Hunger Games – La ragazza di fuoco3 min read

1 Gennaio 2014 Cultura -

Hunger Games – La ragazza di fuoco3 min read

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Hunger Games - la ragazza di fuocoPer correttezza devo ammettere che sono andata a vedere Hunger Games: La ragazza di fuoco con un enorme pregiudizio: quello che mi sarebbe piaciuto moltissimo, quello di chi ha aspettato l’uscita di questo secondo capitolo più di un anno, quello di chi in precedenza si è letteralmente divorata la trilogia della nemmeno poi troppo visionaria Suzanne Collins – da cui il film è tratto – e quello di chi nutre una profonda stima, umana e professionale, nei confronti della talentuosissima protagonista Jennifer Lawrence (premio Oscar 2013 per l’interpretazione de Il lato positivo e tra le poche attrici a lottare contro l’eccessiva magrezza femminile ingiustamente pretesa e diffusa nel mondo dello spettacolo).

Per dovere di cronaca dirò subito che il mio pregiudizio è stato confermato e che ho lasciato la sala nel mio solito stato di trans post-film, disperata all’idea che avrei dovuto aspettare almeno un altro anno per vedere l’ultimo capitolo, indecisa se rileggere l’intera opera nell’attesa, sollevata di poterne scrivere qui, su Le Niùs.

Ciò che più mi ha colpito di Hunger Games – La ragazza di fuoco non è tanto la storia dei distretti, la lotta del popolino in cui tutti metaforicamente ci immedesimiamo in una forma di opposizione allo stato e al sistema di cui ogni giorno ci lamentiamo, ma la rappresentazione dei media e dei suoi effetti e la consapevolezza che, allo stato attuale delle cose, è molto più facile rivederci nel pubblico di Capitol City e nel suo ossessivo voyeurismo.

Anche noi, comodamente seduti sul divano di casa nostra, ci appassioniamo ai reality e tifiamo per chi ci è più simpatico; il voto da casa ci fa sentire giudici democratici e invincibili e certo non siamo ancora arrivati a guardare persone che per gioco si uccidono l’un l’altro in tv, ma se ci nutriamo delle storie di chi lotta contro la propria obesità, mostra le proprie assurde ossessioni che vengono altrettanto assurdamente spettacolarizzate più che curate o ancora riusciamo a entrare nelle case di chi lì ci si è sepolto, per poi tornare alla nostra vita di tutti i giorni come nulla fosse, forse non ne siamo nemmeno così lontani. Forse abbiamo già superato il limite. E soprattutto, non ci rendiamo conto di quanto tutto questo sia fatto per distrarci da ben altri problemi.

Il secondo aspetto su cui voglio soffermarmi sta nell’umanità dei due personaggi, affatto perfetti: Peeta non mi ha incantata solo per il suo reale e incondizionato amore per Katniss, che lo porta a essere disposto a morire per lei e a fingere di fingere di amarla (sembra un gioco di parole, ma è una tortura per lui reale).

Ho piuttosto riscontrato in lui il buono dell’essere umano, di colui che non è disposto a farsi corrompere dalla società, di colui che decide che nell’arena non ucciderà perché sa che questo lo trasformerà in una persona peggiore, in qualcuno che lui non vuole diventare, e questo anche a discapito della propria sopravvivenza. Siamo davvero in grado di fare altrettanto nella nostra vita di tutti i giorni o siamo piuttosto costretti a commettere qualche piccolo sgarro per poter vivere in questa nostra società?

Persino Katniss non è l’eroina che tutti si aspetterebbero: non ha deciso lei di diventare il simbolo della rivolta e piuttosto preferirebbe tornare alla sua vita di tutti i giorni, purché i suoi cari siano salvi (della serie: io guardo il mio giardino, che tu ti guardi il tuo). Eppure, quando si rende conto della portata di quel che sta accadendo, non si tira indietro e accetta il suo ruolo perché è consapevole che porterà al mondo qualcosa di migliore, qualcosa che va oltre quel suo “giardino”. Ed è questo che fa di lei un’eroina.

Hunger Games – La ragazza di fuoco è certamente anche un’operazione di marketing ben riuscita: molto meno autoconclusivo del primo e molto meno ricco di dettagli rispetto al libro al quale si ispira, è strutturato per dilatare la storia e per poter dividere la trasposizione cinematografica dell’ultimo capitolo della saga in due episodi, ma ha sicuramente il merito di essere fedele al romanzo e di ispirare lo spettatore. Per lo meno, ha ispirato me.

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A 10 anni ripetevo le formule magiche delle mie eroine dei cartoni animati credendo che mi sarei trasformata in qualcuno. Ma non è mai successo. Poi ho iniziato col teatro: mi commuovevo per gli attori. Ho creduto che avrei fatto quel mestiere. Ma non è mai successo. Dopo una laurea in Beni culturali e una specializzazione alla Paolo Grassi, vedo tutti gli spettacoli teatrali e dopo fatico a tornare in me. E questo succede sempre.
1 Commenti
  1. Dste

    Mi piace l'articolo!!!

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