Non essere cattivo: corpi schiacciati che traboccano di vita4 min read

28 Ottobre 2015 Cultura -

Non essere cattivo: corpi schiacciati che traboccano di vita4 min read

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Non essere cattivo, il film di Claudio Caligari, regista già di Amore Tossico

Non essere cattivo è uscito nelle sale italiane i primi di settembre dopo la presentazione fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, quando Claudio Caligari, regista (e autore del film cult Amore tossico), era già scomparso per una grave malattia. Il film ripercorre la storia di Cesare e Vittorio (rispettivamente Luca Marinelli e il quasi esordiente Alessandro Borghi) amici e fratelli nella Ostia degli anni Novanta. La droga è cambiata, si va verso il nuovo millennio e i due protagonisti spacciano, rubano, truffano e provano insieme il brivido delle droghe sintetiche, le pasticche.  Si fanno i cosiddetti “viaggi” chimici senza mai spostarsi da Ostia. Insieme si consumano, fino al momento in cui Vittorio conosce una ragazza e “si fa salvare”. Comincia a lavorare, esce dal giro. Cesare è dipendente, ha una madre e una nipote orfana della sorella, spazzata via dell’AIDS. Una nipote che stringe l’orsacchiotto con il bavaglino con la scritta “non essere cattivo” (qui sta la chiave interpretativa più semplice e immediata del film). Cesare cercherà di uscire dal giro, per ricaderci subito dopo: neanche l’amore, o qualcosa che ci assomiglia, basterà per salvarlo.

Il film è stato scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar nella selezione per il miglior film in lingua straniera. Non essere cattivo è un soggetto che cresce, parla, comunica. Un film sensoriale a fasi alterne: all’inizio l’ossessione è data dalla musica elettronica,che si mischia alla vista spasmodica della strada, nella macchina dove Vittorio e Cesare prendono velocità per provare un nuovo sballo. Passa sulla bocca dello stomaco come lampi che percorrono il corpo, ma non è solo musica. L’adrenalina è visibile, si accumula e distrugge, è un cavallo pazzo che fa paura. Ed è una continua regolazione di conti, soprattutto per Cesare (Luca Marinelli), che non riesce a domare la bestia dentro di sé.

Gli occhi fanno tutto il resto: ci sono gli occhi della madre di Cesare, stanchi, tristi, disperati e spenti, o quelli della nipotina, bambini e spezzati come la sua breve vita a causa dell’AIDS, molto presente in quegli anni tra i tossici e i loro amori puri, forti e consumati. Gli occhi sono soprattutto amore, e vanno al di là del tatto, della vicinanza dei corpi, sono il laser che attraversa l’anima. Vittorio sembra più forte, Cesare è ferito, debole, frastagliato. Si attacca all’amore, prima dell’amico, poi della sua fidanzata. La casa dove è nato è il dolore che non dice, che non fa uscire, perché in realtà è un dolore suo che non riesce a disegnare. Lascia pezzi di sé sparsi negli altri, come una costellazione che solo chi è capace la vede intera. Vittorio gli vuole bene, gli fa quasi male quel suo amore, come se lasciare che Cesare vada via sia perdere una parte di sé, nonostante una vita ritrovata con la compagna e una qualche forma di felicità.

Non essere cattivo, la storia di Cesare e Vittorio, anime gemelle con due epiloghi diversi

Un film amaro che trabocca di vita, una pellicola che è presente, timido futuro, passato calpestato, che è meglio se rimane a cuccia, sotto i piedi, spesso dettaglio di inquadrature in piano sequenza. I corpi tossici, martoriati, sono il segno dell’esserci, che fa male, che abbandona il mondo, le volte in cui il mondo è troppo pesante, e che torna quando le promesse si incarnano e diventano Linda, per Vittorio, che si salva perché con lei vede il mare, non solo oscurità. Lo stesso mare che per Cesare è il sogno di uno yacht dopo uno sballo, la fuga dal suo fardello, il mare a cui smette di pensare perché tanto è nel marciume che deve rimanere. Come gli dice uno dei suoi compagni di merenda, rapine e droga, quei compagni che la vita ti mette vicino per dirti quanto fai schifo e tu stai allerta, gli rendi grazie e non urli più per salvarti da loro e da te stesso. Non essere cattivo sta sullo schermo, tocca lo spettatore, che soffre, ama, è disgustato, impaurito, frastornato, dispiaciuto, sbigottito, arreso o rassegnato, liberato e salvato.

Sì perché anche alla fine, quando Vittorio va a incontrare la strada di casa di Cesare e vede Viviana insieme a un bambino, e ricorda di aver perso qualcosa, e lo ritrova negli occhi di un figlio, anche lì lo spettatore può sentire di essersi salvato o di esser rimasto indietro. Se mi dovessero chiedere adesso, di che parla questo film, direi che è un corpo, che respira, in parte esiste e vede il sole, in parte marcisce e infine muore.

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Animo mal mescolato tra toni scuri e una buona dose di arancione. Leone ascendente scorpione: selettiva e piena d’amore. Mi piace la gente quanto il cinema, per questo a volte li preferisco a targhe alternate. Non so che significa ma ho sempre amato il dispotismo illuminato.
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