Perché vietare il burkini è una grandissima cazzata4 min read

18 Agosto 2016 Migrazioni Società -

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Sociologo

Perché vietare il burkini è una grandissima cazzata4 min read

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divieto burkini
@mazzetta.wordpress.com

Il divieto di indossare il burkini sulle spiagge di Cannes, legittimato dalle dichiarazioni del primo ministro francese Valls, è una decisione folle, discriminatoria, e stupida. Un integralismo inutile, nel nome di una libertà aggredita più che difesa da un modo conservatore e arrogante di interpretare i presunti valori di una presunta cultura francese.

D’altra parte quando esce fuori la parolina “valori” si fanno solo delle grandi cazzate. Posto che qualcuno riesca mai a definire cosa vuol dire la parola valore, non si troverà mai una società, a maggior ragione ai tempi nostri, in grado di trovare un accordo su quali siano questi benedetti valori che la costituiscono e come si debba difenderli e promuoverli.

Per questo, prendere decisioni pubbliche sulla base dei valori comporta sempre una dose di violenza. Per questo la decisione di vietare la possibilità di indossare il burkini in spiaggia è una decisione violenta, inutile e stupida. Basata su dei presupposti ideologici infantili, da crociati spuntati del terzo millennio.

Il burkini è sostanzialmente un prodotto commerciale, con tanto di marchio registrato, diventato il simbolo estivo dell’oppressione del maschio sulla donna nella religione islamica. Si vieta il burkini perché si presume che sia imposto dagli uomini alle donne. Lo è? Non lo è? Per quante lo è? Come si può definire socialmente la soglia tra imposizione e libertà di scelta?

Ma supponiamo pure che lo sia, uno strumento di oppressione. Che lo stato francese abbia fatto un’indagine accuratissima, da cui risulta che il 100 percento delle donne che indossa il burkini lo fa perché obbligata dal marito/compagno/padre/fratello e che sia effettivamente la manifestazione di un rapporto di oppressione.

È vietando di indossarlo in pubblico che risolviamo la questione dell’oppressione maschile sulle donne nella, presunta, cultura araba? No, anzi forse la peggioriamo.

Se davvero esiste un rapporto di oppressione, il risultato più probabile è che la donna non uscirà più di casa. Perché il burkini, che ci piaccia o meno, è anche l’unica possibilità per quella donna di stare in spiaggia come e con le altre donne.

E così quella che tutto sommato può essere considerata una storia di integrazione, mi riferisco alla convivenza tra bikini e burkini, finisce brutalmente. Chi prima indossava il burkini ora al mare non ci va più. Il suo isolamento sociale peggiora, si riducono le possibilità di contatto con il mondo, comprese quelle con quella società di accoglienza che tanto vuole darsi da fare per liberarla dall’oppressione e, guarda te, dall’isolamento.

Questo il risultato se presupponiamo che il burkini sia effettivamente il simbolo di un’oppressione. La società perde occasioni di integrazione sociale, lo stato scava fossati invece che gettare ponti, il tutto senza che le oppresse migliorino la loro condizione.

La situazione diventerebbe addirittura paradossale se invece il burkini non fosse per tutte un simbolo di oppressione. Se qualcuna lo indossasse per scelta, o per rivendicare un’identità, si vedrebbe negata quella libertà in nome della quale i legislatori francesi dichiarano di agire.

E si aprono tante di quelle contraddizioni che rendono evidente come si tratti di una decisione assurda, socialmente e politicamente insostenibile. Posso vagare per la spiaggia avvolto nel mio asciugamano come mi piace fare dopo un tuffo le sere fresche d’estate? Ci va bene che le suore vadano in spiaggia? Chi decide che l’abito da suora è indossato per scelta e il burkini per imposizione? E i sub, tutti chiusi nella loro muta?

Naturalmente non è un modo per ridurre le questioni, che ci sono, sono tante e complicate, e riguardano i delicatissimi rapporti tra generi, etnie, religioni, ma anche l’eterna ricerca del confine tra stato e individuo. Penso però che sia ridicolo affrontare politicamente questioni enormi in questo modo brutale, che crea inutilmente ulteriori lacerazioni sociali.

È ridicolo, e meschino, anche non vietare il burkini per non attirare attentati, come ha candidamente dichiarato il Ministro dell’Interno Alfano, interrogato sulla questione. Il burkini non si vieta perché è sua volta una negazione di libertà, e perché non è un modo intelligente di affrontare le questioni.

Criticare la decisione dei comuni francesi non è nemmeno un modo per negare che vedere una donna in burkini in spiaggia susciti effettivamente degli interrogativi, sul tipo di società in cui viviamo, e che desideriamo. Ma se il nostro modo di dare risposte è eliminare ciò che suscita le domande, siamo messi piuttosto male.

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Sociologo, lavora come progettista e project manager per Sineglossa. Per Le Nius è responsabile editoriale, autore e formatore. Crede nell'amore e ha una vera passione per i treni. fabio@lenius.it
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