Ma che problema c’è a pubblicare immagini di Maometto?6 min read

15 Gennaio 2015 Comunicazione Società -

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Sociologo

Ma che problema c’è a pubblicare immagini di Maometto?6 min read

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ma che problema c'è a pubblicare immagini di maomettoIeri Charlie Hebdo è tornato nelle edicole, andando esaurito in poche ore nonostante la tiratura record di tre milioni di copie. Lo ha fatto sbattendo di nuovo in prima pagina un disegno di Maometto.

Sembra che alcuni portavoce delle comunità musulmane abbiano protestato contro quella che ritengono una nuova mancanza di rispetto. Non so quanto siano posizioni rappresentative, e quanto invece siano strumentalizzate dai media per costruire notizie. Non è questo il punto.

L’oggetto di questo articolo è il confine tra libertà di espressione e vilipendio, ponendo ad un estremo un ipotetico divieto di realizzare e pubblicare raffigurazioni di Maometto e dall’altra l’estrema possibilità di farlo per qualsiasi scopo.

Mi sono chiesto: è una posizione legittima quella di chi chiede di proibire le rappresentazioni di Maometto? Probabilmente sì, da un certo punto di vista, che è quello di una cultura religiosa che fa dell’immagine del suo profeta un tabù da secoli, almeno tanto quanto la tradizione cristiana fa dell’immagine di Cristo qualcosa di ricercato, persino ridondante.

Dall’altra parte è anche ovvio che un simile divieto sarebbe una decisione tremenda, almeno secondo l’idea di libertà occidentale, perché legittimerebbe chiunque si senta offeso da qualcosa a chiedere che ne venga proibita la pubblicazione.

Questo argomento dovrebbe chiudere qualsiasi discussione? Come ci comportiamo quando entrano in gioco strumentalizzazioni, sciacallaggi, distorsioni delle informazioni?

Qual è dunque il confine tra libertà di espressione e vilipendio? E, posto che si riesca a stabilire un confine, bisognerebbe censurare ciò che lo supera?

È una discussione eterna, eppure sempre fresca. E non c’è risposta al di fuori dell’intenzione.

Provo a districarmi paragonando il caso delle vignette di Charlie Hebdo con quello noto come “la maglietta di Calderoli”, quando l’esponente della Lega Nord e allora Ministro per le Riforme (era il 2006) mostrò in tv una maglietta che riproduceva le note vignette del giornale danese che pubblicò una caricatura di Maometto.

A quanto ne sappiamo (non ho conoscenza diretta di nessun componente della redazione) l’intenzione dei disegnatori di Charlie Hebdo non era offendere i credenti musulmani, ma dissacrare i simboli religiosi e ideologici per proporre una riflessione, in fin dei conti, sulla società umana.

Ciò che ci turba e scandalizza è spesso un ottimo spunto di riflessione. È un esercizio molto intellettuale, ma le sue intenzioni sono, alla lettera, inoffensive (le intenzioni, non certo le conseguenze, come spiegheremo più avanti).

Maggiori dubbi possono essere sollevati sulle intenzioni di Calderoli, che invece si possono ipotizzare più vicine all’offesa, appunto, intenzionale, che non a un’intenzionalità artistica volta a smontare simboli, ideologie e pregiudizi.

Mi rendo conto che prendere come riferimento le intenzioni è un appiglio piuttosto debole per trattare questioni così delicate, eppure probabilmente è l’unico che abbiamo. Ed ha anche un aggancio sociologico non da poco.

Max Weber, probabilmente il più grande sociologo mai esistito, poneva (non a caso) l’intenzione alla base della sua teoria dell’azione sociale. Secondo Weber esistono quattro tipologie di azione, ma qui ce ne interessano due: l’azione orientata allo scopo e l’azione orientata al valore.

Semplificando, nel primo caso si agisce per raggiungere degli obiettivi funzionali, di interesse; nel secondo caso invece si agisce per perseguire dei principi, senza curarsi delle conseguenze.

Si tratta di idealtipi, ossia di tipi di azione che non troveremo mai puri al mondo: nessuno agisce puramente per interesse e privo di qualsiasi valore così come nessuno agisce solo ed esclusivamente in base ad ideali.

Traducendo questa frettolosa esposizione sociologica nel nostro caso, possiamo ipotizzare che i disegnatori di Charlie Hebdo abbiano agito prevalentemente orientandosi al valore. Non curandosi delle conseguenze (secondo la linea “se ti offendi è un problema tuo”) hanno portato avanti la loro idea.

Certo, è assai probabile che una componente di orientamento allo scopo ci fosse: disegnare certe vignette può anche servire allo scopo di vendere più copie della rivista ma, considerato anche i rischi che sapevano di correre, la componente di valore non può che essere predominante.

È più probabile invece che l’azione di Calderoli fosse prevalentemente orientata allo scopo, in questo caso la ricerca del consenso elettorale. La possibile offesa ad alcuni soggetti diventa qui una conseguenza calcolata, voluta, sperata per raggiungere i propri scopi funzionali. Certo, nessuno esclude che ci fosse anche una componente di valore, ma probabilmente era minoritaria.

In questo caso la strumentalizzazione potrebbe essere considerata quasi come il contrario della libertà, anche se non ne sono affatto sicuro.

L’intenzione del soggetto introduce quindi certamente un criterio di valutazione, valido tuttavia solo dal punto di vista strettamente sociologico, e non sociale.

Mi spiego: sociologicamente molte azioni jihadiste potrebbero essere molto simili nelle intenzioni a quelle di Charlie Hebdo, perché prevalentemente orientate al valore.

Dal punto di vista sociale invece ciò che si può dire è sempre collegato al contesto sociale, culturale ed economico in cui ci si trova. Un dibattito puro sulla libertà di espressione è dunque molto limitante.

Questo periodo storico, caratterizzato da una serie di processi che per semplicità facciamo rientrare sotto l’etichetta di globalizzazione, è particolarmente delicato perché non è più chiaro quale sia il contesto di riferimento quando dobbiamo stabilire un confine alla libertà di espressione. La Francia? Ma cosa significa Francia oggi? E così discorrendo.

È vero anche che spesso tendiamo ad esagerare quello che succede nel periodo in cui viviamo. Non c’era certo bisogno della globalizzazione come la intendiamo oggi perché nascessero frizioni (chiamiamole così) tra cristiani e musulmani (naturalmente è una semplificazione storica, ci sono sempre motivi economici, eppure il ricordo che ho dalla scuola è questo, che i cristiani e i musulmani, chiamati però “mori” o “saraceni”, se le davano di santa ragione).

Posto quindi che solo l’intenzione può segnare un confine rimangono aperte due domande (mica da poco): come si giudica un’intenzione? Ce la spiega l’attore e noi ci fidiamo? Ci facciamo noi un’idea? Ci deve essere un’entità terza che la valuta e a cui, irrimediabilmente, dobbiamo affidarci?

E ancora: una volta accertata un’intenzione questo dovrebbe avere conseguenze? Tradotto: Charlie Hebdo può pubblicare Maometto e Calderoli no?

Qui naturalmente c’è tutto un altro dibattito, eterno. Personalmente tendo a dare molto valore alle valutazioni di chi legge, vede, ascolta. Alla libertà (ma anche alla responsabilità) di interpretazione e di lettura delle intenzioni che ciascuno di noi, per quanto possibile, può esercitare. Seguendo questa linea, sia Charlie Hebdo sia Calderoli possono pubblicare l’immagine di Maometto.

Certo, se allarghiamo il discorso dobbiamo essere pronti anche ad accettare una propaganda nazista qualsiasi, lasciando alla valutazione dei cittadini decidere se aderirvi o meno.

Per questo va curato il contesto sociale, culturale ed economico. Perché è dentro le strutture di potere, di classe e di status che si manifestano sia la libertà di espressione sia la capacità di decodificazione dei suoi prodotti.

Ossia: quel disegno di Maometto è un gesto di critica sociale o una pura azione anti Islam? La lettura dipende non certo solo da fattori religiosi, così come abbiamo capito che il fanatismo radicale si nutre più di povertà, alienazione e vita di periferia piuttosto che di principi religiosi.

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Sociologo, lavora come progettista e project manager per Sineglossa. Per Le Nius è responsabile editoriale, autore e formatore. Crede nell'amore e ha una vera passione per i treni. fabio@lenius.it
1 Commenti
  1. Stefano

    Mi è piaciuto molto questo articolo. Ha preso pienamente i temi e gli esempi, introducendomi la questione dell'intenzione che era rimasta fuori e che ho trovato interessante. Complimenti e buon lavoro.

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