda alla riproposizione di una offerta adeguata per quantità e qualità nei confronti dei bambini, delle bambine e delle loro famiglie che non abbandoni nessuno nel reinserimento per chi già c’era e per le nuove accoglienze.”

Il rischio da evitare, secondo Garbarini, è che a causa delle contingenze “le famiglie abbandonino i servizi per soluzioni più immediate o auto-organizzate alla buona, venendo così a perdere un rapporto con processi educativi e di socializzazione di più ampia portata. In questo senso, le linee per la riapertura sono arrivate troppo tardi, creando grande confusione sia negli enti gestori che nelle famiglie, alcune delle quali hanno appunto abbandonato i servizi e probabilmente non vi rientreranno a breve.”

live mission bambini
Il programma dei live di Mission Bambini

L’impatto della pandemia e la ripartenza per il segmento 3-6 anni

Per quanto riguarda i bambini dai 3 ai 6 anni i livelli di scolarizzazione superano il 90%, ma rimane la tendenza nei nuclei familiari svantaggiati a utilizzare meno i servizi educativi.

“Sono scelte” si legge nel rapporto Istat “sulle quali continuano a pesare le caratteristiche della famiglia di origine e che portano a un ampliamento delle differenze sociali. Il titolo di studio dei genitori continua ad avere un effetto significativo sulle scelte familiari e la provenienza da famiglie a rischio di povertà o esclusione sociale riduce la partecipazione scolastica dei bambini”.

Anche nella scuola dell’infanzia l’anno educativo sta iniziando con difficoltà, seppure in modo diverso rispetto al nido. Aldo Garbarini ci ricorda innanzitutto che il calo demografico italiano aveva già determinato una riduzione degli iscritti. Dai primi dati sulla ripartenza in possesso del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, però, non sembrano esserci defezioni aggiuntive.

Il primo problema, per le scuole dell’infanzia, sembra essere l’assenza di tutto l’organico previsto: “In attesa delle coperture definitive delle cattedre o comunque della chiamata dei supplenti, molte scuole non hanno ancora ripreso appieno l’attività, proponendo al momento una diminuzione dell’orario o giornaliero o settimanale. Anche in questo caso, il fatto che della scuola si sia iniziato a parlare con ritardo ha certamente influito sulla riorganizzazione del servizio.

“Vorrei ancora ricordare che già esistevano condizioni critiche ancor prima della pandemia: nel Meridione, come sappiamo, un numero particolarmente alto di bambini fruiva della scuola dell’infanzia solo a tempo parziale in sezioni antimeridiane o per non più di 25 ore settimanali. Così come l’inserimento anticipato di bambini di due anni e poco più nella scuola dell’infanzia, che è residuale nel Centro-Nord ma costituisce più di un terzo dell’offerta nel Sud e nelle Isole”.

Quello delle iscrizioni precoci è un fenomeno preoccupante, di cui si trova conferma nel rapporto Istat. Nelle zone in cui c’è scarsità di asili nido e altri servizi specifici, i bambini di 2 anni che dovrebbero frequentare il nido vengono iscritti precocemente alla scuola dell’infanzia, che però offre forme educative non appropriate alla loro fascia di età. Questa dinamica si riflette, e si ripete, nella scuola dell’infanzia.

Quei bambini che, per ragioni socio-economiche e non legate alla reale propensione per l’apprendimento precoce, erano stati iscritti precocemente alla scuola dell’infanzia, vengono di conseguenza iscritti precocemente alla primaria, con ripercussioni negative su tutto il percorso scolastico futuro. Conclude Garbarini:

Dobbiamo uscire dalla crisi pandemica non con l’obiettivo di tornare a come si era prima, perché già prima alcune cose non funzionavano: dobbiamo invece andare oltre il prima per garantire un servizio di qualità, esigibile da tutti nello stesso modo e generalizzato nella sua accessibilità.

Come si stanno organizzando le strutture pubbliche e private

La ripartenza della scuola, secondo Garbarini, è confusa e segnata dai ritardi, nonostante tutti stiano cercando di dare il meglio: “Intanto dobbiamo prendere atto che ogni regione, nell’ambito della fascia 0-3, ha adottato proprie linee di indirizzo se non addirittura più d’una nel corso del tempo. Così, se guardiamo i territori, le famose ‘bolle’ sono intese in modo differente, in alcuni casi coincidendo con la stessa sezione; i rapporti tra bambini, bambine ed educatrici ed educatori nelle bolle variano da regione a regione; la necessità del tracciamento determina forme diverse di ambientamento, di attivazione del pre e post scuola; le modalità di gestione degli eventuali casi di contagio non sono ancora così chiare in molte situazioni.”

La situazione è difficile, ma ha prevalso l’importanza di ripartire, che è ciò di cui bambini e bambine hanno più bisogno. E non solo i bambini: ripartire, spiega Garbarini, risponde anche “ai bisogni di conciliazione delle famiglie con il lavoro, alla stessa dimensione economica del servizio, che non dobbiamo mai dimenticare essere fondamentalmente caratterizzata dall’occupazione femminile, da donne dunque che hanno vissuto il covid sotto plurimi aspetti”.

Le differenze territoriali, naturalmente, si sono riproposte anche in questa fase: “in quelle regioni in cui il contesto operativo e di sistema è più integrato e orientato, si è partiti meglio: ci sono alcune situazioni virtuose (poche, purtroppo) in cui il sistema tende ad essere effettivamente coerente con le indicazioni nazionali e questo sta producendo meno affanni sia per chi gestisce e lavora nei servizi, ma anche per le stesse famiglie, che hanno più chiarezza e sicurezza sulle forme e modalità del servizio. Specie laddove le famiglie, a partire dai patti di corresponsabilità, sono state accreditate di un ruolo attivo e propositivo nella ricostruzione delle condizioni di avvio e di prosecuzione nella gestione”.

Vi è poi da fare una distinzione tra i servizi a gestione pubblica e quelli a gestione privata: “Nei servizi privati la diminuzione nelle frequenze o comunque l’adeguamento alle linee di riavvio del sistema sta creando serie difficoltà. Mi sembra di poter dire che il gestore privato, al di là delle questioni legate alle procedure di sicurezza e assestamenti progettuali, si stia confrontando con una riorganizzazione che permetta al servizio di rimanere sostenibile, cercando gli equilibri possibili tra il mantenimento dei posti di lavoro, il non aumentare troppo le rette alle famiglie, il rispettare le procedure di tracciabilità. Ma non posso sottacere che anche nel gestore pubblico stanno avvenendo processi di riduzione dei servizi, che richiederebbero di riaprire una seria discussione sull’assetto complessivo del settore, per evitare di andare incontro ad un processo di riassestamento i cui esiti finali potrebbero non essere così scontati”.

Ne parleremo il 6 ottobre alle 18 sulla pagina Facebook di Mission Bambini

Cosa si sta facendo per la fascia 0-6 e cosa andrebbe fatto

“Nell’ultimo monitoraggio sulla situazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” spiega Garbarini “nel nostro paese il Comitato Onu ha individuato tre elementi del sistema che continuano a non garantire un accesso universale al diritto all’educazione dei bambini: la scarsa presenza di servizi educativi nel Meridione, l’assenza di una governance nazionale del sistema educativo per l’infanzia e l’assenza di standard omogenei di qualità per l’accoglienza dei bambini, in particolare quelli con disabilità. Credo che questi obiettivi rimangano fondamentali anche dopo la pandemia”.

“Mi aspetto, ad esempio, che nell’ambito del Recovery Fund vi sia una particolare attenzione anche allo 0-6 e che, al di là del proclamato obiettivo della commissione Colao per un 60% di copertura dei servizi 0-3, ci si attivi per superare quelle arretratezze che prima richiamavo. Così come mi auguro che il processo avviato con il recente Family Act, e l’obiettivo dell’assegno universale per i figli e le figlie, sia improntato al riconoscimento dei servizi educativi per l’infanzia come prioritario diritto dei bambini e delle bambine a processi di educazione e di relazione di qualità.”

Per concludere, sostiene Garbarini, sono necessari anche atti gestionali concreti come l’istituzione di una direzione 0-6 presso il Ministero dell’Istruzione, “perché solo una struttura amministrativa dedicata può produrre certezze di riferimento e di operatività all’interno di un apparato per sua natura ampio e composito. Abbiamo da tempo chiesto che sia costituita l’anagrafe prevista dalla normativa, perché ci aiuterebbe anche nella dura battaglia contro la povertà educativa e le diverse forme di fragilità. E almeno la costituzione in ogni territorio nazionale dei coordinamenti pedagogici territoriali, come forma reale e concreta di confronto integrato tra tutti i soggetti interessati e coinvolti dai processi educativi. Credo che almeno questi sforzi ai bambini e alle bambine siano dovuti.”

Per approfondire, non perdere i Facebook live di Mission Bambini: il 6 ottobre si parlerà proprio di servizi per l’infanzia

servizi infanzia ripartenza

In seguito alla condizione di lockdown, e proprio per prevenire e contrastare un suo impatto nefasto sulle disuguaglianze, Mission Bambini ha avviato numerosi progetti di supporto educativo e materiale a bambini, famiglie e scuole.

Ha distribuito tablet e altri dispositivi per la didattica a distanza a 633 alunni vulnerabili, con un’attività di accompagnamento educativo e didattico, svolta a distanza dagli educatori.

Ha distribuito 10 mila prodotti di prima necessità per l’infanzia a 800 bambini dagli 0 ai 6 anni, per supportare le famiglie più povere durante la fase di emergenza e dopo.

Ha attivato bambinipatapum.it, un portale di attività educative e ludiche a distanza pensate da educatori e specialisti per famiglie costrette in casa con bambini piccoli.

A settembre, inoltre, sta lanciando una serie di iniziative collegate al rientro a scuola, riunite sotto il cappello di Ridisegniamo la scuola.

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Educatore professionale e formatore, ha lavorato in diversi ambiti del terzo settore. Nel suo lavoro mescola linguaggi e strumenti per creare occasioni di crescita personale attraverso esperienze condivise. Per Le Nius scrive di temi sociali e non profit.
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