Donne e maratona: tre storie che hanno fatto la Storia5 min read

8 Settembre 2016 Genere -

Donne e maratona: tre storie che hanno fatto la Storia5 min read

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Nel 1893, in Nuova Zelanda, le donne ottengono per la prima volta nella storia il diritto di voto. Solo 80 anni dopo riusciranno ad ottenere il diritto a correre la maratona. Siamo nel 1973, e in Germania si corre la prima maratona femminile internazionale.

Sembra incredibile, a pensarci adesso, eppure per lungo tempo solo i maschi hanno avuto il privilegio di correre i 42,195 chilometri più desiderati da atleti e appassionati di tutto il mondo. Pensate che la prima maratona femminile olimpica si tenne solo nel 1984, ai giochi di Los Angeles.

Oggi, la maratona è diventato uno sport estremamente popolare, con migliaia di donne e ragazze che gareggiano nelle corse di tutto il globo. Se siamo arrivati a questo punto, lo dobbiamo anche ad alcune donne coraggiose, che hanno fatto il diavolo a quattro pur di conquistare il diritto di correre la maratona.

Raccontiamo la storia di tre di loro, tre donne che, pur non risultando negli annali ufficiali della disciplina, hanno fatto certamente la storia della maratona al femminile, e non solo al femminile.

Donne e maratona: tre storie esemplari

Stamata Revithi, Atene, 1896

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Lo stadio Panathinaiko durante la maratona olimpica del 1896 | @wikipedia.en

La tormentata storia d’amore tra donne e maratona inizia nel 1896 ad Atene, durante i primi giochi olimpici dell’era moderna. La gara è un corsa da 40 chilometri, che ripercorre e celebra la famosa leggenda di Fidippide. Il soldato greco percorse correndo la strada dal villaggio di Maratona ad Atene per annunciare la vittoria dell’esercito greco su quello persiano nella battaglia di Maratona, per poi accasciarsi a terra e morire.

17 atleti erano pronti per competere su quel cammino leggendario, tutti di sesso maschile. Le donne non furono autorizzate a partecipare a quella prima edizione dei giochi olimpici. Secondo Pierre de Coubertin, il fondatore dei giochi olimpici moderni, la loro inclusione sarebbe risultata “noiosa, antiestetica e scorretta”; la loro più grande aspirazione avrebbe dovuto essere quella di incoraggiare i loro figli a distinguersi nello sport ed applaudire gli uomini per i loro sforzi.

Stamata Revithi, una donna greca di umili origini ed amante della corsa su lunga distanza, decise di partecipare alla famosa gara, con l’idea di guadagnare un po’ di fama e denaro e trovare una via d’uscita dalla sua condizione economica precaria. Stamata si presentò al villaggio di Maratona il giorno prima della gara con l’idea di correre a fianco degli altri 17 atleti, ma la sua richiesta venne rifiutata dal comitato organizzativo.

Stamata non si fece scoraggiare e decise di correre i 40 chilometri da sola, il giorno successivo alla gara ufficiale, dopo aver trovato tre persone disposte a testimoniare la sua impresa ed il tempo di partenza da Maratona.

Alle 8 di quell’11 Aprile 1896, Stamata parte, e dopo 5 ore e 20 minuti arriva ad Atene, dove si scontra con due ufficiali militari che le vietano l’accesso al Panatinaiko (stadio olimpico, luogo di arrivo della gara ufficiale) ma al contempo registrano e ufficializzano il suo tempo di arrivo. Al traguardo della gara ufficiale, il giorno prima, erano arrivati solo in 9; Spyridon Louis, il vincitore, aveva corso in 2 ore e 58 minuti.

Nonostante il successo e la determinazione dell’atleta, non risulta che il comitato olimpico abbia riconosciuto la sua impresa in modo ufficiale, e per diversi decenni, la maratona rimase un affare per soli uomini.

Roberta Gibb, Boston, 1966

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Roberta Gibb durante la maratona di Boston del 1966 | @espn.com

Lo status quo viene messo nuovamente in discussione dopo quasi un secolo, nel 1966, quando l’atleta statunitense Roberta “Bobbi” Gibb diventa la prima donna a correre, anche se fuori classifica, la maratona di Boston.

Bobbi aveva tentato di iscriversi regolarmente alla gara, ma l’ingresso le era stato vietato in quanto “le donne non sono fisiologicamente in grado di correre per 42 chilometri”. Come Stamata, neanche Roberta si diede per vinta, anzi come disse in seguito:

A quel punto capii che stavo correndo per molto di più che raggiungere un traguardo personale, stavo correndo per cambiare il modo di pensare della gente.

Il giorno della gara Bobbi si nasconde dietro ad un cespuglio vicino alla linea di partenza e una volta dato il via si precipita nella mischia ed inizia a correre con gli altri atleti. La folla reagisce positivamente a quella presenza femminile, incoraggiandola e sostenendola, e Bobbi corre fino a raggiungere l’arrivo in un tempo di 3 ore e 21 minuti, davanti ai due terzi dei partecipanti, un’impresa che entrò a far parte della storia.

Kathrine Switzer, Boston, 1967

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Il direttore della Maratona di Boston tenta di escludere dalla gara Kathrine Switzer | @todayifoundout.com

Ancora più famosa è l’impresa di Kathrine Switzer, l’anno successivo, sempre a Boston. Kathrine è la prima donna a partecipare ufficialmente alla manifestazione sportiva. No, le regole non erano cambiate; Kathrine si era iscritta come K.V. Switzer, un dettaglio sfuggito agli organizzatori, i quali l’hanno inconsapevolmente autorizzata a partecipare.

Il giorno della gara Kathrine si presenta alla linea di partenza con il suo pettorale, unica donna tra i 741 iscritti. Decidono di correre la gara insieme a lei il suo allenatore Arnie Briggs ed il suo allora compagno Tom Miller.

Dopo aver percorso i primi chilometri in tranquillità e senza dare troppo nell’occhio, il gruppo viene raggiunto e fiancheggiato dal furgone della stampa, da dove spunta il direttore di gara Jocke Semple, infuriato, che rincorre e spintona Kathrine nel tentativo di strapparle il pettorale ed impedirle di continuare la gara, al grido di: “Get the hell out of my race and give me those numbers!”, una roba tipo “Vattene dalla mia gara e dammi il tuo pettorale!”.

Se si poteva ancora accettare una donna in gara in maniera ufficiosa, di certo non era ammissibile che ve ne fosse una con un pettorale regolarmente registrato che la mettesse sullo stesso livello dei colleghi di sesso maschile. Tom e Arnie riescono a fermare Semple, e Kathrine corre l’intero percorso raggiungendo il traguardo in 4 ore e 20 minuti.

Qualunque cosa succeda, devo finire questa gara […] devo – anche a costo di arrivare in ginocchio. Se non arrivo alla fine, la gente dirà che le donne non sono in grado di farlo.

Le immagini di Kathrine rincorsa da Semple finiscono su tutti i giornali e attirano l’attenzione dell’opinione pubblica. Quello che seguì fu un periodo di contestazioni e richieste che terminò con la decisione di ammettere le donne alla maratona di Boston nel 1972 e l’introduzione della maratona femminile nei giochi olimpici di Los Angeles del 1984.

Nota: le citazioni sono state tradotte dall’inglese dall’autrice.

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Nata e cresciuta in Piemonte, vive a Ginevra dove sta per finire il suo dottorato in chimica. Non ha ancora deciso cosa vuole fare da grande e la cosa non la disturba affatto. Ama correre e fare yoga, leggere, parlare lingue straniere, la cioccolata e il cappuccino.
2 Commenti
  1. Scara

    Grazie per questo articolo, molto bello ed importante ... direi! Ho corso tanto e letto tanto di corsa, ma non conoscevo queste storie. E' incredibile fin dove possa arrivare la discriminazione!!!

  2. Valentina Valmacco

    Ciao Sara, mi fa molto piacere che l'articolo ti sia piaciuto !! Già, è davvero incredibile !! ...Anche io amo la corsa (e le donne che si ribellano alle discriminazioni), per cui queste storie sono per me una gran fonte di ispirazione !!

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