La matita di Charlie Hebdo e il potere dei simboli5 min read

12 Gennaio 2015 Comunicazione -

La matita di Charlie Hebdo e il potere dei simboli5 min read

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la matita di charlie hebdo7-1-2015.

Un’altra data simbolo scritta col sangue, che segnerà l’epidermide della memoria collettiva come un tatuaggio in zona sensibile. La redazione del giornale satirico Charlie Hebdo a Parigi è inondata di rosso, e non si tratta di inchiostro simpatico.

In gergo si dice che un disegnatore è “una matita”. Sono matite quelle che brandiscono i parigini nelle strade, sono matite quelle che diventano virali sui social, e campeggiano sulle principali testate giornalistiche.

In questa vicenda, al di là degli eventi nudi e crudi, traspare il grande potere che i simboli esercitano sugli esseri umani. Il simbolo che ci riguarda più da vicino è quello con cui buona parte dei solidali con Charlie si sta identificando: la matita.

Com’è possibile che qualcosa di così desueto nell’era digitale possa ora indicarci come un cursore la strada per reagire?

Come un pezzo di legno che prende vita, la matita diviene miracolosamente essere parlante, simbolo della nostra voce, facendosi microfono della coralità di una grande performance collettiva. Ma può davvero essere un simbolo convincente?

L’oggetto matita sembra aver tutto fuorché il cuore di pietra che tecnicamente ha, dato che contiene una mina di grafite, cosa che favorisce l’auto-identificazione. La sua è una punta soft, che si pone su un piano più immateriale, il suo tratto ha una consistenza eterea, che sconfina nell’invisibilità apparente, anche se in realtà lascia in modo permanente una piccola incisione sul foglio.

La matita è leggera e poco ingombrante, sta appoggiata dietro l’orecchio dei creativi ed è uno strumento operativo del fare, del fare con le mani.

È una protesi, un prolungamento della mano, il cui uso ha prodotto negli ominidi che avevano iniziato a usarla il cervello dell’homo sapiens e via a seguire, fino a ciò che siamo oggi.

Il collegamento con la mano le conserva un carattere ancestrale, ma è un salto oltre la mera sussistenza, oltre la lancia per difendersi e cacciare.

La matita addita un mondo altro, che non c’è ancora, a utopie potenzialmente realizzabili. È un agente che fa essere ciò che ancora non è, il segno generato dalla matita è un atto riproduttivo tra la punta della matita e la superficie incisa.

È un attrezzo che serve a dare forma a un’idea, anche solo con uno schizzo, che può essere rivisto, cancellato, modificato. Infatti è spesso dotata di gommina sul retro, che è apertura mentale, è senso delle sfumature, è lasciare aperto lo spazio delle possibilità, il margine di errore, che è democrazia.

Per questi motivi la matita si può considerare uno strumento di un divenire, di un processo aperto delle idee, il contrario dell’oscurantismo. La matita è illuminista, una torcia nel buio che quando si spegne si tempera.

La matita è persino strumento di osservazione scientifica se disegnare è un modo per conoscere, per esplorare, per capire; si pensi ai disegni di Leonardo da Vinci.

In specifico per i francesi la matita, oltre che fiaccola illuminista e simbolo dei valori della rivoluzione francese, è anche romantica bandiera della Marianna di Francia di Delacroix, di una tradizione di satira laica tutta parigina che risale quantomeno a Voltaire.

Ma la matita non ha nazionalità, ce n’è una gran varietà, letteralmente ce n’è di tutti i colori e di tutte le mine, di tutti gli spessori, quindi si presta ad essere simbolo universale.

Inoltre, come ogni simbolo, la matita è semplice, ha una forma facilmente riconoscibile, ma conserva un che di ineffabile.

Questo mistero deriva in parte dalla sua ambivalenza: una matita ha una sua grinta dolce, umile, e ti fa pensare alla scatola di matite colorate che usavi da bambino, trasmette un senso di purezza e innocenza; forse per questo si presta a essere un’arma di pace.

La matita è come una candida colomba che all’occorrenza sa essere astuta come un serpente, incisiva in una maniera che neanche te ne accorgi, che può confondere l’avversario proprio nel momento in cui crede di aver vinto, perché la sua forza sta nella sua apparente fragilità.

In questo senso si potrebbe dire che una specie di “maledizione della matita” ha già colpito gli autori del massacro, perché col loro operato hanno già ottenuto l’effetto contrario a quello desiderato.

Non c’è modo migliore di eternare che creare martiri morti per una nobile causa come la libertà, per cui in finale i terroristi hanno fatto il gioco della matita, cioè si sono disegnati la fossa da soli, senza saperlo.

Ora perfino chi osteggiava il giornale in quanto troppo irridente e dissacrante non può che parteggiare per gli uccisi.

L’attuale matita simbolica rinverdisce l’antico detto “la penna ferisce più della spada” sostituendolo con il più contemporaneo: la matita ferisce più del kalashnikov, perché il suo potere va oltre il qui e ora, la rigidità del fatto contingente, eternandolo col simbolo. Per cui se concettualmente un’arma da fuoco può vincere la singola battaglia, la matita però vince l’intera guerra, grazie al suo potere di resurrezione.

Ma per capire fino in fondo la simbologia della matita bisogna uscire dalla logica perversa della guerra e tornare a guardare noi stessi per quello che siamo: materia organica, se non immortale con un grande potere di rigenerazione e di proliferazione, dato che siamo geneticamente portati a riprodurci. A ogni nato recidiamo il cordone ombelicale, perché possa esistere come individuo.

La matita è un ottimo simbolo di rigenerazione, perché è organica e ha un potere di proliferazione, perché quando si spezza basta temperarla, funziona come una specie di coda di lucertola. Per cui se, come si è visto, per estensione la matita è voce, è mano, è corpo, non c’è da stupirsi se ci sentiamo simili a delle matite animate senza troppo sforzo. Anche perché siamo motivati a sentirci come la matita a causa di ciò che vogliamo proiettarci dentro.

La matita ha in sé quel potere di rigenerazione che vogliamo trovare dentro di noi, l’anelito alla speranza a cui vogliamo ancora credere. La matita è il nostro istinto vitale che ci trascende elevandosi a gran voce contro tutto ciò che offende la vita.

La nostra matita interiore è una matita parlante che dice “mi spezzo ma non mi piego”, perché là fuori ci sono ancora troppi disegni da fare, parole da scrivere, lacrime e sangue e vita a cui dare un senso, anche ridendoci su.

Immagine | Chiara Vitali

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Nata milanese, naturalizzata scozzese, morta veneziana, risorta in riva al Piave. Con alle spalle 12 traslochi e 2 lauree (lingue e arti visive), l'ex poetessa della classe non ha ancora capito cosa farà da grande, intanto si interessa di quasi tutto, a fasi. Qui è amante di cause perse, tipo comunicare.
1 Commenti
  1. Giuseppina

    Questo articolo si sofferma su una vicenda, che si può definire un atto di guerra, che ha toccato la maggior parte degli uomini, di tutti coloro che credono nella libertà. Bellissime e profonde le riflessioni! Matita simbolo della libertà di religione, della libertà di espressione. Matita simbolo di rigenerazione, se spezzata rivive se temperata, e si illumina con luce ardente contro 'l'oscurantismo'. Matita che sa far.tacere le armi, mentre le armi non sanno spegnere la forza della creatività, la ricerca della libertà. La matita, come voce dell'anima si erge sempre contro colui che disprezza la vita e provoca la morte.

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